Anacleto Flori
Arsenico & Co.
Un viaggio nel mondo delle sostanze pericolose da quelle più comuni a quelle più rare. Il parere del tossicologo e gli strumenti usati per individuarne gli effetti letali
Metalli, gas, sali, cristalli e molecole radioattive, ma anche innumerevoli specie di fiori, frutti, piante e animali. Quando si parla di veleni l’intero pianeta assume l’aspetto inquietante di un enorme, e in parte ancora inesplorato, self-service dal quale avvelenatori senza scrupoli possono prelevare ogni tipo di sostanza letale. Come se non bastasse alcuni elementi altamente tossici non esistenti in natura, tra cui numerosi farmaci, sono stati all’occorrenza artificialmente sintetizzati in laboratorio. Veleni dunque per tutti i gusti, ciascuno con le proprie caratteristiche: dal vecchio ma sempre in voga arsenico da sciogliere nell’acqua, al micidiale cianuro, uno dei più rapidi e letali, così come la misconosciuta tetredotossina, presente in alcune specie di pesce palla, il terribile curaro, di origine vegetale che uccide paralizzando le sue vittime, e poi ancora la belladonna, l’acido prussico, il tallio, la stricnina fino al silenzioso, inodore e invisibile monossido di carbonio.
La scelta dunque non manca anche se, per fortuna, il veleno perfetto non esiste e il campo di quelli utilizzabili per scopi criminali si restringe a causa degli indispensabili requisiti ricercati dagli avvelenatori. “Chi intende commettere un omicidio servendosi del veleno – afferma Marcello Chiarotti, professore ordinario di Tossicologia forense presso l’università cattolica Sacro Cuore di Roma – fa generalmente ricorso a sostanze comunemente reperibili, in grado di agire a bassi dosaggi, inodori e insapori, facilmente somministrabili alle vittime e, soprattutto, che lascino pochissime tracce nel corso degli accertamenti tossicologici. È poi importante che il veleno agisca sì velocemente, ma non troppo”. Offrire a qualcuno un pasticcino al cianuro in pubblico può essere davvero compromettente per l’assassino che rischia di vedere crollare a terra la propria vittima al primo morso.
Classificazione
Il lungo elenco di sostanze velenose rende difficile, se non impossibile, la loro classificazione. Tra le più ricorrenti ci sono quelle basate sulla via di ingresso dei veleni nell’organismo (ingestione, inalazione, iniezione e assorbimento cutaneo), sulla loro composizione chimica (irritanti, organici o vegetali, metallici, alimentari e gassosi) e quella, utilizzata in ambito forense, basata sulle modalità usate in laboratorio per identificarne la presenza. Anche l’analisi dei diversi modi di azione può fornire una insolita chiave di classificazione. “Ci sono veleni che uccidono per anossia (mancanza di ossigeno, ndr) – spiega Chiarotti – come il cianuro che impedisce l’utilizzo dell’ossigeno a livello cellulare, provocando così una morte rapidissima o come l’ossido di carbonio che, legandosi all’emoglobina, blocca il trasporto dell’ossigeno a livello centrale. Altri come i barbiturici determinano una depressione irreversibile del sistema nervoso centrale che non è più in grado di regolare il meccanismo della respirazione: anche qui la morte sopraggiunge per asfissia. Poi ci sono i curari, che causando una paralisi muscolare impediscono alla vittima di espandere, nonostante gli sforzi, la gabbia toracica e i polmoni nel disperato tentativo di respirare, e i veleni come l’antimonio che agiscono invece sul sistema cardiaco, provocandone l’arresto. Infine ci sono tutte quelle sostanze come funghi e i topicidi che vanno a colpire i cosiddetti organi bersaglio (fegato, reni e midollo) provocando danni irreparabili: in questi casi la morte avviene lentamente, per progressivo accumulo delle sostanze tossiche.
