Antonio Marra*

A carte scoperte

CONDIVIDI

La trasparenza degli atti amministrativi, tra diritto di accesso e tutela della privacy

1. Principio di trasparenza e finalità dell’accesso
La trasparenza è un principio generale che informa l’intera attività amministrativa.
È stato frutto di studi dottrinali e giurisprudenziali l’elaborazione del canone di trasparenza, tramite la compiuta analisi del tessuto normativo complessivamente disciplinante l’attività dei pubblici poteri in Italia, distinguendolo dai già noti principi di legalità, imparzialità e buona amministrazione, espressamente previsti nell’art. 97 della Costituzione, e conferendogli una propria autonoma dignità giuridica.
Secondo l’affermazione più ricorrente, tale principio si concretizzerebbe nell’attribuzione ai cittadini del potere di esercitare un controllo democratico sullo svolgimento dell’azione amministrativa, allo scopo di accertarne la conformità sia agli interessi pubblici alla cui cura tale azione è preordinata, sia ai precetti normativi che regolano quest’ultima.
La definitiva consacrazione del predetto principio – la cui esistenza già si desumeva per implicito, da alcune precedenti norme di legge, quali, ad esempio, l’art. 26 l. 816/85 (che sanciva il diritto dei cittadini di prendere visione degli atti comunali) e l’art. 14 l. 349/86 (sul diritto di accesso agli atti contenenti dati ambientali) – si è avuta con l’entrata in vigore della legge 7 agosto 1990, n. 241 sulla cosiddetta “trasparenza amministrativa”.
Per la prima volta, infatti, il legislatore, ha disciplinato in via generale ed astratta qualunque tipologia di procedimento amministrativo avviato da un ente pubblico e ha introdotto tra i principi generali dell’azione amministrativa, quello di pubblicità.
Al riguardo è opportuno rimarcare che la trasparenza, nel senso sopra specificato, non si assicura solo mediante lo strumento dell’accesso, ma al suo raggiungimento concorrono numerosi altri principi e istituti, quali – ad esempio – l’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi (stabilito dall’art. 3 l. 241/90), e la partecipazione dei privati al procedimento che li coinvolge (artt. 7, 13 legge cit.).
In linea di principio, l’art. 10 del dlgs 267/2000 e gli artt. 22 e ss. della l. 241/90 riconoscono il diritto di accesso ai documenti amministrativi a tutti i soggetti titolari di una situazione giuridicamente rilevante. Lo stesso art. 22 della l. 241/90 individua poi un concetto ampio di documento amministrativo, comprensivo degli atti provenienti da soggetti diversi dalla stessa amministrazione.
Il significato delle disposizioni sopra citate è chiaro: la l. 241/90 ha ridimensionato l’ambito operativo del segreto d’ufficio che ora non esprime più un canone generale dell’azione dei pubblici poteri, ma rappresenta un’eccezione al principio di trasparenza, rigorosamente circoscritta ai soli casi in cui viene in evidenza la necessità obiettiva di tutelare particolari e delicati settori dell’amministrazione.
In passato, la pubblica amministrazione invocava costantemente l’art. 15 del dpr 10 gennaio 1957 n. 3, ai sensi del quale all’impiegato pubblico era precluso fornire a chi non ne avesse diritto “… informazioni o comunicazioni relative a provvedimenti o operazioni amministrative di qualsiasi natura e notizie delle quali sia venuto a conoscenza a causa del suo ufficio, quando possa derivarne danno per l’amministrazione o per i terzi”. Il vago timore di recare un pregiudizio all’amministrazione finiva, nella pratica, per favorire un’applicazione estensiva della disposizione.
Oggi, l’art. 28 della l. 241/90 ha invertito il rapporto regola-eccezione, confinando il segreto d’ufficio entro ambiti alquanto circoscritti e in particolare limitandolo ai soli casi espressamente indicati dalla normativa sull’accesso.
Il fondamento costituzionale del diritto di accesso è stato individuato sia nell’art. 97 – che costituisce diretta attuazione dei canoni di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione – sia nell’art. 21, che riconosce il diritto all’informazione sul versante passivo e cioè il diritto ad essere informati quali potenziali destinatari.
L’istituto dell’accesso assolve a una triplice funzione:
permette una più diffusa conoscenza dei processi decisionali, nell’ottica della partecipazione;
favorisce il coinvolgimento diretto degli amministrati e il loro controllo sul comportamento dei soggetti pubblici, che sono stimolati ad agire responsabilmente e correttamente osservando i canoni di legalità e compiendo attività qualitativamente migliori;
riduce il peso dei giudizi, perché la conoscenza dei documenti può persuadere della legittimità delle determinazioni assunte dalla pubblica amministrazione o comunque dell’inopportunità dell’impugnazione, tenuto conto che l’interessato potrà far valere in sede amministrativa eventuali rimostranze.

