Neno Giovannelli

Intervista dall’Interno

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Dalle strategie per la sicurezza del Paese ai risultati contro la criminalità organizzata. L’impegno del Governo sul fronte delle risorse per uomini e mezzi in un’intervista concessa dal vice ministro Marco Minniti

L’uccisione di Filippo Raciti a Catania rappresenta il punto più alto e doloroso di una spirale che va spezzata difendendo con intransigenza il diritto di tutti a vivere l’amore per la propria squadra nel segno del divertimento e nel rifiuto di qualsiasi eccesso, per questo Marco Minniti difende con forza il decreto che tende a fissare compiti e responsabilità intorno e dentro gli stadi. Ma è soprattutto verso la grande criminalità organizzata, il “caso Napoli” e le altre radicate emergenze che si dispiega l’analisi del vice ministro. La caccia senza quartiere ai boss, la cattura dei superlatitanti, il sequestro e la confisca dei beni illeciti rappresentano altrettanti punti fermi di una strategia a tela di ragno, a maglie sempre più strette. Non mancano le note critiche e l’auspicio affinché l’impegno delle forze di polizia non sia vanificato da una giustizia lenta la quale, sia pure per mille ragioni, non assicura celerità dei processi e certezza della pena.
Affrontando il tema del rapporto tra polizie nazionali e polizie locali Marco Minniti annuncia una riforma che metta ordine nelle competenze e conferisca agli enti locali la possibilità di stanziare fondi e progetti: “una nuova frontiera della sicurezza partecipata”. Nel quadro di un Paese profondamente mutato, dove tutti sono chiamati a compiere il proprio dovere, a fare la propria parte. Lo Stato, gli enti locali ma anche la scuola, le istituzioni e, naturalmente i cittadini.
Prima dell’omicidio di Filippo Raciti, ispettore capo della Polizia di Stato, i dati del ministero dell’Interno segnalavano una diminuzione di incidenti ma un aumento di feriti tra le forze dell’ordine. Le iniziative del Governo sul calcio hanno tenuto conto di questo quadro?
Intanto, vorrei ribadire tutta la mia solidarietà e il mio affetto alla moglie, ai figli, a tutti i cari di Filippo Raciti, ai suoi colleghi del Reparto mobile di Catania, e naturalmente, a tutta la Polizia di Stato. Abbiamo appreso dalle parole lucide e commosse della signora Raciti quanta sensibilità ci fosse in lui. Il fatto che la polizia di Catania abbia già individuato il presunto responsabile, poi, testimonia un impegno e una capacità straordinari e lascia intendere quanto sia professionalmente elevato il lavoro dei nostri uomini...
Per il resto, credo che il Governo e il ministero dell’Interno in questa occasione abbiano fatto per intero la propria parte. Nessun campionato vale la vita di una donna o di un uomo; e a maggior ragione, non vale la vita di chi va allo stadio per lavorare. Credo sia questo il significato umano e civile più profondo dell’affermazione del ministro Guliano Amato che ha subito detto che se non fossero cambiate le condizioni non avrebbe più impegnato i nostri uomini negli stadi.
Abbiamo proposto un decreto legge severo con misure senza precedenti che non intendono però punire il calcio o i tifosi, ma difendere in modo intransigente il diritto di tutti di recarsi allo stadio, con la certezza di non correre alcun rischio. Anche su queste questioni si misura la civiltà di un Paese.
Vice ministro, la questione delle mafie e delle grandi organizzazioni criminali resta al centro della strategia di contrasto del Viminale. In che modo fronteggiarle?
Il Governo ha la piena consapevolezza che non vi possono essere zone franche o territori in cui la sovranità dello Stato viene apertamente sfidata. Per questo la lotta alla mafia è una questione dell’intero Paese. Il nostro impegno deve essere implacabile, continuo, vorrei dire “normale”, nel senso di quotidiano e permanente.
