Raffaele Lupoli
Odissea rifiuti
Nella Campania dell’emergenza cronica, il viaggio mozzafiato di un sacchetto della spazzatura. Alla ricerca della normalità perduta tra cumuli di rifiuti e inchieste della magistratura
Immaginate il percorso di un sacchetto di rifiuti dal momento in cui lascia la vostra abitazione. E ora immaginate di essere in Campania: raccolta differenziata al 10,65%, strade invase per mesi e roghi di immondizia, discariche contestate e “chiuse” dalla magistratura, impianti di produzione del cdr (combustibile da rifiuti) a dir poco inefficienti, vagonate di ecoballe (cumuli di cdr) esportate fino in Germania o messe sotto sequestro, aree ad alto rischio di tumori e malformazioni per la vicinanza di sversatoi e impianti. Nella regione dell’emergenza cronica il percorso del nostro sacchetto diventa un viaggio “mozzafiato”. Un’odissea soprattutto per i cittadini, che per giunta pagano la tassa sui rifiuti più alta d’Italia. Secondo uno studio di Cittadinanzattiva, Caserta è la città più cara: 393 euro l’anno per una famiglia tipo, contro una media nazionale di 206 euro. A Napoli, Benevento e Salerno si pagano rispettivamente 283, 264 e 213 euro. Solo Avellino è sotto la media italiana con 168.
Il traghettatore
A quasi quattordici anni dalla nomina del primo commissario governativo (era l’11 febbraio 1994 quando il prefetto pro tempore di Napoli Umberto Improta assunse l’incarico) la gestione straordinaria è al suo ultimo quadrimestre. Dopo le dimissioni, lo scorso luglio, del capo della Protezione civile Guido Bertolaso spetta ora al prefetto Alessandro Pansa il compito di traghettare la regione verso il ritorno all’ordinarietà entro il nuovo anno. Il neocommissario, che eredita una struttura con 600 milioni di debiti e 170 di crediti dai comuni morosi, ha completato la “ripulitura” delle strade e ora sta mettendo in piedi “squadra e schemi” per avviare il risanamento dell’intero ciclo dei rifiuti campani. “Il nuovo piano – ha spiegato Pansa nel corso dell’audizione davanti alla commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti – sarà pronto entro il 5 ottobre e se procederà senza interruzioni consentirà di stabilizzare la crisi in Campania”. La road map prevede sessanta isole ecologiche, diversi impianti di stoccaggio e il rilancio della differenziata, “un’attività che – conferma il prefetto – i comuni campani svolgono in modo ridotto, se si pensa che per fare una mappatura abbiamo avuto risposta soltanto dalla metà dei sindaci”. Su questo fronte il commissario ha intenzione di lavorare per settori. “Il primo deve essere la pubblica amministrazione e la prefettura di Napoli darà il buon esempio”, spiega.
Spreco organico
Assieme al rilancio della differenziata, per la corretta gestione del ciclo la Regione dovrebbe anche trasformare in compost, il concime derivato dai residui organici, le 410 mila tonnellate di rifiuti “umidi” prodotti ogni anno. Al momento è in fase di avvio a Molinara (Bn) un impianto da seimila tonnellate e il comune di Napoli ha annunciato che ne costruirà un altro. Poi ci sono quelli già in funzione (Polla e Caivano) che non vanno oltre le 36 mila tonnellate di umido trasformato ogni anno, meno del 10% del fabbisogno. Nonostante i fondi europei già stanziati e una iniziale disponibilità, molti sindaci che dovevano concedere i suoli per ospitare gli impianti di compostaggio sul loro territorio hanno fatto marcia indietro. Uno spreco di 3,4 milioni di euro: tanto si è speso per il solo trasporto fuori regione dei rifiuti organici. E a proposito di sprechi va ricordato che i Consorzi di bacino retribuiscono 2.180 addetti alla differenziata che non sono però messi in condizione di lavorare.