2. Natura giuridica del diritto di accesso (legge 11 febbraio 2005, n. 15)
La valorizzazione del diritto di accesso come principio generale dell’ordinamento ha posto il problema della sua riconduzione nell’alveo dei diritti soggettivi ovvero degli interessi legittimi.
Secondo un primo orientamento la pretesa del soggetto che aspira all’esibizione del documento amministrativo sarebbe qualificabile come mero interesse legittimo pretensivo (cfr. Tar Toscana, sez. I, 23 aprile 2004 n. 1225; Consiglio di Stato, adunanza plenaria del 24 giugno 1999, n. 16), in virtù delle seguenti considerazioni:
l’amministrazione può rinviare l’esercizio dell’accesso se lo stesso pregiudichi la funzione pubblica (art. 24 comma 4 l. 241/90 vigente), e ciò presuppone il riconoscimento di una potestà discrezionale, la cui funzione è evitare che l’accesso indiscriminato incida su interessi pubblici fondamentali e preminenti o su interessi di terzi, ovvero interferisca con la speditezza dell’azione amministrativa; è noto viceversa che, in materia di rapporti patrimoniali coinvolgenti diritti, il debitore non può lecitamente rinviare l’adempimento dell’obbligo al di là dei termini stabiliti dalla legge o dal contratto;
si tratta di un’azione di impugnazione di un provvedimento autoritativo di diniego (ovvero dell’inerzia) della pubblica amministrazione, nell’ambito della struttura tipica del processo amministrativo preordinato alla tutela di interessi legittimi;
il conflitto tra il diritto di accesso e la tutela della riservatezza dei terzi necessita di una composizione bilanciata: la decisione sull’istanza implica quindi una scelta parzialmente discrezionale che i regolamenti attuativi adottati dai singoli enti limitano ma non escludono;
l’art. 25 comma 5 della l. 241/90 impone per il ricorso per l’accesso in pendenza di giudizio l’obbligo di notifica all’amministrazione o ai controinteressati, con ciò confermando la natura di interesse legittimo.
Dalla configurazione dell’accesso come interesse legittimo pretensivo, consegue:
il carattere impugnatorio del giudizio di legittimità che si svolge dinanzi al giudice amministrativo, il cui oggetto è costituito dal provvedimento espresso o tacito di rifiuto;
la necessità di impugnare la decisione negativa nel termine perentorio di 30 giorni, a pena di decadenza;
l’obbligo di notifica agli eventuali controinteressati (ad esempio ai soggetti titolari del diritto alla riservatezza suscettibile di lesione) a pena di inammissibilità del ricorso giurisdizionale;
la declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto contro un nuovo diniego su una seconda richiesta di accesso identica alla precedente quanto ad oggetto, avendo il secondo rifiuto natura di atto meramente confermativo.
Il filone interpretativo che propende per una ricostruzione dell’accesso in termini di diritto soggettivo è oggi prevalente in giurisprudenza (Tar Lazio, sez. I del 4 marzo 2004 n. 2079; Consiglio di Stato, sez. VI del 27 maggio 2003 n. 2938), la quale riconosce in esso la pretesa a un’informazione qualificata, azionabile da qualsiasi soggetto titolare di un’aspirazione giuridicamente rilevante alla conoscenza di determinati atti, e tutelabile innanzi al giudice amministrativo indipendentemente dalla ricorrenza della posizione sostanziale di diritto soggettivo o di interesse legittimo (si parla di autonomia dell’accesso rispetto alle situazioni soggettive sostanziali sottostanti, di cui il soggetto può chiedere la tutela dopo l’ostensione dei documenti).
Dalla configurazione dell’accesso come diritto soggettivo, consegue:
la natura di accertamento del giudizio sulla domanda di accesso, che non si limita ad investire l’atto di diniego ma si estende all’intero rapporto tra pubblica amministrazione e privato;
la possibilità per il giudice di ordinare l’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 102 cpc in caso di omessa notifica ad almeno uno dei controinteressati, trattandosi di un’ipotesi di litisconsorzio necessario;
la possibilità di presentare una nuova istanza nonostante l’omessa tempestiva impugnazione del diniego (o del silenzio della pubblica amministrazione) su quella precedente, in quanto un diritto non è soggetto al breve termine di decadenza.
La l. 15/2005 sostituisce la precedente versione dell’art. 22 con una nuova previsione il cui contenuto è in gran parte costituito da regole codificate dalla giurisprudenza.
Il nuovo articolo 22, così come riformulato, impiega la tecnica legislativa – già largamente diffusa in ambito comunitario e recentemente utilizzata anche da parte del legislatore italiano – delle definizioni: queste ultime, in particolare, hanno carattere innovativo e non ricognitivo, non limitandosi cioè ad operare un riepilogo di precetti altrove stabiliti ma introducendo ex novo norme di carattere sostanziale.
Rispetto alla questione della natura del diritto di accesso, secondo quanto recita il secondo comma dell’articolo 22, “attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza, ed attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione”.
A fronte delle dispute emerse in giurisprudenza sulla qualificazione della posizione giuridica soggettiva del richiedente il legislatore sembra aver optato per una qualificazione in termini di diritto soggettivo. Tale affermazione appare supportata dalla circostanza che, ai sensi dell’articolo 22, l’istituto dell’accesso attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che costituiscono un patrimonio giuridico intangibile, non esposto a esercizio di discrezionalità amministrativa.
In proposito soccorre l’interpretazione fornita dalla Corte costituzionale con la pronuncia in data 26 giugno 2002 n. 282, la quale ha chiarito che quella individuata dalla lettera m) dell’art. 117, comma 2 non è una “materia” in senso stretto, bensì “una competenza del legislatore statale idonea a investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti…”.
Sempre in tale direzione, d’altra parte, non manca un ulteriore indice di inequivoco affidamento. Lo si rinviene nel comma 7 dell’art. 24 che stabilisce la necessità di garantire l’accesso ai documenti la cui conoscenza è necessaria per curare o difendere i propri interessi giuridici. Quel “deve comunque esser garantito” non appare conciliabile con una posizione di interesse legittimo ed induce a ritenere che ogni pur complessa attività applicativa non potrà mai smarrire la sua natura di attività meramente dichiarativa della sussistenza di presupposti e condizioni normative in costanza delle quali il diritto di accesso trova attuazione.