Bisogna lavorare, con uguale intensità, su due punti. Da un lato assicurare alla giustizia i grandi latitanti: si pensi a quale scompaginamento nelle fila mafiose provoca la cattura di un boss come Provenzano. Dall’altro colpire i patrimoni illeciti deve diventare la scelta fondamentale che dobbiamo fare, perché così si colpisce il cuore della mafia. Le mafie soffrono la cattura dei loro capi: è importante farlo senza tregua. Purtroppo però le cosche sono capaci di sostituire rapidamente i propri gruppi dirigenti. Colpirli nel patrimonio, azzerare le loro ricchezze significa invece cancellare il loro lavoro di anni, togliergli aria, e anche fatto non irrilevante, prestigio. Per questo dobbiamo procedere con tenacia al sequestro e confisca dei beni dei mafiosi, e poi destinarli ad un uso pubblico, sociale. Quando un bene mafioso viene utilizzato dalla collettività, si ha la più evidente sconfitta della mafia.
Caso Napoli. Alla guerra di camorra il Viminale ha risposto con una strategia variegata e complessa. È già possibile un bilancio?
C’è un pacchetto sicurezza su Napoli che ha già cominciato a dare risultati importanti e significativi. Il ministero dell’Interno si è impegnato in una verifica periodica dei risultati conseguiti. Ognuno deve fare la sua parte ed assumersi le responsabilità conseguenti. Enti locali, chiesa, forze di polizia, istituzioni nazionali, scuola, mondo sociale e imprenditoriale devono collaborare ed offrire progetti innovativi, capaci di coagulare presenze, risorse, energie.
Resta alto il rischio che a queste operazioni si accompagni poi una lentezza della macchina giudiziaria che vanifica, come spesso è accaduto, tutto il lavoro svolto?
Uno dei nodi principali nella lotta ad ogni forma di criminalità è la funzionalità e l’efficienza dell’apparato giudiziario. Il Governo ne è consapevole. Non si possono frustrare gli impegni e il lavoro degli operatori di polizia. Certezza della pena e celerità dei processi sono due facce della stessa medaglia.
Sicurezza nella libertà è uno dei sentieri che lei ha percorso con maggiore forza facendone un valore irrinunciabile. Come si coniuga questa visione con la diffusa percezione di livelli di sicurezza non ancora soddisfacenti?
Non si possono comprimere le libertà fondamentali sull’altare della sicurezza. Ci possono essere limitazioni accettabili (come i nuovi e più accurati controlli agli aeroporti, l’uso di nuove tecnologie), a condizione che non inficino i livelli di libertà costituzionalmente garantiti. Il nostro Paese, anche nei momenti più difficili non ha mai fatto ricorso a una legislazione che mettesse in discussione i principi fondamentali di libertà.
Anzi, si può dire che sicurezza è libertà: se è vero che non c’è sicurezza che può essere scambiata con principi di libertà è altrettanto vero che non c’è vera libertà se non è garantita la sicurezza. E questo vale soprattutto per i più deboli.
Si è parlato di regolare attraverso una legge nazionale il rapporto tra polizie nazionali e polizie locali. Come integrare ambiti, compiti, limiti di queste forze?
C’è l’esigenza di arrivare presto alla riforma della polizia municipale per riconoscere a questi operatori non solo alcuni diritti ma alcune funzioni che oggi già esercitano, in particolare sul versante della sicurezza urbana. La strada della chiara suddivisione delle competenze è quella che va preferita e percorsa. Gli enti locali hanno oggi un ruolo importante nella costruzione delle politiche di sicurezza e il fatto che il sindaco sieda di diritto nel comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica ne è la migliore prova. Ma oggi abbiamo fatto un passo importante in più. Per la prima volta nella storia della Repubblica un articolo della Finanziaria consente anche agli enti locali di stanziare propri fondi per progetti di sicurezza concordati con il ministero dell’Interno che li gestirà. È una nuova frontiera della sicurezza partecipata.
Il coordinamento delle forze di polizia ha ottenuto in questi anni buoni risultati. Che cosa resta ancora da fare per considerare compiuta questa strategia?
