L’album delle auto e delle moto storiche
In viaggio dal 1945 ad oggi sui veicoli della Polizia di Stato
Un percorso di storia
di Oscar Orefici*
È un patrimonio culturale e non solo. Quello rappresentato dalle auto e dalle moto d’epoca della Polizia di Stato è anche la tangibile testimonianza, a partire dall’immediato dopoguerra, di quanto la motorizzazione sia stata determinante nell’evoluzione del Corpo, in grado di adeguarsi alle esigenze richieste dal rapido evolversi dei tempi.
Macchine che profumano di storia e che evocano lo scorrere in parallelo di molteplici aspetti della vita pubblica nazionale. Dallo sviluppo dell’industria del settore, determinante per il progresso del nostro Paese, alle mutazioni del costume, all’imporsi di mode e modi di un’Italia nata dalle macerie di un conflitto disastroso, capace poi di conquistarsi solidità e benessere duraturo, sia pure attraverso eventi a volte tumultuosi.
Inizialmente, le auto e le moto della polizia destinate alla rottamazione sono state salvate da iniziative individuali di appassionati dipendenti dell’Istituzione, i quali, successivamente, agendo quasi fossero appartenenti ad una setta segreta, hanno provveduto a restaurarle. Un lavoro svolto con una cura maniacale, tanto che questi mezzi avrebbero poi partecipato con successo ad importanti manifestazioni storiche. Il fenomeno, di sempre più larghe dimensioni, non poteva lasciare indifferenti, fino a spingere alla realizzazione di un museo permanente dei mezzi della Polizia di Stato presso la vecchia sede della Fiera di Roma. Sforzo considerevole che ha evitato, innanzitutto, la dispersione di un’eredità d’inestimabile valore, oltre a dimostrare quanto la polizia tenga ad essere vicina alla gente pure tramite una struttura che ne tramanda una parte significativa della sua tradizione.
Le origini
La polizia ha iniziato a motorizzarsi, fra l’altro in sordina, solo negli anni Trenta, utilizzando vetture e moto civili, quali ad esempio la ben nota Fiat Balilla (nella foto in basso) destinata alle questure per l’espletamento del servizio da parte di pochi, fortunati funzionari di grado elevato. Del resto, da parte delle forze dell’ordine non era minimamente avvertita la necessità di disporre di un vero e proprio parco motorizzato. In quel periodo, con una società ancora prevalentemente agricola, il tasso di criminalità era infatti molto basso rispetto, ad esempio, a quello delle metropoli americane. Il clima politico di quegli anni era tale da scoraggiare manifestazioni di piazza.
Erano, invece, motorizzate altre componenti statali che non dipendevano dal Corpo. Come la Milizia nazionale della strada, antesignana della Stradale, dotata esclusivamente di motociclette; come la Polizia dell’Africa italiana (Pai), nata nel 1936 per operare nei territori d’oltremare. La Pai, formata da personale rigorosamente selezionato e addestrato, si è distinta per l’impeccabile organizzazione, all’avanguardia in tutto, anche nell’allestimento di un efficiente parco macchine, indispensabile per il controllo di regioni sconfinate. Queste due entità, confluite alla fine della guerra nel Corpo delle guardie di pubblica sicurezza, grazie alle esperienze maturate, hanno notevolmente contribuito allo sviluppo della sua motorizzazione.
Il dopoguerra
Nella riorganiz