3. Ambito soggettivo di applicazione
Dal punto di vista soggettivo, dal lato attivo si pone il problema di chi possa chiedere l’accesso.
L’art. 24 della l. 241/90 prevedeva che l’accesso è consentito a chiunque (cittadino, straniero od apolide) sia titolare di un “interesse giuridicamente rilevante”: il concetto rinvia ad una qualsiasi situazione giuridica degna di rilievo ed apprezzamento, ossia comprende una platea di posizioni eterogenee meritevoli di protezione, come anche ad esempio le aspettative e gli interessi diffusi.
Ai fini dell’esatta delimitazione della figura, è stato puntualizzato dalla giurisprudenza che la l. 241/90 non ha introdotto un’azione popolare, diretta a consentire a chiunque una sorta di controllo generalizzato sulla correttezza dell’attività amministrativa: infatti sia l’art. 8 del dpr 27 giugno 1992 n. 352 (regolamento di attuazione della disciplina legislativa dell’accesso), sia la dottrina e la giurisprudenza richiedono la presenza di un interesse:
personale (ovvero serio, effettivo, non emulativo, non riducibile a mera curiosità e ricollegabile all’istante da uno specifico nesso);
concreto;
differenziato (ossia non confuso con quello di altri soggetti o con l’interesse pubblico istituzionalmente perseguito dall’amministrazione).
Tale interesse non coincide necessariamente con l’interesse legittimo: l’esercizio del diritto di accesso presuppone un’aspirazione alla conoscenza del documento non necessariamente idonea a legittimare l’impugnativa in sede giurisdizionale del provvedimento finale.

L’indicazione dell’interesse
giuridicamente rilevante a corredo della domanda non è richiesta
Particolari figure sono l’accesso partecipativo, previsto dall’articolo 9 della l. 241/90 e l’accesso agli atti in corso di giudizio previsto dall’art. 21 comma 1 della l. 1034/1971.
Quest’ultimo è un rimedio che presuppone l’instaurazione di un giudizio, ossia un ricorso pendente innanzi al giudice amministrativo: il gravame contro il diniego o il differimento dell’accesso può essere proposto con semplice istanza presentata al presidente del Tar e depositata presso la segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso, previa notifica all’amministrazione ed ai controinteressati, e viene decisa con ordinanza istruttoria adottata in camera di consiglio.
La l. 15/2005, alla lettera b) del primo comma dell’art. 22, definisce gli “interessati” individuandoli in “tutti i soggetti privati compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”.
Si chiarisce così l’ambito soggettivo di applicazione dell’accesso dal lato attivo, di chi cioè è titolato a richiederlo: la nuova formulazione è più completa, aggiungendo ai requisiti della personalità e concretezza dell’interesse quello della sua attualità. Ad ogni modo si riafferma la necessità – già evidenziata dalla giurisprudenza – di un contenuto differenziato della posizione propria del richiedente, distinta cioè da quella della generalità dei consociati.
L’esclusione di istanze preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle amministrazioni pubbliche, disposta dall’art. 24 comma 3, sancisce “l’impossibilità di configurare l’accesso come una sorta di azione popolare” di verifica della correttezza dell’attività dei pubblici poteri.
A questo riguardo è stato osservato che ove l’istanza di accesso postuli un’attività valutativa ed elaborativa dei dati in possesso dell’amministrazione è precluso il suo accoglimento, in quanto l’istanza stessa rivela un fine di generale controllo sull’attività amministrativa che non risponde alla finalità per la quale lo strumento può venire azionato che è solo quella della tutela di un ben specifico interesse. La tutela del diritto all’informazione nei confronti della pubblica amministrazione non può dilatarsi al punto da imporre alla stessa un vero e proprio facere che esula completamente dal concetto di accesso configurato dalla legge, consistente solamente in un pati (ossia nel lasciar prendere visione) ed al più in un facere meramente strumentale (minimo di attività materiale che occorre per estrarre i documenti indicati e metterli a disposizione del richiedente). (Consiglio di Stato, sez. V – 25/9/2006 n. 5636).
È stato anche però precisato che le istanze non debbono indicare in modo puntuale i documenti oggetto dell’istanza, in quanto molto spesso il privato non conosce in quali documenti sono contenute le informazioni che richiede. Certo l’accesso non può riguardare documenti non esistenti e da formare per dare risposta alla richiesta estensiva e tuttavia spetta all’amministrazione individuare in quali documenti siano presenti le informazioni richieste nel caso in cui sussistano i presupposti per consentire l’accesso.
Secondo l’adunanza plenaria del Consiglio di Stato (4 e 5 del 1999), il criterio da utilizzare per distinguere gli atti rientranti nell’ambito oggettivo della disciplina dell’accesso dai dati esclusi deve essere ravvisato nella sottoposizione del soggetto, in sede di esercizio dell’attività di cui si chiede la divulgazione, al dovere di imparzialità. Non rileva il regime giuridico dell’attività in relazione alla quale è stata formulata l’istanza ostensiva, ma l’importante è che l’attività debba essere espletata per rispetto del canone di imparzialità, applicandosi l’articolo 97 e non l’articolo 41 della Costituzione.
Sotto il profilo dei destinatari dell’istanza di accesso, sempre la lettera d) della l. 15/2005 puntualizza che non assume rilievo la specifica natura pubblicistica o privatistica della disciplina degli atti conoscibili purché, ovviamente, essi concernano attività di pubblico interesse. Si conferma pertanto che il diritto di accesso non può essere riconosciuto soltanto in presenza di attività esclusivamente privatistica e del tutto disancorata dall’interesse pubblico istituzionalmente rimesso alle cure dell’apparato amministrativo.
La lettera e) afferma che per pubblica amministrazione si considerano tutti i soggetti di diritto pubblico e di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale e comunitario.

