Cristiano Morabito

Com’è umano lei!

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Con Fantozzi e Fracchia ha creato e incarnato l’uomo mediocre, modello impiegatizio. Oggi Paolo Villaggio ha ancora molto da raccontare e non solo come comico

PaoloVillaggio

“Chi è Fantozzi nella vita reale? Beh, guardi se fa un esame preciso di tutto quello che le è successo nella vita finora, potrebbe scoprire di esserlo anche lei! Certo che Fantozzi è un’esasperazione, una caricatura. Non esiste (speriamo, ndr) nella realtà uno così sfortunato!”.
Così esordisce Paolo Villaggio, il padre dell’impiegato più famoso d’Italia, in un tiepido pomeriggio romano seduto al tavolino di un bar mentre, nel suo kaftano nero, sorseggia un succo di frutta e ci racconta come, tra battute e riflessioni sull’esistenza, è nata la figura del ragioniere matricola 7820/8bis in forza all’Ufficio sinistri della Italpetrolcemetermotessilfarmometalchimica.
Quarant’anni fa nasceva Fantozzi. Avrebbe mai pensato di avere un successo così “clamoroso”?
Assolutamente no. Anzi, all’inizio pensavo che avrei fatto una gran fatica. Lo sa che a volte non mi capacito che mi sia successa una cosa così importante tanto da trovare nel vocabolario italiano (pagina 702 dello Zingarelli 2007, ndr) la voce “Fantozzi”? In un primo momento il personaggio era piuttosto modesto, scomodo e, quindi, non avevo la minima speranza che avesse successo. All’epoca (era il 1968) recitavo monologhi alla televisione in una trasmissione che si chiamava Quelli della domenica in cui raccontavo la domenica tipo di un “mediocre” chiamato Fantozzi, che mi sembrava un nome abbastanza buffo. Questi monologhi furono poi pubblicati tutti i mercoledì sull’Europeo ed ebbero una grande fortuna.
Forse anche perché usava un linguaggio innovativo per quel tempo.
Sì, il linguaggio era insolito, comico e molto stringato. Ad esempio, quando presento il personaggio dico: “... si alzò: craniata pazzesca!” (in “craniata” si riassume tutta una descrizione che sarebbe lunga e noiosa, ndr). Questo nuovo modo di esprimersi convinse l’editore Rizzoli a chiedermi di scrivere un libro. All’inizio ne stampammo 10 mila copie, ma poi ne vendettero circa un milione e mezzo; grazie al fatto che usavo la televisione per promuovere il mio personaggio. Cosa che poi da allora hanno fatto un po’ tutti. A quel punto Fantozzi era diventato appetibile per il cinema. Dato che Rizzoli era anche produttore cinematografico con la Cineriz, entrai in contatto con Fabio Frizzi, il direttore della casa cinematografica, che mi disse “Facciamone un film” e ci mettemmo alla ricerca di un protagonista. Come primo attore pensammo ad Ugo Tognazzi, ma lui a quel tempo era a ben altri livelli; poi a Renato Pozzetto che aveva appena avuto un grande successo con Per amare Ofelia. Alla fine Frizzi mi disse “Perché non lo fai tu?”. Sinceramente ebbi un po’ di timore ad accettare perché non pensavo né di essere comico né, tantomeno, adatto ad interpretare la parte; poi l’ho fatto ed è stata la mia fortuna, ma anche la mia sfortuna perché poi si rischia di rimanerne imprigionato, soprattutto per colpa di certi produttori italiani...
Comunque non le dispiace essere ricordato soprattutto per Fantozzi.
Beh, no. Sarebbe come chiedere a Chaplin se gli dispiace essere ricordato per Charlot! Ma non vorrei essere ricordato solamente dopo... Ci sono personaggi che ho conosciuto come Alberto Moravia che non aveva paura di morire perché sapeva che sarebbe sopravvissuto, nelle sue opere. Ricordo che quando se ne andò La Repubblica fece un titolone a nove colonne bellissimo “Senza Moravia”. Voglio dire, è un omaggio incredibile! Un altro che non aveva sicuramente paura della morte era Federico Fellini. Mentre chi non è del tutto affermato nella vita ha, secondo me, una terribile paura della fine.
In Italia ci sono più di mille persone che si chiamano Fantozzi e circa cinquecento Fracchia. Ha mai ricevuto lamentele da qualcuno?
Per lo più benevole. C’è chi mi ha detto “Lei mi ha messo nei guai!”. Pensate però ad un capoufficio con quel cognome... Devo dire che molti Fantozzi o Fracchia che ho incontrato mi hanno espresso una certa gratitudine perché così ispiravano simpatia al prossimo. Il successo del personaggio è stato che la sua mediocrità faceva ridere tutti, tanto che mi fermavano per strada dicendomi che era uguale al loro vicino di pianerottolo, al collega di lavoro... In qualche modo li ho liberati dal timore di essere “diversi”, rassicurandoli sul fatto di essere nella norma, ossia di essere rassegnati, subire il consumismo e tutte le tragedie delle metropoli. Insomma di rientrare nella figura del “non riuscitissimo”.