La domanda pone un problema di fondo: quello del nuovo modello di sicurezza per il nostro Paese. Sono maturi i tempi per un approfondimento che considero essenziale. L’Italia è profondamente cambiata. È cambiato l’insediamento sociale, economico, abitativo. È in questo quadro che va affrontato il tema di un nuovo orizzonte del coordinamento di polizia. Si tratta in particolare di rendere possibile quella che io amo definire una “sovrapposizione intelligente”. Nel senso che quando in un Paese come l’Italia ci sono due forze di polizia a competenza generale, come la Polizia di Stato e l’Arma dei Carabinieri, è difficile pensare alla cancellazione di qualunque possibile sovrapposizione. È la comune definizione di forze di polizia a competenza generale che rende assai difficile un principio di assoluta complementarietà. Quando parlo di “sovrapposizione intelligente” penso alla necessità e possibilità di organizzare un sistema di distribuzione delle forze sul territorio capace di produrre il massimo di sinergia nell’azione delle forze di polizia.
Polizia di prossimità. Sicurezza partecipata. Sicurezza percepita. Integrazione delle diverse risorse e forze. C’è qualcosa da rivedere su questi fronti?
La sicurezza di un Paese non è solo ordine pubblico. È una questione un po’ più complessa, che riguarda l’organizzazione dell’assetto del territorio. È importante per la sicurezza, ad esempio di una zona, che ci siano le forze di polizia, la volante, il poliziotto di quartiere, ma è altrettanto importante che ci siano, ad esempio, l’illuminazione, una politica sociale adeguata, una capacità di pensare a piani urbanistici che aiutino e garantiscano la sicurezza. I compiti dello Stato e degli enti locali si devono necessariamente intrecciare.
Il poliziotto di quartiere è un’esperienza buona, che tuttavia oggi deve misurarsi con una nuova definizione della propria mission. Definire un ruolo dei poliziotti di quartiere che, dentro un pacchetto integrato, consenta di conquistare la legalità su pezzi del territorio urbano che oggi sfuggono al pieno controllo. In questo senso mi è capitato di dire che coi poliziotti di quartiere dobbiamo ricondurre alla legalità le “cento piazze” italiane oggi diventate infrequentabili.
Il sacrificio degli operatori di polizia viene continuamente notato e lodato. E tuttavia non sono mancati momenti di confronto e anche di conflitto con il sindacato. Il Governo ha promesso di affrontare il problema con la massima attenzione. In che modo?
Il confronto con i sindacati è continuo, li incontro almeno una volta al mese. C’è l’impegno del Governo di realizzare il riordino delle carriere entro questa legislatura. La Finanziaria ha stanziato le risorse per il rinnovo del contratto. Sono risposte concrete che riconoscono l’impegno e l’abnegazione da parte degli operatori.
In più occasioni lei stesso ha ricordato che sui mezzi di lavoro, le dotazioni e le tecnologia siamo a un punto limite: con le risorse destinate alla sicurezza dalla Finanziaria si andrà verso una normalità operativa o la questione resta aperta?
Nella Finanziaria abbiamo affrontato il tema dell’ammodernamento del parco mezzi, per il quale è stato istituito un fondo speciale di 100 milioni di euro, ma anche i problemi del personale. In quest’ambito abbiamo affrontato due questioni particolarmente importanti. Intanto, il ripristino del fondo a partire dal 2006 per il rimborso delle spese sanitarie sostenute dagli appartenenti delle forze armate e di polizia per infermità derivanti da attività di servizio. Il ripristino è stato non soltanto un punto forte ma un segnale a forte valenza simbolica ed etica. Inoltre, abbiamo affrontato il tema della specificità, dentro il contratto del pubblico impiego, del comparto sicurezza e difesa sul quale abbiamo messo in bilancio 40 milioni di euro per il 2007 e 80 milioni di euro per l’anno successivo. Il tema della sicurezza deve vedere nuovi investimenti e una più razionale utilizzazione delle risorse. Sono convinto però che questi sono già segnali molto, molto importanti.
01/03/2007