Maria Grazia Giommi

La legge che non c’è

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In attesa di una normativa specifica per il reato persecutorio nel suo insieme, sono stati attivati progetti e centri ascolto con la collaborazione della polizia

Sebbene lo stalking sia un fenomeno molto diffuso in Italia, non esiste nel nostro codice penale una ipotesi di reato specifica, cioé che punisca l’attività persecutoria nel suo insieme. L’impossibilità per la polizia e la magistratura di porre in essere un’attività di prevenzione efficace a tutela della vittima di molestie ripetute e minatorie, che consentirebbe di prevenire atti più gravi e definitivi, è data proprio dalla mancanza di un’ipotesi criminosa specifica.
Attualmente l’unica ipotesi di reato a cui si può fare riferimento (quando l’atteggiamento del persecutore non sfoci in fatti reato più gravi) è quella dell’art. 660 che punisce la molestia. Si considerano pertanto solo i singoli episodi molesti e si tratta di un reato punito molto lievemente, pertanto anche le iniziative possibili sono molto ridotte. Se non sono presenti singoli reati dove la via penale è l’unica auspicabile e da perseguire, la vittima può anche fare un esposto alla polizia che in base a quanto previsto dal Tulps (art. 1 Rd 773/33) ha la funzione di redimere i privati conflitti.
Qui è il nodo del problema: perché lo stalking non va affrontato come eventi singoli ma in una visione complessiva come sequenza di eventi uniti e potenzialmente più pericolosi. In sostanza quello che conta ai fini della valutazione del danno non

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01/10/2007