Strumenti di analisi
Un tempo il veleno era un killer spietato, subdolo, che uccideva in silenzio senza apparenti segni di violenza e senza quasi mai lasciare tracce, creando dei veri e propri rompicapo per gli investigatori di turno. Oggi invece in presenza di una morte sospetta l’uso del veleno può rappresentare un indizio su cui lavorare, grazie all’utilizzo di tecniche di analisi all’avanguardia, fino a pochi anni fa assolutamente inimmaginabili. I ricercatori dei centri di analisi tossicologiche sottopongono infatti i campioni di materia organica, opportunamente preparati, ad accurati test di screening, da quelli immunologici (con l’uso di anticorpi reagenti) e cromatografici (basati sulla capacità di alcuni solventi di separare, trascinandoli con sé in modo diverso lungo una lastrina, i diversi elementi della sostanza da analizzare) a quelli spettroscopici (che sfruttano i flussi delle radiazioni elettromagnetiche di atomi e molecole, sulla base della loro lunghezza d’onda, frequenza e massa).
Dopo la fase di screening, i campioni vengono sottoposti ad ulteriori analisi di conferma attraverso l’uso associato di altri macchinari come il gas-cromatografo (con l’impiego di gas inerti, in cui viene dispersa la sostanza da esaminare) e lo spettrometro di massa.
“Oggi le tecniche separative hanno raggiunto livelli di grande efficienza – sottolinea ancora Chiarotti – consentendo a i tossicologi di scomporre miscele e identificare strutture molecolari partendo da piccoli frammenti organici, liquidi biologici o da tessuti come le maglie e i capelli per determinare la presenza di sostanze tossiche. Certo non bisogna mai dimenticare l’importanza dei dati rilevati sulla scena del crimine. È lì che possiamo ricercare i primi indizi utili per seguire una pista: accertare la facilità che aveva il presunto assassino di avvicinare la vittima (indagando dunque nella cerchia dei familiari e degli amici) e verificare il lavoro svolto dall’indagato e la relativa possibilità di entrare in possesso di sostanze tossiche, possono notevolmente restringere il campo delle indagini. Così come le testimonianze su eventuali periodi di ricovero o sui sintomi che hanno preceduto la morte della vittima costituiscono un aiuto fondamentale per indirizzare il lavoro di ricerca del tossicologo.
La fase pionieristica dei metodi olfattivi o dei test sugli animali degli anni ’50, con i quali si cercava la presenza di sostanze venefiche iniettando alle povere bestie estratti delle viscere del cadavere, appare per fortuna solo un lontanissimo ricordo.
Veleni e dosi mortali
Antimonio
Il suo acutissimo sapore metallico costringe l’avvelenatore a usare bassissimi dosaggi protraendo nel tempo l’azione criminale. L’accumulo di antimonio provoca nausea, vomito, aritmia e tachicardia fino all’arresto cardiaco.
Arsenico
È un minerale grigio da cui si ricava una polvere biancastra comunemente sciolta nell’acqua. Come veleno conobbe una grande diffusione nel Rinascimento, tanto da essere chiamata la “polvere degli eredi”.
Nell’avvelenamento per ingestione i sintomi insorgono nel giro di poche ore, con gastroenteriti violente, vomito, diarrea, sapore di aglio in bocca, disidratazione, vertigini e collasso. La morte sopravviene in 12-20 ore, per paralisi cardiaca o respiratoria.
Belladonna
Pianta della famiglia delle solanacee, con fiori rossi molto grandi e penduli e bacche dapprima verdi, poi rosse e infine quasi nere che contengono vari alcaloidi tra cui l’atropina.
La dose letale per un bambino, che rischia di mangiarne i frutti scambiandoli per ciliegie, è di 3-5 bacche. L’azione, molto rapida, è contraddistinta da secchezza della bocca e delle fauci, nausee, dilatazione delle pupille, occhi sporgenti, iniettati di sangue, vertigini. La morte avviene per paralisi generale in 24-36 ore.