Un’altra ferita aperta è rappresentata dai sette impianti di cdr, dai quali esce un prodotto, le cosiddette ecoballe, non adatto all’incenerimento perché le condizioni strutturali impediscono una corretta lavorazione.
Verità sulle ecoballe
Il piano regionale sui rifiuti prevede la chiusura a turno di ognuno dei 7 impianti per interventi di ammodernamento, ma nel frattempo l’8 agosto scorso la magistratura ha ordinato il sequestro di nove aree dove sono stoccate le ecoballe proprio a causa della loro scarsa qualità. Si parla di 3 milioni di balle sui 5 disseminati nella regione. Quei depositi situati fra le province di Napoli e Caserta, si legge nel decreto del gip Rosanna Saraceno, vanno considerati “discariche abusivamente gestite”. L’attenzione dei pubblici ministeri Giuseppe Noviello e Paolo Sirleo si è appuntata sulla corrispondenza del materiale stoccato ai parametri di legge. Per i giudici quel materiale andava smaltito in discarica e non accumulato in attesa che si completi il termovalorizzatore di Acerra, perché non hanno i requisiti chimici e di legge per essere bruciati. I magistrati ora ordinano a Fibe, che gestisce gli impianti, di farsi carico della distruzione delle ecoballe: se così fosse, quello che doveva essere un profitto si trasformerebbe per l’impresa in un esborso di 600 milioni di euro.
Irregolarità e accuse
Il provvedimento rappresenta l’ultimo atto dell’inchiesta che a fine luglio è scaturita nella richiesta di rinvio a giudizio per 28 persone, fra cui il presidente della Regione Campania Antonio Bassolino. I magistrati sostengono che, per l’inadeguatezza o la mancanza degli impianti, il ciclo dei rifiuti in Campania non avrebbe mai potuto funzionare così come era previsto nel contratto stipulato con la Impregilo. Sia la società appaltatrice sia Bassolino, che ha gestito il commissariato fra il 2000 e il 2004, pur essendone consapevoli avrebbero compiuto delle irregolarità per nascondere la situazione. Oltre al presidente della regione, nelle 28 richieste di rinvio a giudizio compaiono anche il vice-commissario e il sub-commissario dell’epoca, gli ex vertici di Impregilo e gli amministratori delle società collegate Fibe e Fisia. A fine giugno i magistrati napoletani hanno sequestrato a Impregilo linee di credito per 750 milioni di euro e la società era già stata interdetta per un anno a trattare con amministrazioni pubbliche incarichi relativi alla gestione dei rifiuti.
Casse bloccate
Dal 13 luglio l’ex prefetto di Milano Bruno Ferrante è diventato presidente di Fibe spa e Fibe Campania spa: un integerrimo servitore dello Stato, che in passato ha già lavorato con il prefetto Pansa, ora guida le due società sotto inchiesta per i rifiuti. “Da parte nostra è un segnale di massima trasparenza per risolvere l’impasse di Napoli”, ha spiegato il vicepresidente di Impregilo Antonio Talarico.
Dopo il “congelamento” dei 750 milioni Fibe e Fisia sono in difficoltà per i pagamenti dei fornitori e dipendenti per i sette impianti cdr della regione. E il problema delle casse bloccate si ripercuote anche sui lavori di ultimazione del termovalorizzatore di Acerra, dove l’apertura del primo blocco era già slittata da ottobre a fine anno. Una situazione che sembra allontanare l’avvio dei lavori per il secondo impianto di incenerimento, quello previsto a Santa Maria La Fossa (Ce), nonostante a fine luglio sia arrivata la valutazione d’impatto ambientale. La commissione ministeriale ha subordinato il via libera al rispetto di 40 prescrizioni: sarà necessario modificare camini di scarico, ventilatori, filtri e si dovranno creare sistemi di controllo e di riduzione del rumore.
