Annalisa Bucchieri

Vasco a sorpresa

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Milioni di dischi venduti e adesso un nuovo singolo che si può scaricare solo da Internet. Dopo venticinque anni di successi il rocker di Zocca si racconta così

Da piccolo sognava di fare il pilota d’aereo. Ma a farlo volare alto ci ha pensato la musica. “Con la musica è stato un incontro travolgente”, lui stesso racconta, “un amore a prima vista”. Grazie al quale, dopo oltre vent’anni di incisioni e concerti, Vasco Rossi riesce ancora a stupire regalando al suo pubblico un singolo inaspettato: Basta poco. Uscito in un periodo insolito, prima del Festival di Sanremo, è un gesto di libertà dalle logiche discografiche e mostra la voglia e la capacità a cinquant’anni di continuare a sorprendere e farsi sorprendere dalla vita. Forse è questo il segreto del suo intramontabile successo tra i giovani di ieri e di oggi. Lo abbiamo chiesto direttamente a lui, prima che si preparasse ad una delle serate bolognesi nel locale Mika dove accoglie amici e fans quasi ogni settimana.
Felpa, jeans e stivali a punta, il rocker di Zocca è così sul palco, come lontano dalle luci della ribalta: un uomo che si mostra come è dentro, che non si accontenta di farsi guardare solo da fuori come recita il testo di Basta poco. Uno che canta solo ciò che sente. E che dice quello che pensa.
La tua vita spericolata ti ha portato in passato ad avere qualche “incontro ravvicinato” con la divisa. Come è cambiato oggi il tuo rapporto con la polizia e in generale con le forze dell’ordine?
Beh, veramente quella del poliziotto è una vita spericolata... Mi dispiace che spesso il messaggio di quella canzone (uscita nel 1983, ndr) sia stato travisato e strumentalizzato per sostenere che inneggiavo al non rispetto delle regole e quant’altro. Allora avevo 31 anni e desideravo una vita spericolata nel senso di non ordinaria, non piatta o fatta di sole certezze. Ma chi del resto quando è giovane non sogna di fare esperienze emozionanti e straordinarie? Problemi con la giustizia li ho avuti e sono noti. Ma ora ho un rapporto splendido con i poliziotti. Adesso se mi fermano è per chiedermi un autografo. Certo qualche multa dalla Stradale l’ho presa, ma neanche tante e solo una per eccesso di velocità di 5 km/h rispetto al limite, per cui niente decurtazione di punti dalla patente. Del resto viaggio in automobile molto meno di prima.
La passione per la moto è rimasta però inalterata. Con il tuo team hai vinto anche un titolo mondiale nella classe 250: è possibile amare il brivido della velocità senza rinunciare alla sicurezza o meglio c’è bisogno di andare al massimo per divertirsi?
Il concetto giusto è la velocità non sulla strada ma in pista dove ci sono tante garanzie. Adoro veder correre il mio team e soprattutto seguire Valentino Rossi. Il motociclismo è uno sport che ti lascia con il fiato sospeso fino all’ultimo. Lo trovo più spettacolare della Formula 1. Io però in pista non corro, mi diverto con la mia moto su strada senza bisogno di spingere sull’acceleratore, perché già di per sé la moto è bella, è sinonimo di libertà, poche cose da portarti dietro, il piacere indescrivibile di partire senza una meta. Soffro un po’ il casco...
Ma come! Casco fa pure rima con Vasco!
Sì certo, ma vuoi mettere il vento nei capelli... Comunque la sicurezza dovrebbe essere garantita anche dallo Stato per ciò che riguarda l’affidabilità delle infrastrutture, la manutenzione delle strade, le informazioni sulla nebbia.
Da sex-symbol del rock&roll alle iniziative benefiche a favore dell’infanzia, come quella del calendario fatto con i bambini di San Giovanni a Napoli. Quanto ha inciso in questo cambiamento d’immagine l’essere diventato padre?
Non ero così cattivo allora e non sono così buono adesso. Non mi sono mai proposto come sex-symbol (è uno scoppiettare divertentissimo di “s” romagnole, ndr), semmai è il palco che rende sexy (adesso è lui a sorridere schernendosi, ndr). L’amicizia con i bambini di San Giovanni risale a tre anni fa quando li ho fatti salire sul palco ed esibire prima di un mio concerto. Sono stati bravissimi e tranquilli davanti al mio pubblico che è un pubblico forte. Così li ho adottati, gli mando qualche aiuto e quando mi hanno chiesto di sostenere il calendario l’ho fatto molto volentieri. Sia perché è importante far vedere che a Napoli ci sono realtà positive da incoraggiare, sia perché è giusto ridare un po’ di quello che ricevi. Essere padri cambia radicalmente il punto di vista, non sei più tu il centro dell’universo ma tuo figlio. Io sto imparando molto dal più piccolo. Per esempio l’educazione in casa.
