Bruno Benelli*

Che fine faranno le pensioni?

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Le preoccupazioni dei lavoratori sui possibili blocchi e tagli. Memorandum per chi è vicino alla quiescenza e teme modifiche dell’ultima ora

"Riuscirò a salvare della pensione tutti i diritti che ho maturato finora con il versamento dei contributi?”. La domanda gira insistentemente per i corridoi dei ministeri, nelle fabbriche, negli uffici pubblici e privati, tra commesse e impiegati, tra dirigenti e operai, tra poliziotti e ospedalieri, tra insegnanti e parasubordinati.
Il quesito nasce dalla preoccupazione che il governo con l’inizio del nuovo anno approvi un decreto legge con il quale aumenti l’età minima per la pensione e, nello stesso tempo, ne riduca il rendimento.
E per darsi reciprocamente forza i lavoratori preoccupati tirano fuori la storia dei “diritti acquisiti” e la legge 248 del 2004, con la quale è stato finalmente sancito il principio di somma civiltà, secondo cui chi ha raggiunto il diritto alla pensione e vuole continuare a lavorare può farlo e nessuna legge successiva potrà levarglielo.
Tutto tranquillo allora? Neanche per idea. Non si deve confondere il diritto alla pensione con la decorrenza e il sistema di calcolo della stessa. Un conto è quello, un conto sono questi.
Diritto. Vediamo più da vicino. Ricorriamo all’esempio di uno statale che con questo mese di dicembre raggiunge 35 anni di contributi e 57 anni di età. Ha perciò i requisiti per la pensione di anzianità. Supponiamo che una norma dica che dal 1° gennaio 2007 per tale tipo di pensione occorrano 58 anni di età e/o 36 anni di contributi.
Ebbene, l’interessato non verrà toccato dalla restrizione. Egli, sia pure un solo giorno prima della modifica, ha raggiunto il diritto alla pensione e nessuno glielo può toccare. Anche se deciderà di andare in quiescenza negli anni successivi.
Decorrenza. In base alle attuali leggi chi raggiunge il diritto entro il mese di dicembre 2007 può ottenere la pensione di anzianità con la finestra del 1° aprile 2008. Perciò il nostro amico sa che dovrà continuare a lavorare per altri tre mesi, licenziarsi entro il 31 marzo e prendere la pensione dal giorno dopo.
Supponiamo ora che il governo decida di bloccare le finestre 2007 e farle slittare, ad esempio, di sei mesi. In questo modo la finestra di aprile aprirà i battenti solo con il mese di ottobre.
Può il nostro amico essere fuori del provvedimento dal momento che ha raggiunto il diritto a pensione? Certamente no. Il diritto non viene scalfito: lui ha raggiunto i requisiti e nessuno glieli sconfessa. Ma la decorrenza è altra cosa e la legge può intervenire e modificarla. Che fece il governo Amato alla fine del 1992? Bloccò i pensionamenti anticipati (salvo piccole eccezioni) e li fece slittare di qualche mese, senza per questo attentare ai diritti costituzionali dei lavoratori.
Intendiamoci, il governo, prendendo un provvedimento del genere, potrebbe escludere dalla proroga quelli che hanno il diritto alla pensione: sarebbe una sua legittima scelta. Ma se non lo facesse nessuno potrebbe gridare allo scandalo.
Calcolo. Altro punto controverso, quello del metodo di calcolo della pensione. Può la norma modificare in peggio tale metodo anche nei confronti di chi ha raggiunto il diritto alla pensione?
Qui una risposta sola non basta; ce ne vogliono due. A seconda che si tratti della pensione cosiddetta retributiva o di quella cosiddetta contributiva. Cominciamo dalla prima.
Pensione retributiva. È quella attualmente vigente e che viene calcolata:
1) nel settore privato, sulla base di un rendimento del 2% per ogni anno di versamento dei contributi, da applicare sulla retribuzione lorda media degli ultimi cinque/dieci anni;
2) nel settore pubblico, in base a rendimenti annui che vanno dal 2,5% all’1,8% e negli ultimi anni del 2%, da applicare sulla retribuzione media lorda, in parte dell’ultimo anno e in parte degli ultimi anni (a regime saranno dieci, crescono ogni anno ma oggi sono un po’ di meno).
Se sono modificati questi parametri è chiaro che il governo non può dare decorrenza retroattiva alla restrizione. La maturazione di quel sistema di calcolo discende dai contributi pagati, e a essi legata, e quindi ogni modifica può valere solo per il futuro.
Perciò – ammesso e non concesso che sia preso un provvedimento del genere (si sente parlare di un rendimento annuo dell’1,8% o, peggio, dell’1,5%) – fino al 31 dicembre 2006 vivrà l’attuale sistema e da gennaio 2007 ci sarà l’altro. Quando una persona andrà in pensione avrà due quote con i due sistemi di calcolo in relazione agli anni di riferimento.
Pensione contributiva. È quella che viene calcolata sulla intera vita lavorativa e assicurativa e non più solo sugli stipendi degli ultimi anni. È una percentuale calcolata sui contributi versati in base all’età della persona: si parte dal 4,720% con 57 anni e si arriva al 6,136% con 65 anni e oltre. Questo calcolo riguarda:
1) i lavoratori che hanno iniziato ad avere un’anzianità contributiva dopo l’anno 1995;
2) quelli che hanno meno di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995; per questi ultimi il calcolo contributivo ora indicato si applica solo per i periodi a partire dall’anno 1996 in poi (è il cosiddetto sistema misto).
Le aliquote (in gergo tecnico si chiamano coefficienti di trasformazione) sono state studiate in stretta relazione con la vita media dei lavoratori. Era l’anno 1995 e la legge Dini si era basata ovviamente sulle tavole della mortalità di quel momento ed aveva elaborato le percentuali sopra indicate.  Ora, undici anni dopo, l’età media si è allungata di oltre un anno (circa 78 anni gli uomini e 83 le donne) per cui, se in ipotesi i coefficienti venissero modificati da gennaio 2007 per renderli più aderenti alla “realtà vitale” degli italiani, le riduzioni di aliquota si spalmerebbero su tutti i contributi versati e non solo su quelli successivi al 2006. Si applicherebbe, in sostanza, il principio opposto a quello descritto per la pensione retributiva. E questo perché la persona vivrà un numero maggiore di anni e quindi la pensione dovrà – se non si vuole aumentare la spesa pensionistica – legarsi alla nuova soglia anagrafica, senza più legami con ipotesi di sopravvivenza ormai superate. 

*Giornalista esperto di economia previdenziale
01/12/2006