4. Ambito oggettivo di applicazione del segreto di Stato, segreto istruttorio, denunce all’autorità
Il legislatore aveva originariamente elaborato la definizione generale di documento amministrativo, comprendendo “ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti anche interni, formati dalle pubbliche amministrazioni o comunque utilizzati ai fini dell’attività amministrativa” (art. 22 l. 241/90).
L’elencazione non è tassativa e l’ampia formulazione è tale da estendersi sia agli atti formati dall’amministrazione, sia a quelli formati da privati o di cui l’amministrazione si avvale. La testuale espressione “atti interni” consente di comprendere tutti i documenti preparatori, gli atti endoprocedimentali (riguardanti in generale la fase di formazione del provvedimento), e pure gli atti relativi ad attività ispettive, di vigilanza, di controllo e di accertamento degli illeciti.
Gli atti provenienti dai soggetti privati sono equiparati – ai fini dell’accesso – ai documenti amministrativi (e quindi sono suscettibili di ostensione) solo se e in quanto “utilizzati in fini dell’attività amministrativa” ovverosia allorché, indipendentemente dalla caratterizzazione soggettiva, abbiano avuto un’incidenza sulle determinazioni amministrative.
Va invece escluso che la normativa possa essere invocata per accedere ai dati dei privati occasionalmente detenuti dall’amministrazione o che sono entrati in possesso di quest’ultima per mera contiguità o non scorporabilità con documenti utilizzati direttamente per l’attività amministrativa (Consiglio di Stato, sez. VI del 22 gennaio 2001 n. 191).
Sono esclusi dall’accesso i documenti che non ineriscono all’attività amministrativa ma a quella giudiziaria.
Ai sensi dell’articolo 24 comma 6 della l. 241/90, va escluso l’accesso agli atti preparatori o prodromici nei procedimenti amministrativi diretti all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e programmazione nonché dei procedimenti tributari, salvo diverse disposizioni di legge. In questi casi i divieti sono temporalmente limitati fino all’adozione del provvedimento finale, tanto che taluno ha individuato ipotesi di differimento.
Altri casi di esclusione (ipotesi tassative):
segreto di Stato;
segreto o divieto di divulgazione previsto ex lege (per esempio: segreto militare, segreto istruttorio, segreto professionale, segreto commerciale, segreto epistolare, segreto bancario, eccetera);
procedimenti tributari;
procedimenti selettivi, nei confronti di documenti contenenti informazioni psico-attitudinali di terzi.
Per gli altri casi di sottrazione facoltativi (possibili con regolamento) vedi art. 24 comma 6.
La lettera d) della l. 15/2005 individua l’oggetto dell’accesso. Rispetto alla precedente versione – recependo anche in questo caso le elaborazioni giurisprudenziali – vengono considerati accessibili, accanto agli atti interni, anche quelli che non afferiscono ad uno specifico procedimento: le esigenze degli interessati non ammettono dunque deroghe al di fuori dei casi di esclusione tassativamente previsti all’art. 24. La norma inoltre amplia la categoria degli atti accessibili, includendo i documenti non solo “formati” dalla pubblica amministrazione ma anche a quelli da essa comunque “detenuti”, in linea con le pronunce che avevano chiarito il significato del precedente inciso “comunque utilizzati ai fini dell’attività amministrativa”.
L’art. 23 comma 6 chiarisce poi che il diritto di accesso è esercitabile fino a quando l’amministrazione ha l’obbligo di detenere i documenti che interessano.
L’art. 22 puntualizza anche, al comma 4, che rientrano nel raggio dell’accesso esclusivamente i “documenti”, senza estendere l’obbligo di divulgazione alle informazioni che siano in possesso delle amministrazioni. Viene quindi espressamente escluso che i soggetti pubblici o comunque deputati a consentire l’esercizio dell’accesso debbano svolgere una preliminare attività di elaborazione o sistemazione di dati, notizie e informazioni:
riportate in una variegata pluralità di documenti, di cui è necessaria una preventiva ricerca ed un conseguente studio analitico;
non contemplate in alcun atto.
È prevista un’eccezione in materia di accesso ai dati personali da parte del soggetto al quale i dati stessi si riferiscono, così come previsto dal dlgs 30/6/2003 n. 196.

