Alberto Intini*
Nostalgia di Maigret
Nuovi mezzi, nuove tecnologie e nuovi strumenti di indagine. Il primo di una serie di appuntamenti con la scienza che si mette al servizio degli investigatori
Quasi tutti gli organi di stampa ormai da diverso tempo si esercitano nell’asserire una sofferenza dell’investigazione classica ad opera di un sovradi-mensionamento dell’attività della Scientifica nell’indagine.
La rivista della Polizia di Stato è senza dubbio la sede più qualificata per ristabilire una corretta informazione su un tema, sul quale, purtroppo, più di un “commentatore”, che poco sembra conoscere il nostro sistema processuale e cosa significhi portare avanti una indagine penale, mostra invece un evidente condizionamento da quanto viene offerto da serial televisivi incentrati sulle investigazioni scientifiche o da contenitori, evidentemente di mero intrattenimento, che non hanno certamente alcun carattere divulgativo (coloro che sono esperti di scienze forensi possono, infatti, spesso notare tecniche inesistenti o risultati spettacolari, quanto fantasiosi).
Occorre, in primo luogo, definire il significato dell’indagine di polizia giudiziaria, nel contesto delle norme del codice di procedura penale e chiarire il ruolo della scienza nel quadro delle prove processuali, tenendo conto del suo costante processo evolutivo.
La fase delle indagini preliminari ha lo scopo di verificare la fondatezza di una notizia di reato, di raccogliere tutte le fonti di prova necessarie a ricostruire il fatto reato e ad individuare il responsabile dell’azione criminosa, talché solo il possesso di un adeguato quadro probatorio consente al pubblico ministero di chiedere il rinvio a giudizio ritenendo di poter sostenere l’accusa nel corso del successivo dibattimento.
Il pubblico ministero, quindi, che è il titolare delle indagini e il responsabile della strategia investigativa tesa a raggiungere questo risultato probatorio, si avvale dei reparti investigativi delle forze di polizia. E qui va sottolineato che la professionalità specifica nel campo dell’indagine, determinata dalla lunga esperienza e dall’addestramento in merito, pone gli organi di polizia su un piano quanto meno di qualificata e propositiva collaborazione con il magistrato inquirente, se non, ancora più spesso, con un ruolo in gran parte autonomo nella conduzione dell’attività investigativa, svolta sul piano tecnico con ampi margini di iniziativa, pur sotto la supervisione del pubblico ministero. E, in tale senso, si vuole confutare altro risibile luogo comune, di chi sostiene una sorta di vincolo posto dalla magistratura stessa all’efficace dispiegarsi della libera azione della polizia giudiziaria.
Chi è ormai abituato a condurre indagini nel quadro normativo delineato dal codice processuale entrato in vigore nel 1989 sa bene, invece, che la professionalità nella tecnica investigativa espressa dalle forze di polizia si è ampliata con quella riforma, pur essendo stato ridotto lo spazio di iniziativa rispetto proprio alla direzione delle indagini in capo alla procura. Le norme che regolano il processo forniscono, infatti, al rito una caratteristica accusatoria (rispetto al vecchio codice che era invece di tipo inquisitorio) in quanto richiedono che le prove vengano formate durante il dibattimento, mentre quelle acquisite nel corso delle indagini avranno un utilizzo durante il giudizio solo se non più ripetibili.
Questo significa che l’investigatore deve raccogliere elementi probatori ed indiziari che reggano alla ripetizione ed al vaglio processuale, quindi il lavoro di chi conduce una indagine è molto più complesso e difficoltoso rispetto a quello di vent’anni fa, quando il rito previsto dal vecchio codice, appunto a carattere inquisitorio, consentiva, per esempio, che una confessione raccolta nel corso delle indagini dalla polizia giudiziaria avesse valore di prova durante il processo.
Ne consegue, pertanto, non solo che oggi il responsabile dell’indagine deve garantire un alto livello di professionalità – e i costanti e rilevanti successi delle forze dell’ordine ne sono testimonianza – ma anche una doverosa valutazione: come può aversi nostalgia per il “vecchio maresciallo che riusciva ad ottenere le confessione dai sospettati”, come rimarcato da quei commentatori citati in premessa, quando il vecchio sistema di acquisizione delle prove, forse più facile di quello attuale, non rispondeva a quelle sacrosante regole di oggettività della formazione della prova, di contraddittorio paritario delle parti davanti a un giudice terzo, di garanzie per la difesa, che oggi conosciamo, apprezziamo e riteniamo non più rinunciabili, anche per chi ha operato con le procedure antecedenti al 1989 e, indubbiamente, aveva la possibilità indagando nei confronti di un indiziato di trovarsi in una posizione certamente predominante e avvantaggiata.
Può, così, comprendersi come siano insignificanti le ripetute allusioni su un investigatore quasi schiacciato dalla scienza, o impossibilitato a tagliarsi uno spazio nella costruzione delle prove, ovvero incapace a raggiungere la confessione che sublimi l’accertamento del delitto. Conoscere le regole dettate dalle norme processuali insieme alle tecniche che muovono l’azione investigativa consente, in realtà, di interpretare correttamente gli esiti delle indagini che gravi fatti di cronaca ci mostrano.
