Annalisa Bucchieri

La creatività al lavoro

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I luoghi istituzionali della polizia, al Viminale e alla Scuola superiore, rivisitati dalla maestria di un grande scultore, Mario Ceroli

Spaesati cerchiamo spesso un bandolo nella matassa dell’arte contemporanea che si avvolge in libertà, restìa ad essere imbrigliata in regole, etichette, canoni estetici; ribelle a qualsivoglia rassicurante riconducibilità ad un movimento dominante, capace di riconoscersi solo nel termine Transavanguardia, qualcosa che “va oltre”, “che attraversa”, senza specificare la propria direzione. Ma in questo sfuggire alla presa, alla previsione, alla fine si trova un unico comune denominatore: la “delocalizzazione”. L’arte dei nostri giorni esce dai musei, dalle accademie, dai luoghi deputati, per entrare nelle case e negli ambienti di lavoro. Sceglie di essere quotidiana presenza tra gli uomini, ne assorbe gli umori, gli odori, le vibrazioni e vuole penetrare la loro sensibilità per osmosi, facendosi usare, maneggiare, vivere. Mutua dal design il criterio della funzionalità togliendosi di dosso la cornice e abbandonando il piedistallo per entrare in stretto contatto con il suo pubblico. Rifiuta di essere decoro, ornamento, abbellimento, per interagire con gli abitanti della casa, per animare sale riunioni e uffici, provocare desideri ed emozioni pensanti.
Ecco che l’incontro del maestro Mario Ceroli, scultore di grandissima fama con l’istituzione e con gli uomini della polizia trasforma gli ambienti romani della Scuola superiore e quelli del secondo piano del Viminale in “arte da vivere”.
Se quasi sempre i mobili e gli oggetti d’arredo creati da Ceroli, ha scritto giustamente il critico Gillo Dorfles, sono da considerarsi come sculture, difficili da utilizzar

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01/07/2007