Annalisa Bucchieri

Nel ventre di Napoli

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Viaggio nel cuore della città: con gli occhi e il sacrificio degli uomini in prima linea nella guerra contro il crimine

Il problema di Napoli non è la camorra, è Napoli”, dice sorridendo l’ispettore capo che mi accoglie insieme al fotografo al posto di polizia ferroviaria alla stazione. È un paradosso che mi ribalza in testa e che ci accompagnerà per tutto il viaggio nel cuore della polizia partenopea, quella che combatte la Camorra da anni e che non ha neanche più bisogno di pronunciare la parola emergenza, perché nell’emergenza ci vive quotidianamente.
La questura di via Medina è assediata da televisioni e stampa di tutto il mondo, dall’Olanda come dall’Australia, da Taschen come da Londra. Nessuno vuole perdersi la possibilità di accendere il faro della comunicazione sui tanti angoli bui e insanguinati della città. Del resto 48 omicidi di matrice camorristica nell’ultimo anno danno materia da scrivere. All’ufficio stampa un allampanato giornalista del Times sta chiedendo di essere portato a Forcella dove spera di trovare panni stesi alle finestre e cestinelli pieni di “bianca” che vengono calati dalle stesse. Andiamo oltre e ci dirigiamo verso la stanza dei falchi, la storica sezione dei motociclisti in borghese, creata per penetrare l’urbanistica difficile se non impossibile di questa città. Agili, veloci, infaticabili, i falchi sono gli unici che il traffico caotico non ferma, gli unici a infiltrarsi nei dedali dei quartieri spagnoli, a poter stanare baby killer, predatori di Rolex, trafficanti di armi.
Dalla porta della stanza esce un fumo denso di sigarette. Dentro sono circa una quarantina: jeans, giubbotti, occhiali a specchio, slang napoletano, ragazzi che parlano e vestono come gli altri. Aspettano che arrivi il loro capo, O’ Montalbano partenopeo lo chiamano, per le consegne della giornata. Poi partiranno in due su ogni moto sparpagliandosi per i vicoli più angusti. Sono giovani, non troppo perché ci vuole esperienza di strada per fare questo lavoro, ma abbastanza per avere l’energia e l’incoscienza di stare per sei ore in giro nel ventre malato di Napoli. Trecentocinquanta arresti all’anno, mi dice O’ Montalbano, e nessuno conseguito senza il sudore di un inseguimento. Non a torto qualcuno li chiama “angeli dalla faccia sporca”.
Prima di scendere nel garage delle moto ci mostrano il muro destro della stanza, tappezzato di ritagli di giornali che dal 2004 a oggi riportano operazioni vittoriose. La memoria storica del gruppo indica quelle di cui sono orgogliosamente fieri. Nel palmares dei falchi figurano la cattura di Michelangelo Misso, del figlio del Ras di Secondigliano Lo Russo, del rampollo dei Terracciano, clan dei quartieri spagnoli, il sequestro di armi al boss Lauro di Scampia. Sebbene i falchi siano lo strumento di contrasto per eccellenza ai reati predatori, scippi e rapine, sono i colpi inferti alla Camorra i più indimenticabili. Loro sanno che adesso saranno sempre più coinvolti nelle nuove strategie dell’Ufficio prevenzione crimine. Ogni impronta di pneumatico che lasceranno sul territorio dei clan sarà un punto messo a segno. Oggi partono in trenta su Pegaso, Dominator e Transalp per la blindatura di Montecalvario. Mentre le volanti accerchieranno il quartiere bloccando le vie d’uscita e un elicottero sorvolerà la zona controllando i tetti, i falchi faranno un’incursione all’interno dei vicoli per arrestare uno smistatore. Li seguiamo finché è possibile poi scompaiono nella salita di San Gregorio Armeno dove a malapena passa a piedi una persona per volta.
Ritorniamo in questura e aspettiamo nella Sala operativa prima di dirigerci a Scampia per un maxi controllo effettuato dal personale delle volanti. Gli schermi riportano alternativamente le immagini percepite da un centinaio di occhi elettronici. Un operatore è dedicato alla rete di telecamere che vigila su centri commerciali e banche. Niente in confronto agli interventi strutturali previsti dal patto sicurezza di Amato. Videosorveglianza capillare in ogni quartiere, persino nelle scuole, e maggiore illuminazione della città sono leve fondamentali con le quali rinforzare il controllo sul territorio. Ancora una volta si lotta contro la complicità architettonica di Napoli, Napoli nasconde, Napoli si richiude in se stessa, si autoghettizza.