Oltre vent’anni di canzoni, dischi e concerti. Un successo che unisce generazioni diverse. Come riesci a catturare ancora oggi un pubblico di giovanissimi, nonostante i ragazzi di adesso siano molto diversi dai coetanei a cui si rivolgeva il venticinquenne Blasco?
È un mistero anche per me. Probabilmente mi guida l’istinto: io scrivo ciò che penso e che sento. Poi c’è da dire una cosa: i giovani sono molto cambiati magari esteticamente o per i miti di riferimento, ma non cambia mai la fase giovanile nella quale tutti passano. Le mie canzoni fotografano delle fasi che attraversiamo tutti prima o poi nella nostra vita. In Siamo solo noi (1981, ndr), se hai 16 anni ti riconosci sempre in qualsiasi epoca ti trovi. È il momento in cui siamo solo noi ad andare a letto la mattina, che siamo sempre quelli che sbagliano, che vengono criticati dai genitori. Sono sensazioni di un adolescente degli anni Ottanta come di uno del Duemila. Il miracolo più grande è che anche adesso che invece di cantare siamo solo noi, canto siamo soli, cioè canto la stagione sentimentale ed emotiva dei miei cinquant’anni, ai giovani piace ugualmente. Evidentemente apprezzano il fatto che qualcuno gli racconti come è duro andare avanti.
Del resto il tuo rapporto privilegiato con i giovani continua e si rafforza con i concerti.
Dopo il concerto io li vorrei incontrare tutti, conoscerli uno per uno, davvero. Non riesco ad andar via appena finito di esibirmi, rimango lì nei camerini e cerco di incontrare quelli che posso, sento il bisogno di parlare con loro. È un’energia incredibile stare con uno giovane: non solo ti insegna il suo modo d’essere ma è una fonte di ispirazione. Quelli che vogliono entrare nel mondo della musica cerco di aiutarli, promuovendoli in radio.
Quanto costa vivere controcorrente pur essendo una rockstar?
Non mi sento protetto dal fatto di essere un personaggio famoso. Quando arrivano le frecciate mi brucia sempre, mi feriscono le bastonate dei critici e dei censori. Non mi comporto apposta controcorrente, è che la mia visione delle cose di solito non coincide con quella della massa. Quindi sono inevitabilmente, naturalmente, fuori dal coro. È una questione di coerenza con se stessi.
Si può essere provocautore – una definizione che tu stesso ti sei dato all’inizio della carriera – in un’epoca in cui tutto è (quasi) lecito?
La provocazione artistica è un modo per tenere sveglie le coscienze, in primo luogo la mia, che sono spesso sonnolente. Comunque c’è sempre bisogno di questo, c’è sempre qualche tabù o divieto da abbattere. La provocazione non finirà mai perché è necessario andare oltre le vecchie abitudini e tradizioni. Non significa scadere nel permissivismo totale ma combattere alcuni modi d’essere non più consoni all’evoluzione della realtà. Cambiare è vitale. Dobbiamo sforzarci di farlo. Anche quando canto “faccio la tal cosa o la tal altra” non significa che incito gli altri a imitarmi, a volte anzi è un modo di dire “forse sto facendo una cretinata, riflettiamoci sopra”.
Il tuo nuovo singolo Basta poco è uscito il 19 gennaio, unicamente scaricabile dal Web o ascoltabile in radio. Perché questa scelta?
Lo volevo fare sentire subito – ci tengo a dire che è un umile omaggio al grande Iannacci – e sganciarmi dalle logiche commerciali discografiche. Insomma volevo fare “una sorpresa” al pubblico. Naturalmente anche questa è una provocazione, una mia risposta personale rispetto alle sterili polemiche sullo scaricare brani da Internet e sul costo dei cd. Secondo me si può far quello che si vuole con la musica. Tanto è risaputo che i musicisti vivono grazie ai concerti. Hai già messo in cantiere un nuovo album?
Il mio album arriverà, ma forse uscirà qualche altro singolo prima. Chissà... sarà anche quella una sorpresa. Adesso come adesso sento importante il piacere che si riceve da una sorpresa, forse perché alla mia età è sempre più difficile sorprendersi. Il mio riferimento è la definizione di stupore che cantava Francesco De Gregori in una sua canzone. Bisogna mantenere quella freschezza, quella capacità di meravigliarsi che ti motiva, altrimenti la vita si scolora.
Febbraio è il mese del Festival di Sanremo, secondo te questa manifestazione ha ancora senso come trampolino di lancio degli esordienti nel mondo della musica?
Senz’altro, per me è ancora una delle poche. Forse l’unica, nella quale se tu hai una buona canzone e del talento hai possibilità di riuscire. Perché Sanremo lo guardano tutti. Io ho cominciato ad avere successo solo dopo essere stato al Festival, prima per tre anni ho inciso e suonato nei concerti ma ero noto solo in Emilia Romagna.
Il cittadino Vasco cosa chiederebbe alla polizia?
Professionalità, serietà, e rispetto. Con affetto. Anche questo fa rima, come casco con Vasco...
01/02/2007