Alice Vallerini
Poliziotti per fiction
Le più importanti serie televisive sulle forze dell’ordine viste attraverso l’occhio degli studiosi. Una ricerca spiega il perché del fascino della divisa sul piccolo schermo
Rappresentare un’identità, rendere trasparente quello che si fa ogni giorno e senza clamori per strada o nei commissariati. E dire ai cittadini: siamo come voi, persone. Nell’era della comunicazione, le forze dell’ordine hanno scelto di farlo attraverso il mezzo più trasversale e potente: la tv. Negli ultimi anni le fiction in divisa fanno incetta di ascolti. Il caso di Ricky Memphis insegna: a ottobre, la sera in cui è andata in onda la puntata di Distretto di polizia 6 nella quale l’ispettore Belli muore, erano incollati davanti al piccolo schermo ben otto milioni di spettatori per uno share complessivo del 31%. Quella stessa sera il sito Internet della serie è stato intasato da centinaia di e-mail di fan disperati.
A scavare nelle dinamiche comunicative che caratterizzano la presenza degli uomini in divisa nelle fiction italiane è uno studio, realizzato da Milly Buonanno, professore ordinario dell’Università "La Sapienza" di Roma (Osservatorio fiction italiana) per conto del marketing della Rai. La ricerca, presentata nelle scorse settimane negli studi Rai di viale Mazzini a Roma, scava nel nuovo e galoppante filone della tv, punta un faro sulle emozioni su cui i serial in uniforme fanno leva, interpreta l’immagine che le forze dell’ordine puntano a trasmettere attraverso questi programmi tramite la collaborazione con le case di produzione. Lo studio è certosino: ogni singolo aspetto è attentamente preso in esame, completo di comparazioni e di ipotesi interpretative. Protagoniste indiscusse, le quattro più note istituzioni di sicurezza: Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri, Marina militare e Guardia di Finanza. Il campione preso in analisi è composto da 11 titoli di fiction di genere poliziesco-investigativo trasmessi dalle reti Rai e Mediaset nel corso della stagione 2005-2006, per una durata complessiva di 155 ore. Quasi tutte serie popolarissime e ormai rodate come Il maresciallo Rocca, Il commissario Montalbano o Distretto di polizia, anche se non mancano le new entry come Gente di mare o Nebbie e delitti.
Lo screen time
Prima importante osservazione: non è il numero di fiction dedicate a un’istituzione a determinarne la visibilità sul piccolo schermo. Conta soprattutto lo screen time, la lunghezza della serie. Un parametro per il quale è senza dubbio l’Arma dei Carabinieri l’istituzione più raccontata, visto che appuntamenti come Carabinieri, Ris e Don Matteo realizzano nell’insieme circa settanta ore, pari al 44% del tempo. Secondo punto da fissare: il mondo delle divise è costruito per i due terzi sulla fiction prodotta dalla televisione pubblica (100 ore contro 55). Il che non è solo un dato tecnico: i serial Rai si caratterizzano da sempre per un peso e una visibilità maggiore assegnato alla Polizia di Stato mentre quelli di Mediaset vedono storicamente in prima fila i carabinieri.
Quanti minuti in uniforme?
I ricercatori che hanno realizzato lo studio si sono posti un interrogativo: quanto e quando i personaggi delle fiction vestono la tanto citata uniforme? La domanda non è fine a se stessa, dato l’alto valore simbolico di ciò che indossano carabinieri o polizia. E la risposta non è scontata: è il gruppo della guardia costiera quello che più si caratterizza, rispetto agli altri, per un uso assiduo degli abiti d’ordinanza. Sono invece i poliziotti quelli che in più occasioni sono ripresi in abbigliamento casual e in borghese. Segno che l’informalità e il concetto di “uomo della porta accanto” che inevitabilmente ne deriva si legano nell’immaginario collettivo più all’agente che al finanziere: nessuno degli spettatori si aspetta di vedere Montalbano in divisa, mentre alla Guardia di Finanza, di contro, attribuisce d’istinto un’aura di formalità. Per la polizia è un punto a favore: alla gente, si sa, piace sbirciare nei retroscena.
Personaggi femminili in evoluzione
Legata al concetto di “backstage messo in primo piano” è poi anche la tendenza a mandare in onda immagini di personaggi femminili che appaiono vestiti in maniera sexy o in abiti da casa. Un modo per far passare l’elemento sensualità che contraddistingue l’universo femminile e fa da trait d’union tra l’aspetto domestico e la sfera professionale. Da qui si apre il capitolo della presenza delle donne nei serial: sebbene l’orientamento “maschiocentrico” domini ancora, oggi le fiction contribuiscono a diffondere l’idea della “femminilizzazione” delle forze dell’ordine. I dati confermano: tutte le 15 donne che fanno parte del gruppo dei personaggi in divisa presi in esame sono descritte come persone dotate di serietà e competenza professionale. Lo dimostrano i ruoli affidati al gentil sesso: la stazione dei Carabinieri di Città della Pieve (Carabinieri 5) è comandata da un maresciallo donna, indossa la gonna il dirigente del X Tuscolano (Distretto di polizia), e anche la Scientifica nella serie La Squadra è sotto una direzione femminile. Ma c’è un però: nonostante il ruolo chiave nel mosaico generale, carabiniere e poliziotte non rivestono mai quel ruolo di spicco che ne potrebbe fare le protagoniste assolute della storia. Tant’è che il maresciallo Rocca, i commissari Montalbano e Soneri (Nebbie e delitti), il capitano della finanza Traversari (Il capitano) non hanno e non hanno mai avuto un equivalente femminile. Certo è che il piccolo schermo sa bene come ammaliare lo spettatore e non perde occasione per sottolineare al pubblico l’avvenenza e la seduttività delle donne in divisa: le donne ritratte sono quasi tutte giovani, a differenza dei maschi che spaziano tra differenti fasce d’età. Per altro non si smette mai, quasi a sottolineare la difficoltà per una donna di adattarsi ai ritmi e alle difficoltà di una vita in prima linea, di mostrare scene in cui l’altra metà del cielo si rifà il trucco in fretta a bordo della volante o si pettina aspettando la fine del turno in commissariato.