Gli impiegati sono ancora oggi come era quarant’anni fa il suo ragioniere?
Forse sono addirittura peggio, perché ora si travestono. Portano orecchini, capigliature strane, jeans rotti... Insomma si mascherano da altri, da liberi, da giovani e invece sono ancora più infelici. Oggi ci sono tantissimi giornaletti di gossip specializzati su vip villeggianti in Sardegna, a Ibiza e alle Maldive e che invogliano la gente comune ad andare in questi posti a “farsi vedere”. Un tempo l’impiegato tipo andava in posti dove spendeva poco, non era un presenzialista. Oggi molti “non riusciti” lo sono diventati e la loro sofferenza è secondo me terribile, perché un conto è andare a Rimini dove tutto considerato sei uno dei tanti, lì invece, tra barche di novanta metri e veline varie, sei sottoposto ad umiliazioni terribili. Noi abbiamo ereditato dagli americani la “cultura del successo”, ma nella vita reale pochi arrivano a conquistarlo, gli altri si rifugiano in alcuni luoghi comuni, come la famiglia che, secondo me, è una tragedia; oppure dicono “a me basta poco, mi accontento di poche cose...”. Non è vero. Mi sembra sia una forma di ipocrisia, vergognarsi di non essere del tutto felici.
Oggi il cinema ha scoperto la moda dei “prequel” delle saghe, lei ci ha mai pensato?
No, ma me l’hanno proposto varie volte. Lo scotto da pagare era di fare il morto che, facendo gli scongiuri di rito, è un ruolo abbastanza scomodo, oppure il nonno o lo zio di Fantozzi. Ultimamente mi hanno chiesto di fare lo zio di Massimo Boldi, che essendo molto comico poteva un po’ rassomigliare al mio ragioniere. Io l’avrei anche azzardato, nella mia vita ho fatto anche molte cose orrende di cui mi vergogno; e anche questa poteva essere, anzi sicuramente sarebbe stata una di quelle. Ma poi non se ne è più parlato.
Quali altri ruoli interpretati, sia comici che drammatici, ama ricordare?
Ho interpretato più di cento film, facendo di tutto nella mia vita. Per la verità, come ho già detto, anche dei film terribili perché a volte i produttori ti “corrompono”. Ma se mi chiede un titolo non glielo dirò mai perché sono comunque fatica e lavoro di registi che magari oggi non ci sono più. Per quanto riguarda i ruoli drammatici io li definirei piuttosto come grotteschi. Tra i personaggi di Fellini ho sempre amato il clown, lo squilibrato, il malato di mente. Il personaggio del prefetto Gonella che interpreto ne La voce della luna è un pazzo squilibrato, così come ne Il bosco vecchio di Ermanno Olmi. Non li definirei ruoli drammatici, piuttosto direi che sono non dichiaratamente comici. Gonella nella sua follia faceva ridere, perché la follia è sempre buffa, si pensi a quante barzellette ci sono sui pazzi. Anche i nuovi comici, come Boldi, interpretano dei personaggi un po’ schizofrenici, e sono situazioni che fanno ridere; sono la rappresentazione del comportamento a volte folle dei giovanissimi. Questi si continua a dire che “non hanno valori”, ma siamo noi anziani che non gliene abbiamo lasciati in eredità. La mia generazione credeva fermamente nei valori della cultura in cui cresceva, quando alle ragazze bastava che sposassero un ingegnere. Oggi nessuno più accetta la “mediocrità” di quella vita. Stranamente i ragazzi di oggi cercano solo lo “sballo”, non perché sono cattivi o perché le discoteche li traviano. Secondo me è perché i giovani hanno paura di una realtà che non gli piace molto. Lo sballo è un tranquillante.
Ha sempre dato delle notizie un po’ vaghe sulla sua famiglia, finché non ha scritto un’autobiografia...
... quasi del tutto inventata. Le biografie vissute più intensamente sono quelle inventate, dato che trovavo la mia alquanto piatta. C’è poco di vero, come nel primo incontro con mia moglie (che spero non leggerà mai tutto questo), tranne che per la grande nostalgia che ho per la mia giovinezza. Le dirò che gran parte delle persone che l’hanno letta, non sapendo che era quasi totalmente finta, mi diceva “che meraviglia, lei è una persona fantastica”, oppure “bellissima la storia d’amore con sua moglie!”... che nel libro è del tutto inventata, anzi idealizzata.
Se dovesse interpretare una fiction sulla polizia che ruolo le piacerebbe?
Vorrei essere il capo della polizia! Non so come sia lui nella realtà, ma io sarei uno cattivo, spietato, mi piacerebbe incutere un po’ di timore. Alla mia età avanzata, dopo tanti anni di interpretazione del ruolo di subalterno, sogno di comandare. Mi pare sia lecito.

01/10/2007