5. Il procedimento di accesso
L’articolo 25 comma 1 della l. 241/90 stabilisce che il diritto di accesso si esercita mediante esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi.
La richiesta dei documenti – indirizzata all’autorità competente a formare l’atto conclusivo ovvero a detenerlo stabilmente – deve essere motivata, affinché l’amministrazione possa valutare la ricorrenza dell’interesse giuridicamente rilevante (vedi schema a destra).
L’inerzia dell’amministrazione abilita il richiedente a sollecitare un riesame da parte del difensore civico ovvero ad adire direttamente il giudice amministrativo.
Il difensore civico (organo facoltativo di garanzia degli enti locali ai sensi dell’art. 11 del dlgs 267/2000) – interpellato in caso di rifiuto, espresso o tacito, o di differimento – ove lo ritenga illegittimo, lo comunica all’ufficio che l’ha disposto. Se quest’ultimo non emana un provvedimento confermativo motivato entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione del difensore civico, l’accesso è consentito. Qualora il privato si sia rivolto al difensore civico, il termine di 30 giorni per proporre ricorso giurisdizionale decorre dalla data del ricevimento, da parte sua, dell’esito dell’istanza al difensore civico.
Quanto alle modalità concrete dell’accesso va segnalato che l’istituto è regolato, nel vigente sistema, solo per i suoi tratti fondamentali da fonti normative, rimanendo per i restanti profili affidato alle scelte autorganizzative delle singole amministrazioni cui viene, di volta in volta, inoltrata la richiesta.
La conclusione è suffragata dalla l. 241/90 la quale stabilisce, all’art. 22 comma 3, che “entro sei mesi… le amministrazioni adottano le misure organizzative idonee a garantire l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 1”, mentre l’art. 5 comma 6 del dpr 352/92 dispone che “L’esame dei documenti avviene presso l’ufficio indicato nell’atto di accoglimento della richiesta, nelle ore di ufficio, alla presenza, ove necessaria, di personale addetto”. Alla luce di ciò si è stabilito che l’esibizione di un documento presso la sede decentrata piuttosto che presso quella centrale ove è stato adottato, rientra nelle valutazioni della singola amministrazione di riferimento, sicché non può trovare fondamento incondizionato la pretesa ad un accesso alla sede periferica con riguardo ad atti adottati da un’autorità centrale. (Consiglio di Stato, adunanza plenaria del 2 luglio 2001 n. 5).

6. Fattispecie specifiche

Diritto di accesso ad esposti e denunce
L’ampio concetto di documento delineato dal legislatore consente di attrarre nel raggio dell’accesso anche gli atti dei procedimenti ispettivi e sanzionatori. La conclusione merita alcune precisazioni.
Il privato che subisce un procedimento di controllo vanta un interesse qualificato a conoscere tutti i documenti utilizzati per l’esercizio del potere inclusi, di regola, gli esposti e le denunce che hanno attivato l’azione della pubblica amministrazione (cosiddetti atti di preiniziativa), suscettibili per il loro particolare contenuto probatorio di concorrere all’accertamento di fatti pregiudizievoli per il denunciato.
Al contrario, tuttavia, è stato precisato che gli esposti privi di tale contenuto probatorio restano sottratti all’accesso, poiché hanno semplicemente sollecitato l’avvio di un procedimento caratterizzato da autonomi atti di accertamento ed ispezione: la conoscenza di tali atti acquista un obiettivo connotato ritorsivo che l’ordinamento non può tutelare (Consiglio di Stato, sez. V, 3 maggio 2000 n. 1916).
Altri hanno rilevato che, qualora l’iter sanzionatorio abbia tratto origine da un esposto di terzi, quest’ultimo entra a far parte della sequenza procedimentale ed incide sulle determinazioni conclusive: per questo è sempre suscettibile di divulgazione, anche per consentire al privato che lo ha subìto di tutelare i propri interessi nelle diverse sedi (amministrativa, civile e penale), salva la sola omissione dei nomi degli autori dell’esposto per evitare che la loro collaborazione venga a mancare per timore di comportamenti ritorsivi (Tar Veneto, sez. II del 4 aprile 2004 n. 934).

Diritto di accesso agli atti difensivi
La normativa sull’accesso introduce alcune limitazioni di carattere oggettivo, definendo le ipotesi in cui determinate categorie di documenti non possono essere divulgate in ragione del loro particolare collegamento con valori giuridici protetti dall’ordinamento in modo differenziato.
L’innovazione legislativa a favore della trasparenza non ha travolto le ipotesi, previste dall’ordinamento, finalizzate a tutelare interessi specifici, di natura e consistenza diversa da quello riconducibile alla mera protezione dell’esercizio della funzione amministrativa.
In particolare l’art. 24 della l. 241/90 stabilisce che il diritto di accesso è escluso per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi dell’art. 12 della l. 801/77, nonché nei casi di segreto o di divieto di divulgazione altrimenti previsti dall’ordinamento: in tali eventualità, i documenti, seppur formati o detenuti dalla pubblica amministrazione, non sono suscettibili di ostensione, perché il principio di trasparenza cede di fronte all’esigenza di salvaguardare l’interesse protetto dalla normativa speciale sul segreto.
Sulla base di tali considerazioni, risultano in linea di principio sottratti all’accesso gli atti predisposti dai legali e dai professionisti in esecuzione di specifici rapporti di consulenza con l’amministrazione.
Tale segreto gode infatti di una tutela qualificata, avvalorata dalla specifica previsione degli artt. 622 cp e 200 cpp.
In merito all’accesso ai pareri legali di professionisti esterni da parte dei cittadini e dei consiglieri comunali ai sensi dell’art. 43 comma 2 del dlgs 267/2000, la giurisprudenza ha distinto due ipotesi (Consiglio di Stato, sez. V, 2 aprile 2001 n. 1893).


