Claudio Galzerano*
Viaggio verso il martirio
Identificare i reclutatori e individuare i processi di radicalizzazione del fondamentalismo. Questi gli obiettivi per combattere il terrorismo di matrice islamica in Italia e in Europa
Dalla conversazione telefonica intercettata il 30 giugno 2001 tra Sherif, egiziano, e Belkassem, probabilmente tunisino. Sherif: “Bou Belkassem... sono Sherif, hai capito?”. Belkassem: “Dio ti perdoni!”. Sherif: “Dio mi ha già perdonato... e siamo verso la sua direzione...”.
L’indomani Sherif viene identificato dalla Polaria di Fiumicino durante un controllo di routine nei pressi della biglietteria partenze dell’aeroporto “Leonardo da Vinci” all’atto dell’imbarco per Teheran. La sua meta finale è Herat, in Afghanistan, dove lo attende Abu Saad, la persona che qualche mese prima lo ha reclutato a Roma convincendolo a unirsi alle milizie di Al Qaeda.
Sherif non viaggia solo. Sono con lui altri due giovani magrebini trapiantati in Italia, il tunisino Salah ed il marocchino Mohammed, anch’essi identificati dalla Polaria.
Mohammed il marocchino, nonostante la giovane età, in Afghanistan c’è già stato, nel febbraio del 2000. Anche in quel caso si rivelò determinante l’opera di persuasione di un certo “Houssam”, conosciuto nella moschea torinese di corso Giulio Cesare, che le indagini permetteranno poi di identificare come esponente di spicco del Gruppo combattente islamico libico.
Anche Salah il tunisino viene da Torino, dove vivono i fratelli e dove incontra il marocchino Noureddine, che gli parla delle sue esperienze tra i mujaheddin afgani e dell’obbligo individuale di compiere la jihad. Nourredine lo avvicina quando lo vede interessato a dei nastri audio dello sceicco cieco egiziano Abdul Hamid Kishk, che esortava i credenti ad andare in Afghanistan a combattere. I nastri erano in vendita nella moschea di via Baretti a Torino. Per quello che se ne sa, senza l’intervento di Nourredine, Salah il tunisino non si sarebbe convinto ad andare in Afghanistan.
Le storie di questi tre