Giulia Bertagnolio
Relazioni pericolose
La maggior parte dei delitti nel nostro Paese avviene all’interno delle mura domestiche. A rilevarlo un recente (e inquietante) rapporto Eures-Ansa sugli omicidi volontari
La famiglia, sinonimo di tepore, di accoglienza. Sinonimo di rifugio sicuro, di braccia sempre aperte, di cibo caldo, di casa. Eppure proprio in famiglia sono sempre più numerosi gli assassini. Lo attesta un rapporto sull’omicidio volontario in Italia che la società di ricerche economiche e sociali Eures ha realizzato insieme all’agenzia di stampa Ansa: secondo i dati riportati oggi sono le quattro mura domestiche il principale ambito nel quale maturano i delitti, tant’è che nel 2005 i casi si sono attestati a quota 174 arrivando a coprire una percentuale del 29,1%. Tradotto in termini di frequenza il dato suona inquietante: i casi in cui si impugna l’arma (per lo più, da fuoco) per ammazzare un parente o un coniuge si verificano una volta ogni due giorni. Quadro che assume tinte ancor più forti se inserito in un contesto, quale quello attuale, caratterizzato da una generale diminuzione del numero degli omicidi che nell’arco del 2005 in Italia sono scesi quasi del 15%.
Per inquadrare le dinamiche che spiegano il fenomeno degli omicidi in famiglia, bisogna sfoltire la fitta sequenza di cifre che compaiono nel rapporto e isolare alcune componenti chiave: ecco allora che nel 2005 emerge chiaramente che le uccisioni di altra natura (come ad esempio i delitti di stampo mafioso, scesi di oltre il 23% rispetto al 2004) calano molto di più rispetto a quelle compiute tra le mura domestiche (174 casi nel 2005 rispetto ai 187 del 2004). Un “gap” che fa ancor di più balzare agli occhi lo scenario attuale, uno scenario in cui è più facile che la furia assassina si scateni proprio tra moglie e marito ma anche tra fratelli stessi.
Omicidi di vicinanza
Non sono però solo i legami di stretta parentela, quelli toccati dal fenomeno; le pagine di cronaca dei giornali parlano sempre più spesso di delitti tra conoscenti (59 le vittime nel 2005), tra colleghi di lavoro (20 le persone uccise), tra vicini di casa (15 assassinati). “A spiegare l’andamento sono molti elementi che si intersecano tra loro – spiega Francesco Gratteri, direttore della Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato – in primis la degenerazione sociale che investe il nostro tempo e che si trasforma in uno stato di intolleranza costante nei rapporti tra conoscenti e familiari”. Secondo il direttore della Dca si sono accentuate le tensioni sociali, complicati i rapporti e la comunicazione tra simili. Risultato: litigi che nascono per questioni banali sfociano in coltellate, piccole rivalità diventano pretesti per una strage. Erba insegna: quattro persone barbaramente uccise, di cui un bimbo di due anni, per mano di una coppia assassina “infastidita” dai comportamenti della famiglia della casa accanto. Ma non serve andare così indietro nel tempo per rintracciare “omicidi di vicinato” analoghi: a Catania, a fine febbraio, un’infermiera è stata strangolata da un inquilino del palazzo dopo una lite nata per dei soldi che lui doveva restituirle. A pochi giorni di distanza, ad Anagni, un uomo ha sparato ai vicini perché “da sempre volevano appropriarsi dei suoi terreni”. Lunga la lista dei precedenti: nel periodo 2001-2005 si contano in tutto 99 vittime solo di “omicidio di vicinato e coabitazione”, con un andamento medio di venti episodi annui.