Cianuro o acido prussico
È un liquido incolore, di odore penetrante, analogo a quello delle mandorle amare, poco solubile nell’acqua, presente in molte piante, principalmente nelle foglie del lauroceraso. 3-4 di queste foglie possono già produrre gravi sintomi d’avvelenamento, mentre l’essenza è d’una tossicità estrema; bastano poche gocce per uccidere. Il cianuro agisce quasi istantaneamente, tanto per ingestione quanto per la sua applicazione sulle mucose e sulla cute; la sua azione produce paralisi respiratoria, rallentamento del polso e convulsioni.
I sintomi insorgono quasi istantaneamente, la vittima diventa cianotica, le pupille si dilatano, la bocca è coperta d’una schiuma sanguigna, quindi crolla a terra in preda alle convulsioni. La morte avviene in pochi minuti (5-15) per arresto respiratorio.
Curaro
Reso famoso dagli indigeni dell’America del sud, che se ne servivano per avvelenare le loro frecce, ha l’aspetto di un estratto sciropposo nero e dal sapore amarissimo.
I sintomi sono quelli di un indebolimento progressivo, fino alla completa paralisi dei movimenti volontari e riflessi, con abbassamento della temperatura e morte per paralisi respiratoria.
Ossido di carbonio
È un gas permanente, incolore, senza sapore né odore, che si sviluppa nella combustione del carbone in presenza di stufe mal ventilate e caldaie difettose.
Provoca cefalea violenta, nausea, debolezza e impossibilità di muoversi e di chiamare soccorso, fino alla perdita di coscienza e alla morte.
Stricnina
Famosa (e micidiale) almeno quanto l’arsenico e il cianuro, la stricnina, ricavata da alcune piante della famiglia strychnos, impiega meno di un’ora per esplicare la sua potenza omicida attraverso tipiche convulsioni dette appunto “stricniche”. La vittima, paralizzata, rimane cosciente fino all’arresto respiratorio.
Tallio
Altro metallo pesante, che ridotto in polvere si può tranquillamente sciogliere nell’acqua non avendo alcun sapore particolare. Provoca forti febbri, che possono essere scambiate per una banale influenza. La morte può sopravvenire anche dopo alcuni giorni. Un segno distintivo è l’improvvisa caduta di capelli, sintomo quest’ultimo che, nel caso della morte dell’ex colonnello del Kgb Alexander Litvinienko, lo ha fatto confondere con il famigerato polonio 210.
Tetrodotoxina
Questo veleno è presente nei pesci palla del Pacifico e specialmente nel Fugu, considerato una grande specialità alimentare in Giappone.
Il pesce può essere mangiato solo se le parti velenose (ovaie e interiora) vengono subito gettate via.
Nonostante possa essere cucinato solo da cuochi “con patentino”, ogni anno si verificano centinaia di avvelenamenti, anche mortali. Ne basta un solo milligrammo per uccidere un uomo in poche ore, con una sintomatologia fatta di vertigini, debolezza, nausea, formicolio; e poi ancora dolori muscolari, difficoltà respiratoria, calo di pressione, disturbi della vista e della parola.
In caso di bisogno
Ecco gli indirizzi di alcuni dei maggiori centri antiveleni della Penisola.
Bologna
Ospedale maggiore
largo Negrisoli, 2 - tel. 051.333.333
Catania
Ospedale Garibaldi centro rianimazione
piazza S. Maria Gesù - tel. 095.759.41.20
Genova
Ospedale San Martino
via Benedetto xv, 10 - tel. 010.352.808
Lecce
Ospedale gen. regionale V. Fazzi
via Moscati - tel. 0832.665.374
Milano
Ospedale Niguarda ca grande
piazza Ospedale maggiore, 3
tel. 02.661.010.29
Napoli
Ospedali riuniti Cardarelli
via A. Cardarelli, 9 - tel. 081.545.33.33
Padova
Istituto di farmacologia universitaria
largo E. Meneghetti, 2 - tel. 049.931.111
Reggio Calabria
Centro rianimazione azienda ospedaliera “Bianchi - Melacrino - Morelli”
via G. Melacrino - tel. 0965.811.624
Roma
Policlinico Umberto I
viale del Policlinico - tel. 06.490.663
Torino
Università di Torino
via A. Mario Dogliotti - tel. 011.663.76.37