Insomma, la partita del ritorno alla normalità si gioca su due campi che spesso si incrociano: quello del risanamento dell’intera filiera dei rifiuti e quello giudiziario, entrambi impegnativi e carichi di imprevisti.
Differenze d’impresa
Aziende in grado di rimettere in circolo 50.000 tonnellate all’anno di materiali. E trasformare i rifiuti in risorsa. Ma nella Campania dell’emergenza, dei rifiuti esportati in Germania e del 10,65% di differenziata sono costrette a importare plastica, carta, alluminio e legno. Ciò nonostante, i loro impianti all’avanguardia lavorano a regime dimezzato. Una situazione paradossale che vede due imprese campane – Erreplast e Di Gennaro – costrette a importare rifiuti da altre regioni e dall’estero.
“Il nostro impianto può trattare oltre 20 mila tonnellate di rifiuti l’anno ma ne trattiamo appena la metà – racconta Antonio Diana, amministratore delegato di Erreplast – Di queste 10 mila il 70% arriva da Lazio, Toscana, Puglia e Marche”. Fiore all’occhiello della zona industriale a nord di Aversa, in provincia di Napoli, Erreplast è tra i maggiori produttori europei di pet da riciclo. Ed è un’impresa attenta all’ambiente anche nel ciclo produttivo: attraverso un complesso impianto di ricircolo, infatti, limita considerevolmente i consumi di acqua, prodotti chimici e di energia. “L’impianto è stato realizzato nel 2000 e c’erano tutti i presupposti per ipotizzare uno sviluppo negli anni successivi – aggiunge Di Palma – Anche nella speranza che si raggiungessero i livelli ipotizzati di raccolta differenziata in Campania”.
A Diana fa eco Giuseppe Di Gennaro, amministratore dell’omonima società che da anni a Caivano, in provincia di Napoli, e in altre sedi della regione, si occupa di recupero e valorizzazione dei rifiuti: “In tanti anni nessuno è riuscito a dar vita a una vera pianificazione delle necessità impiantistiche – afferma – con il risultato che oggi la disponibilità di impianti di trattamento è paradossalmente sovradimensionata rispetto ai livelli raggiunti dalla raccolta differenziata. Purtroppo, anche noi condividiamo le contraddizioni e gli affanni del sistema di gestione dei rifiuti della Campania”. L’impianto di Caivano ha una capacità di 30.000 tonnellate e utilizza tecnologie d’avanguardia che gli consentono di ottimizzare l’intero ciclo produttivo. L’ambizione di Di Gennaro è che possa finalmente “operare in una situazione normale, in cui scelte progettuali e investimenti possano avvenire in un clima di ragionevole certezza”.
Salute sotto controllo
In Campania esiste un legame tra alcuni tipi di tumori e malformazioni e la gestione illegale e incontrollata dei rifiuti. Lo ha confermato uno studio commissionato nel 2004 dalla Protezione civile all’Istituto superiore di sanità (Iss). La ricerca individuava undici comuni fra le province di Napoli e Caserta dove i tassi di tumori e malformazioni sono superiori alla media. La mappatura del rischio sanitario legato alla presenza di discariche e impianti di trattamento dei rifiuti sarà costantemente aggiornata grazie al “Protocollo di cooperazione e di interscambio informativo tra la Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e l’Istituto superiore di sanità”. Il protocollo è stato firmato il 20 luglio scorso a Napoli tra il commissario straordinario Alessandro Pansa, il presidente della commissione parlamentare Roberto Barbieri e il presidente dell’Iss Enrico Garaci. “Vogliamo trovare la correlazione scientifica tra i rischi ambientali legati al ciclo dei rifiuti e il manifestarsi di patologie come i tumori”, spiega Garaci. Dopo una prima fase di monitoraggio in 226 siti e 196 comuni tra le due province partirà l’analisi degli agenti tossicologici presenti in queste aree.