L’investigazione oggi non può, pertanto, essere improvvisata o gestita da chi non è padrone dei necessari strumenti normativi e tecnico-operativi. Perché in una società dove la domanda di specializzazione si mantiene alta in tutti i campi, anche nell’indagine non trovano più spazio l’improvvisazione, la generalizzazione, l’approssimazione. Nella nostra realtà, infatti, conosciamo capaci indagatori della criminalità organizzata, esperti di contrasto al terrorismo, fini e tenaci cacciatori di latitanti, acuti investigatori di casi di omicidio. E ciò è evidente perché le tecniche di polizia criminale per penetrare il mondo mafioso sono tutt’altro rispetto a quelle che vanno adottate per rendere inoffensivo un pedofilo, ovvero all’analisi della scena di un delitto di sangue. Come, ancor di più, sono divergenti, nei diversi campi di indagine, gli approcci metodologici e la tensione psicologica che vanno assicurati al percorso investigativo. Infatti, quando deve ricostruire a ritroso nel tempo le manifestazioni delittuose, partendo dall’evento e tornando indietro verso l’azione che lo ha determinato, per individuarne l’autore, l’investigatore deve tenere sempre presente l’obiettivo che deve raggiungere e conoscere il contesto e le dinamiche dell’ambito in cui si muove.
Questo lavoro non può che essere svolto da una squadra investigativa, che, laddove necessiti di contributi specialistici, richiede gli interventi di esperti di materie tecniche (tra le tante, quelle della criminalistica, la medicina legale, la psichiatria, la criminologia). Questi, come in un sistema di intelligenza distribuita, autonomamente, svolgono le rispettive funzioni per raggiungere il medesimo risultato investigativo e raffinano con i rispettivi apporti specialistici la soluzione parziale del caso. Dal contributo di tutte queste sorgenti di conoscenza si perviene alla soluzione del problema finale, ovvero al completamento dell’indagine, che deve essere diretta da una sola persona (o da un gruppo ristretto di coordinamento) che distribuisce il lavoro, raccoglie gli esiti, è il depositario della rete investigativa pian piano intessuta.
Questo è il momento significativo in cui si delinea il corretto rapporto tra scienza e investigazione, nel senso che i contributi scientifici, tecnici e specialistici all’indagine non sono altro che degli innesti, certamente qualificati, a volte determinanti, al corretto processo logico costruttivo che l’investigatore porta avanti e di cui non può che essere l’unico responsabile. Il valore aggiunto che ne deriva all’indagine stessa non modifica il carattere servente dell’attività tecnico-specialistica.
Sarebbe un grave errore spostare verso l’esperto della polizia scientifica il ruolo di leader dell’indagine: in primo luogo perché non è il suo mestiere (ha un altro background professionale e ha un diverso approccio metodologico), inoltre perché non è in possesso degli elementi che via via compongono il quadro investigativo, infine perché il suo lavoro dà delle risposte, dettate dalla conoscenza scientifica, a domande poste dall’organo inquirente, ma non è in condizione di formulare ipotesi, né tanto meno giudizi sui comportamenti umani. Per esempio, può fornire certezze sulla presenza di un soggetto sulla scena del crimine, ma non ha gli elementi per arrivare a sostenere che è l’autore del delitto.
D’altronde, il potere della scienza spesso deve coniugarsi anche con i suoi limiti: le sue risposte, infatti, talvolta determinano delle certezze, inconfutabili e riconosciute unanimemente a livello internazionale, tali da consentire di formulare un giudizio positivo o di esclusione (in quanto tali funzionali alla logica processuale), in altri casi riescono soltanto a raggiungere degli esiti di mera probabilità, anche statisticamente graduata, ma in tal senso discutibili nell’ottica della certezza della prova.
Pertanto, la professionalità e l’alto livello di specializzazione che le strutture di scienze forensi devono garantire non possono non essere strettamente legate alla scia dell’evoluzione incessante della scienza, che è patrimonio della società moderna.
Basti, al riguardo, sottolineare che, soltanto negli ultimi quindici anni, lo studio delle tracce di sangue o dei materiali biologici ha subito un notevole sviluppo grazie alla scienza e alle tecniche di biologia molecolare. La possibilità, per esempio, di estrarre profili genetici (Dna) da microtracce di sangue o di altro materiale biologico (saliva, formazioni pilifere, liquido seminale, tracce epiteliali di sfaldamento) ha, di fatto, rivoluzionato le possibilità di identificazione dell’individuo, grazie all’amplificazione di piccole dimensioni del Dna con l’avanzata tecnologia attualmente utilizzata.
In tale senso, il Servizio polizia scientifica della Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato, alla continua ricerca di elevati livelli professionali e del perfezionamento delle dotazioni tecniche dei propri laboratori, persegue con costanza l’obiettivo di garantire standard di qualità sempre più alti, per fornire risposte ancor più certe e qualificate alle istanze della investigazione giudiziaria anche in campi per ora poco scandagliati dalla scienza applicata alle indagini forensi.
*Direttore reggente del Servizio polizia scientifica
01/02/2008