Identikit di assassino e vittima
Nitida la fotografia scattata dal rapporto riguardo ai contesti nei quali più di frequente maturano delitti simili, alle cause, all’identikit dei protagonisti-tipo: lo scenario è rappresentato per lo più dai Comuni di piccole e medie dimensioni, prevalentemente del Sud. Negli omicidi “di vicinato” la vittima è donna nel 18,2% dei casi, mentre in quelli familiari la percentuale balza al 56,3. La mano assassina, invece, in entrambe le circostanze, è in prevalenza maschile. Cosa scatena la furia che conduce alla violenza estrema? Se nei delitti tra parenti e coniugi il movente è per lo più passionale (al Nord in particolare prevale la gelosia), in quelli tra conoscenti imperversano i tragicamente inflazionati “futili motivi”. Ovvero quella che gli autori del rapporto definiscono come la “conflittualità ordinaria del quotidiano”: liti e dissapori (26,3%), il volume della musica o l’odore della cucina (24,2%), problemi economico/amministrativi (30,3%). Pochissimi i casi in cui il delitto è immotivato, legato a un raptus.
Li hanno definiti “omicidi di prossimità”, i crimini maturati nella sfera familiare e relazionale. Quelli che pesano come macigni sulle pagine dei quotidiani, quelli che si smette di masticare a tavola quando si ascoltano nei telegiornali della sera. Accadono in cittadine qualunque, tra persone qualunque: mamme, padri di famiglia, fidanzati esemplari. Gente che per i conoscenti, come da copione sconvolti e increduli all’indomani dei fatti, è sempre “cosi tranquilla e brava”. In tutto rappresentano il 44,8% degli omicidi censiti complessivamente nel 2005. Un numero spaventoso.
Geograficamente trasversale
È stata commessa nei piccoli e medi Comuni la maggior parte degli omicidi avvenuti tra il 2001 e il 2005 in Italia: in quelli di 15-50 mila abitanti ne sono stati commessi il 23,5%, in quelli di 5-15 mila il 19% e in quelli con meno di 5 mila residenti il 15,5%. Oltre la metà dei casi è stata registrata al Sud (606 vittime, di cui 88 solo a Napoli, contro le 174 del Nord). Giorno più “battuto”, il lunedì. Mentre la fascia oraria più critica è quella serale. “Sebbene ci sia una continuità con il passato – continua Gratteri – oggi l’omicidio è diventato un fenomeno geograficamente trasversale. Sempre più spesso si registrano casi in zone d’Italia o in aree delle città, dove tempo fa era quasi impensabile ritenere che potessero verificarsi violenze estreme. Ovviamente, malgrado il rischio non sia più localizzato, alcune città restano complicate, con realtà complesse, oggettivamente più difficili di altre”.
Parla anche del lavoro delle forze dell’ordine il rapporto Eures-Ansa. O meglio ne parlano i dati, e in positivo: nella maggior parte dei casi di omicidio (il 58,4% nel 2005) si arriva a individuare e ad arrestare l’autore. L’incidenza, inoltre, non fa che salire: rispetto al 2004, nel 2005 i delitti per i quali l’assassino è finito dietro le sbarre sono stati il 3% in più. Scoperti soprattutto quelli di “prossimità”, dove nonni, zii e parenti assassini sono stati “incastrati” 6 volte su 10. “È innegabile – conclude il direttore della direzione anticrimine Gratteri – che negli ultimi anni sono migliorate le tecniche, la preparazione, la capacità degli agenti di intervenire sul campo e di ricostruire in breve tempo la dinamica dei fatti. Un dato tangibile, visibile agli occhi di tutti, che ha un riscontro diretto nella percentuale di casi risolti”.
Grandi città a rischio
Un quinto degli omicidi in famiglia avviene in Lombardia, seguono Lazio, Sicilia, Emilia Romagna, Veneto, Toscana.
A livello provinciale il triste primato lo hanno Roma e Milano. Disaggregando però il dato in base all’ampiezza demografica del luogo in cui è avvenuto il delitto emerge che l’“indice di rischio per 100 mila abitanti” è maggiore nei Comuni con oltre 250 mila abitanti, seguiti da quelli della fascia 15-50 mila.
Nella maggior parte dei casi la violenza estrema si genera in situazioni in cui la vittima e l’autore si trovano a convivere: abitavano con il loro assassino l’85,7% dei minori uccisi, il 66,7% dei ragazzi tra i 19 e i 24 anni. Negli ultimi due anni è stata spesso la scelta di una persona (la vittima) di interrompere la convivenza a scatenare l’impeto omicida. Ecco perché quasi sempre in caso di omicidio “passionale” i due protagonisti non abitano insieme ma si sono già separati.