Accesso ai pareri legali di professionisti
Diritto di accesso e tutela della privacy

L’attuazione del principio di trasparenza dell’azione amministrativa mediante l’accesso agli atti può entrare in conflitto con il diritto alla riservatezza proprio di ciascun soggetto singolo o collettivo.
La l. 675/96 di salvaguardia della privacy (oggi recepita nel codice in materia di protezione dei dati personali, dlgs 30 giugno 2003 n. 196), era priva di norme di coordinamento con il dettato degli artt. 22 e seguenti della l. 241/90, limitandosi ad affermare che restano ferme le disposizioni in materia di accesso agli atti amministrativi (cfr art. 59 dlgs 196/2003): restava pertanto demandato all’interprete il compito di tracciare la linea di confine delle rispettive discipline.
Dottrina e giurisprudenza si sono pertanto impegnate alla ricerca di una soluzione in grado di coniugare i due valori altrettanto meritevoli di protezione giuridica.
Secondo un primo indirizzo, il titolare dell’interesse alla riservatezza può invocare una tutela sotto il profilo processuale: il terzo che si assume leso dal rilascio di documenti alla parte istante, esercita nel giudizio instaurato ex art. 25 l. 241/90 il ruolo di controinteressato, parte necessaria del processo, per cui la mancata notifica del ricorso integra una causa di inammissibilità del medesimo.
Autorevole dottrina (Pietro Virga) ha evidenziato come già in sede amministrativa occorra individuare procedure idonee a consentire ai soggetti interessati, ancora prima del giudizio, di poter rappresentare le proprie ragioni a salvaguardia della privacy. Si individua pertanto nel procedimento attivato con l’istanza di accesso – del quale va data notizia ai controinteressati ai sensi dell’art. 7 l. 241/90 affinché abbiano la possibilità di intervenire e di esporre le proprie legittime posizioni – il necessario terreno di vaglio concreto degli opposti interessi.
Uniformandosi all’orientamento dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato (sentenza 4 febbraio 1997 n. 5), la giurisprudenza ha inizialmente adottato il criterio del bilanciamento degli opposti interessi, statuendo che la soluzione all’interferenza dei distinti valori giuridici è indicata dallo stesso ordinamento.
L’interesse alla riservatezza recede ove l’accesso sia strumentale all’esercizio del diritto di difesa, ossia quando il richiedente agisce per tutelare propri interessi giuridici. È tuttavia stabilita una regola di proporzionalità, in quanto viene negata l’estrazione di copia (potenzialmente più lesiva) quando è sufficiente la semplice visione del documento.
Naturalmente, secondo le regole già viste, l’esigenza di conoscere gli atti amministrativi deve essere utile ai fini della tutela processuale.
La giurisprudenza successiva ha interpretato estensivamente il concetto di accesso difensivo, ravvisandolo non solo nel caso in cui provenisse da un soggetto già parte di un giudizio, ma anche da chi, proprio attraverso la conoscenza dell’atto, intendesse valutare l’opportunità di promuovere un giudizio.
A fondamento dell’impostazione si rileva che il diritto alla riservatezza non è protetto né dalla Costituzione né dalla l. 675/96 in termini così assoluti da escludere ogni ingerenza nella privacy, mentre il diritto di difesa è invece dotato di rilievo costituzionale (cfr art. 24 Cost.). In seconda battuta viene in rilievo il dato testuale dell’art. 24 comma 2 lett. d) della l. 241/90 e dell’art. 8 dpr 352/92.
Ad avviso della giurisprudenza più recente, la l. 675/96 (oggi dlgs 196/2003) imprime un nuovo assetto alla materia e agli interessi coinvolti, attraverso la previsione relativa ai dati sensibili: questi ineriscono ai valori più intimi della persona umana, costituendo un patrimonio riservato destinato a prevalere sulle istanze di accesso e sul principio di pubblicità (Consiglio di Stato, sez. V, 26 gennaio 1999 n. 59).
È bene sottolineare che l’art. 4 comma 1 lett. d) del dlgs 196/2003 definisce sensibili “i dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”.
A conforto di questa prospettazione, si è anzitutto precisato come il diritto alla difesa non debba essere assolutizzato rispetto a quello della riservatezza, dovendo l’amministrazione adottare tutte le precauzioni necessarie per ridurre al minimo eventuali lesioni che a quest’ultimo possano derivare.
Ad ulteriore sostegno, si è rilevato che la normativa sulla privacy stabilisce che il trattamento dei dati sensibili da parte di soggetti pubblici possa avvenire solo in virtù di espressa disposizione di legge, mentre la stessa comunicazione e diffusione a privati di tali dati è ammessa solo se prevista da una disposizione di legge o di regolamento, che specifichi i dati trattabili, le operazioni consentite e le finalità di interesse pubblico perseguite.
Si è in definitiva ravvisata nella disciplina legislativa sulla privacy la funzione di colmare le lacune della l. 241/90 (art. 24 comma 2 lett. d), individuando l’effettivo contenuto di uno dei casi di esclusione del diritto di accesso, quale è appunto quello connesso alla tutela della riservatezza: in definitiva l’accesso a dati sensibili, anche per esigenze di difesa, è precluso dalla necessità di tutela della riservatezza, salvo che un’espressa disposizione di legge o di regolamento consenta al soggetto pubblico la comunicazione a privati di tali dati. Il principio del bilanciamento resta applicabile ai dati personali non sensibili, per i quali la prevalenza del diritto di accesso per esigenze difensive non ha subìto deroghe dalla l. 675/96.
Un successivo orientamento (Tar Lombardia Milano, Sez. II, sentenza 23 giugno 2000 n. 4615) ha offerto nuovi spunti critici, facendo notare come l’art. 16 lett. c) dlgs 11 maggio 1999 n. 135 (confermato sul punto dall’art. 59 del dlgs 196/2003) abbia qualificato l’attività di accesso, effettuata in conformità alle leggi ed ai regolamenti di attuazione, di “rilevante interesse pubblico”. Ne deriva, in linea di principio, la legittimità dell’accesso anche ai dati sensibili spettando all’amministrazione, in sede regolamentare, specificare quelli suscettibili di trattamento: ciascun ente dovrà identificare e rendere pubblici, secondo il proprio ordinamento, i tipi di dati sensibili trattati e le operazioni strettamente pertinenti e necessarie in relazione alle finalità di difesa, aggiornando tale identificazione periodicamente.
L’art. 60 del dlgs 196/2003 individua la categoria dei dati “sensibilissimi” (o supersensibili) statuisce (come il precedente dlgs 135/99) che “il trattamento concernente dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale è consentito se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso è di rango almeno pari ai diritti dell’interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile”. Di conseguenza la disposizione non risolve in astratto il conflitto tra l’interesse del terzo a conseguire l’accesso e quello alla riservatezza dell’interessato, ma rimette la soluzione alla ponderazione comparativa da effettuarsi in concreto, in primo luogo dall’amministrazione ed eventualmente, in sede di controllo, dal giudice amministrativo adito ai sensi dell’art. 25 della l. 241/90. Il bilanciamento astratto appartiene ormai al passato dovendo l’amministrazione prima qualificare e solo dopo comparare il diritto di cui si assume la necessità di tutela tramite la conoscenza dell’atto con il diritto alla riservatezza della posizione intima del terzo.
L’aspirante accedente, pertanto, non può più limitarsi ad addurre a fondamento della propria richiesta ostensiva generiche esigenze difensive, ma deve prospettare in maniera specifica la posizione giuridica soggettiva che solo con l’accesso si può difendere, specificandone, altresì, il rango (che deve essere almeno pari al diritto alla riservatezza di cui si fa portatore “l’antagonista”).
L’avvertita necessità di una più incisiva protezione dell’indicata categoria di dati ha indotto il legislatore, quindi, a subordinare ogni forma di trattamento ad una previa valutazione diretta a verificare che la relativa conoscenza sia necessaria, non già genericamente all’esercizio del diritto di difesa, bensì alla cura o difesa di un diritto di “rango almeno pari a quello dell’interessato”: la disvelazione del dato non è automaticamente imposta per il solo fatto che lo stesso risulti necessario all’esercizio del diritto di cui all’art. 24 Cost., ma presuppone, al contrario, una ponderazione comparativa dei diritti antagonisti.
Il codice della privacy, poi, prevede che, salvo quanto previsto dall’art. 60, i presupposti, le modalità, i limiti per l’esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi contenenti dati personali, e la relativa tutela giurisdizionale, restano disciplinati dalla l. 241/90 e regolamenti di attuazione, tenuto conto che le attività relative si considerano di “rilevante interesse pubblico”.
Da ultimo si segnala che – in merito al rapporto del diritto di accesso con la tutela della privacy – il nuovo testo dell’art. 24 comma 7 della l. 241/90 statuisce che “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’articolo 60 del dlgs 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”. La disposizione appare raccordarsi con le previsioni del codice per la tutela dei dati personali.
In presenza di dati sensibili e giudiziari l’accesso è configurabile solo come extrema ratio ove non sia possibile provvedere altrimenti al perseguimento, nei singoli casi, delle predette finalità.
Inoltre sembra indispensabile consentire al controinteressato di difendersi nel procedimento.