“Quotidianizzazione”
Sono i rapporti di coppia la tipologia di legame affettivo più diffuso e rappresentato: un terzo dei personaggi ha, o cerca, una relazione sentimentale. Anche qui, scelta comunicativa mirata: un modo per far passare l’immagine di una vita professionale conciliabile con una sfera privata pseudo normale. Ciò si traduce in una parola: quotidianizzazione. Lo spettatore sbircia nelle case, negli spazi privati, nelle debolezze, nei riti e nel ménage di ogni giorno. Sentendo “vicine” e umane quelle istituzioni che per lungo tempo sono apparse asettiche e distanti. Per la stessa ragione, gli ambienti in cui i protagonisti dei serial più amati passano il tempo libero diventano luoghi familiari al grande pubblico: sembra quasi di esserci stati per davvero nella casa aperta sul mare dove il commissario Montalbano passa diversi momenti della giornata. Così come risulta accogliente per lo spettatore l’appartamento del maresciallo Rocca, attiguo alla stazione dei carabinieri. Per non parlare della vita familiare di alcuni protagonisti, cui si ha quasi la sensazione di partecipare: le scene di ordinaria conflittualità domestica tra il commissario Soneri di Nebbie e delitti e la sua compagna sono per lo spettatore come le scaramucce del vicino di casa. Tra i sentimenti rappresentati non mancano “colleganza” e cameratismo: l’ambiente professionale e le difficoltà tipiche del mestiere creano un sodalizio di ferro, una cooperazione tangibile e sentita. Sono i rapporti di profonda amicizia, quelli che ne emergono. Basti pensare alla confidenza tra Montalbano e il suo vice Mimì Augello, come al legame tra il maresciallo Rocca e il brigadiere Cacciapuoti. Tutte relazioni che travalicano l’ufficio. Non c’è da stupirsi allora se dalle rilevazioni emerge che l’incidenza dei rapporti personali nell’ambiente di lavoro delle forze dell’ordine coinvolge il 60% dei personaggi. Sono carabinieri e guardia costiera le istituzioni caratterizzate da legami più stretti tra colleghi, in polizia e finanza dominano invece i rapporti professionali.
I crimini più rappresentati
Impossibile, infine, non analizzare i tipi di crimini più rappresentati attraverso il tubo catodico: quelli contro la persona rappresentano quasi la metà dei delitti indagati (in prevalenza omicidi). Il che, buttando l’occhio al passato, trova base solida: da anni una branca importante della fiction poliziesca italiana associa la rappresentazione delle forze di polizia all’indagine sui casi di omicidio. Anche se esiste un altro filone importante ovvero quello legato alle organizzazioni di stampo mafioso (vedi La piovra). Una cosa in comune c’è, ed è trasversale: tutti i casi vengono puntualmente risolti. Come? Attraverso gli strumenti più classici del mestiere. Gli interrogatori sono presenti in più dei due terzi delle indagini, gli spostamenti su mezzi dal forte impatto visivo come elicotteri o imbarcazioni appaiono in circa la metà dei casi. Elevata anche la visibilià del lavoro, da sempre poco telegenico, degli esperti della scientifica: frutto di una rivoluzione avvenuta negli ultimi anni.
Buttando un occhio tra le decine di tabelle e statistiche del rapporto, emerge chiaramente che la “polizia in tv” è una sorta di baricentro tra le diverse realtà rappresentate: vi convivono caratteristiche soft e rassicuranti con atteggiamenti duri e professionali. I poliziotti, oltre ad essere protagonisti del maggior numero di indagini ad uso e consumo della telecamera, fanno anche parte dell’istituzione la cui rappresentazione televisiva è più vicina al profilo medio della fiction italiana: prevalenza di indagini contro la persona, affiancate a un forte impegno nell’opera di contrasto alla criminalità organizzata. Non significa che tutti i serial di polizia abbiano stile simile. I protagonisti de La squadra sono descritti come uomini e donne che fanno un mestiere “speciale” (solo in seconda analisi ne vengono mostrate le dinamiche umane e personali); al contrario i personaggi di Distretto di polizia sono soprattutto persone comuni. Due strategie narrative completamente diverse: una pensata per gli amanti del poliziesco, l’altra per far appassionare a storie di criminalità chi non se n’è mai interessato. I risultati parlano da sé: il giorno dopo la morte televisiva dell’ispettore Belli la gente fermava l’attore per strada per manifestargli la propria solidarietà. Non ha invece avuto vita facile il suo “killer” interpretato da Antonio Starniolo. In molti lo hanno braccato, quasi fosse un assassino vero.