Giacomo Cherchi

Chiedere per sapere

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Una ricerca effettuata dalla Seconda università di Napoli evidenzia l’utilità dell’intervista cognitiva per aiutare i testimoni di delitti a ricostruire l’accaduto

 “Bene, so che è stanca, ma dovrebbe dedicarmi altri dieci minuti del suo tempo. Dovrebbe raccontarmi nuovamente il fatto partendo dall’ultima cosa che ha visto. Come se mi avesse descritto un film e ora riavvolgessimo la pellicola. Mi pare che l’ultima cosa che ha visto sono stati i due rapinatori andare via sul motorino...”. Senza volerlo, in modo del tutto inconsapevole l’agente di turno all’ufficio denunce del commissariato sta mettendo in pratica uno dei passaggi più importanti della tecnica dell’intervista cognitiva di Ronald Fisher, quello di far raccontare ancora una volta, partendo dalla fine, la dinamica della rapina subita.
Ma come viene percepito, nella realtà operativa di tutti i giorni, l’utilizzo di tecniche come quella di Fisher da parte della polizia italiana? Se un poliziotto nell’acquisire una testimonianza fa uso di una strategia comunicativa quale quella prevista dall’intervista cognitiva piuttosto che una comunicazione di tipo più tradizionale, ottiene davvero dichiarazioni ritenute più credibili ed utili a fini investigativi?
Per rispondere a queste domande e conoscere l’atteggiamento degli operatori di polizia sull’utilizzo di te

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01/09/2007