7. Casi pratici e soluzioni giurisprudenziali

CASO 1
L’associazione per l’abolizione della caccia chiede copia di tutte le licenze di porto d’armi rilasciate dall’amministrazione per uso caccia, al fine di verificare la veridicità delle autocertificazioni dei richiedenti e l’autenticità dei certificati di idoneità psico-fisica.

Va consentito, per garantire il diritto di difesa, l’accesso agli atti istruttori della prefettura che hanno condotto al provvedimento di divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti, qualora il diniego opposto ai sensi dell’art. 3, dm Interno 10 maggio 1994 n. 415 sia pretestuoso, in quanto gli atti richiesti non contengano notizie d’interesse per l’ordine e la sicurezza pubblica o per la prevenzione e repressione della criminalità, ma mere informazioni sul richiedente il porto d’armi, alcolista cronico.
(Tar Liguria, sez. II, 22 giugno 1999, n. 351)

CASO 2
Tizio, titolare di un’impresa che commercia mobili per ufficio, chiede di accedere agli atti di una trattativa privata indetta dalla prefettura per la fornitura di arredi nei locali degli uffici di Brescia.

La società che chiede di consultare i documenti relativi all’affidamento attraverso trattativa privata di un servizio deve indicare nell’istanza la specifica posizione giuridica che legittima la richiesta. Altrimenti, il rischio è che l’istituto dell’accesso venga trasformato da strumento di trasparenza in un mezzo di controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni.
(Consiglio Stato, sez. V, 21 novembre 2006, n. 6813)

CASO 3
Tizio ha conferito per un anno all’istituto di vigilanza privata X l’incarico di controllare nelle ore notturne l’azienda di proprietà. Tizio, dietro richiesta degli uffici amministrativi della sua azienda che intendono effettuare una verifica, chiede alla prefettura copia della licenza rilasciata a suo tempo all’istituto e l’elenco nominativo delle guardie giurate dipendenti.

