Maria Grazia Giommi
Chi sbaglia... paga
Quando i comportamenti illeciti di dirigenti e dipendenti danneggiano l’immagine e il prestigio della pubblica amministrazione
Premessa
Con la sentenza n. 3227/2006, la Sezione giurisdizionale della Sicilia della Corte dei Conti, ha ravvisato il requisito soggettivo della colpa grave nel comportamento di un dirigente dell’amministrazione del ministero dell’Interno, condannato con sentenza penale irrevocabile per favoreggiamento nei confronti di appartenenti ad associazione mafiosa.
I giudici della Corte dei Conti hanno concluso che tale condotta ha determinato una diminuzione della capacità operativa dell’amministrazione di appartenenza del dirigente ed al tempo stesso ingenerato nei cittadini la convinzione di una distorta organizzazione dei pubblici poteri. Da qui la condanna del convenuto al risarcimento, liquidato in via equitativa ex art. 1226 cc.
Danno esistenziale
La sentenza presa in esame offre lo spunto per una riflessione, dal punto di vista della giustizia contabile, sul danno all’immagine e al prestigio della pubblica amministrazione, come pregiudizio da clamor fori.
In tema di danno all’immagine la Corte di Cassazione ha ormai più volte affermato che se la persona giuridica, per sua natura, non può subire dolori e turbamenti, è tuttavia portatrice dei diritti immateriali della personalità, ove compatibili con l’assenza della fisicità, e quindi dei diritti all’esistenza, all’identità, al nome, all’immagine e alla reputazione (Cassazione civile, sez. I, 29 ottobre 2002, n. 15233; Cassazione civile sez. U, 20 novembre 2003, n. 17674).
Nel solco di tale orientamento la Corte dei Conti ha più volte affermato la possibilità che anche la persona giuridica pubblica, per effet