In proposito cfr Consiglio di Stato sent. 11 gennaio 1994, sez. IV, secondo la quale il divieto di accesso può essere opposto solo nei limiti in cui i documenti siano strettamente connessi ad esigenze di segretezza e l’individuazione della categoria legislativamente tutelata dei documenti da sottrarre all’accesso deve essere effettuata dall’amministrazione con precisione e con responsabile e motivata valutazione.
Ai sensi dell’art. 24 lett. f), codice in materia di protezione dei dati personali, il consenso espresso dell’interessato non è richiesto quando il trattamento dei dati personali è necessario ai fini dello svolgimento delle investigazioni difensive di cui alla l. 7 dicembre 2000 n. 397 o, comunque, per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento, con esclusione peraltro della diffusione di tali dati personali.
(Tar Lazio Roma, sez. III, 31 maggio 2004, n. 5090)

CASO 4
Una società assicuratrice chiede all’amministrazione di accedere al fascicolo di Tizio, dipendente assente da tempo per malattia. La società ha un contratto con Tizio che garantisce a quest’ultimo un’indennità giornaliera in caso di malattia, ed intende verificare l’attendibilità del fatto.

A seguito dell’entrata in vigore della l. n. 675 del 1996, nel caso di richiesta di accesso a documenti contenenti dati personali sensibili relativi a terzi posseduti da una pubblica amministrazione, il diritto alla difesa prevale su quello alla riservatezza solo se una disposizione di legge espressamente consenta al soggetto pubblico di comunicare a privati i dati oggetto della richiesta; non costituisce ostacolo a tale conclusione la circostanza che, numerose disposizioni di legge consentono, ed in alcuni casi impongono, al datore di lavoro di conoscere, sia pure a mezzo di un medico designato le condizioni di salute dei lavoratori (nella specie il Consiglio di Stato in riforma della sentenza impugnata ha dichiarato legittimo il provvedimento emesso dall’Inail con il quale ha negato al datore di lavoro richiedente l’accesso alla documentazione clinica relativa agli accertamenti sanitari ordinati dall’ente, al dipendente del datore di lavoro che aveva denunciato la malattia professionale contratta sul lavoro).
(Consiglio Stato, sez. VI, 26 gennaio 1999, n. 59)

CASO 5
Il dipendente Rossi inoltra all’amministrazione domanda di accesso per avere copia della segnalazione che ha attivato una denuncia penale ed un procedimento penale nei suoi riguardi per assenteismo. Le segnalazioni sono due:
si informa codesta amministrazione che il sig. Rossi si assenta spesso dall’ufficio durante l’orario di lavoro per affari personali.
Il giorno 7 aprile 2003 il sig. Rossi, alle 10,30, ha abbandonato l’ufficio per recarsi nel vicino negozio di articoli sportivi. È poi rientrato un’ora più tardi dopo aver acquistato un paio di scarpe da ginnastica, dandone notizia ad alcuni colleghi. Il giorno successivo Rossi è tornato nel negozio alle 9 per un reclamo sulle scarpe.

Gli esposti privi di contenuto probatorio restano sottratti all’accesso, poiché hanno semplicemente sollecitato l’avvio di un procedimento caratterizzato da autonomi atti di accertamento ed ispezione: la conoscenza di tali atti acquista un obiettivo connotato ritorsivo che l’ordinamento non può tutelare.
(Consiglio di Stato, sez. V, 3 maggio 2000 n. 1916)

CASO 6
Una dipendente instaura un contenzioso con l’amministrazione per il mancato riconoscimento di mansioni superiori nel triennio precedente. L’amministrazione si rivolge al proprio legale, il quale formula un parere sulla linea da tenere in giudizio. La dipendente chiede copia della relazione preparata dall’avvocato.

Nel caso di istanza di accesso ad atti amministrativi, allorché venga in gioco documentazione coinvolgente la vita professionale di soggetti terzi, la necessità di tener conto dell’esigenza di tutela della privacy di costoro impone che sia ben evidente l’interesse prevalente alla ostensione degli atti in funzione della difesa degli interessi giuridici del proponente la istanza di accesso (nella fattispecie tale nesso funzionale dell’interesse ostensivo fatto valere dal ricorrente non è risultato provato, posto che non era chiaro – né appariva desumibile sulla base degli ordinari canoni della ragionevolezza – in che misura la attribuzione di elogi ed encomi ad altri militari avrebbe potuto tornare utile al ricorrente nella difesa delle proprie ragioni quale soggetto sottoposto a procedimento penale e disciplinare per una concussione ipotizzata a suo carico).
(Tar Puglia, Lecce, sez. II, 25 ottobre 2005, n. 4621)

È legittimo il diniego, opposto dall’amministrazione, alla domanda diretta ad acquisire conoscenza compiuta del procedimento, che ha portato alla ripartizione, a seguito di accordo sindacale, del Fondo Unico di amministrazione, in quanto essa comporta la conoscenza delle valutazioni espresse sulla qualità del lavoro di ciascun dipendente e financo sullo stato di salute, essendo l’erogazione rapportata anche alla presenza in servizio, con le giustificazioni delle assenze, trattandosi di divulgare dati personali, che possono essere diffusi solo in forma anonima, in base all’art. 112 comma 3 dl 30 giugno 2003 n. 196.
(Tar Friuli Venezia Giulia, Trieste, 17 luglio 2004, n. 423).

*Magistrato del Tar di Campobasso


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01/11/2007