Ci avviamo verso Scampia, passando davanti agli studi dove si gira La Squadra. Ironia della sorte anche l’intero quartiere di Scampia si è trasformato in un set cinematografico per il sistema mediatico planetario. “Solo che di fiction purtroppo non c’è nulla. A Scampia è tutto vero”, commenta l’assistente che guida la nostra auto. Scampia, il supermarket italiano della droga: senza l’altezza tragica dell’inferno dantesco né la poesia del rione Sanità di Totò. È solo grottesco, assurdo, prati di immondizia che arriva dentro gli androni delle case e selva di parabole, automobili con rivestimenti in pelle parcheggiate dentro i cortili di palazzoni cascanti con portoni e scale arrugginite. Ma le mirabilia dello skyline di Scampia sono le Vele, mostruosi grattacieli di 15 piani, disegnati da un architetto giapponese negli anni ’80: le guardi e dici che a chi capita di nascere o di crescere qua dentro l’unica sicurezza può essere la carriera criminale.
Raggiungiamo il posto di controllo di fronte al carcere, dove due volanti stanno effettuando l’attività di cinturazione dinamica nel loro settore, gli altri due settori in cui è divisa Scampia sono coperti dai colleghi della finanza e dei carabinieri. “Si tratta di un’attività di vigilanza serrata che mira a ostacolare la vendita della droga, rendere difficile la vita ai clienti che vengono a comprare, insomma rovinare la piazza ai pusher”, spiega il commissario che comanda la pattuglia, anche lui come gli altri finora incontrati è del posto e vuole rimanerci, crescere qui i suoi figli. Napoli nonostante tutto è molto amata, soprattutto dai suoi poliziotti.
La cinturazione è una nuova strategia che sta dando i suoi frutti, come chiaramente illustrano le cifre: la camorra incassa 30-40 mila euro in meno al giorno per ogni piazza di vendita. Considerando le 13 piazze della sola Scampia, il danno economico all’organizzazione è ingente.
Le volanti si spostano verso il lotto T, qui alcuni giorni fa sono dovuti intervire i Vigili del fuoco per divellere le armature e i maniglioni di ferro che i pusher avevano fabbricato all’entrate dei condomini per ostacolare l’entrata delle forze dell’ordine. Consegna della merce e pagamento avvenivano attraverso una semplice feritoia. “I Vigili del fuoco – racconta il commissario – hanno dovuto abbattere anche dei dossi di cemento creati dai camorristi nelle strade limitrofe per rallentare l’arrivo delle volanti”. Scampia è un ghetto, è arroccata. Aggredirla è difficile ma già il fatto di mettere in crisi la sua inviolabilità è un segnale importante.
Appena scendiamo dall’auto le finestre del Lotto T si aprono una ad una, come quelle del calendario dell’avvento, madri, mogli e figlie si affacciano e scrutano la situazione. “La tattica degli spacciatori è di scagliarci addosso soprattutto le donne giovani per bloccare qualsiasi nostra manovra, del resto qui sono intere famiglie a campare con lo spaccio”, questa volta è il più anziano della pattuglia a parlare, i capelli bianchi spiccano ancora di più sul giubbotto antiproiettile nero: “Non è stanco di stare per strada?”, mi viene da chiedergli. Mi intuisce: “Forse sì, ma non è ancora il momento di andarsene, mio padre è stato 42 anni in polizia, io sono della sua stessa fibra”. Poliziotti figli di poliziotti, una storia che si ripete spesso all’ombra del Vesuvio. Il senso della legalità si trasmette per linea ereditaria.
Ritornando verso via Medina, sui motorini che sfrecciano ovunque la maggior parte di guidatori e passeggeri è senza casco. Adesso che scatta la confisca immediata del mezzo, le forze dell’ordine non sanno più dove depositare le due ruote sequestrate; tanto che nel “Piano sicurezza Amato” è prevista la riqualificazione di un’area dell’esercito da adibire a questo uso. Il ritorno alla legalità inizia anche da questo.
Ne è sicuro l’ispettore della narcotici che ci aspetta in ufficio. “Se io non parcheggio in doppia fila è solo per una questione di coscienza, da noi nessuno pensa sia doveroso osservare la direzione di marcia o mettere le cinture in auto, il rispetto delle regole non fa parte del Dna della città, bisogna però rieducarsi partendo dalle piccole cose”. Alla scrivania a fianco l’agente “intercettatore” ha gli occhi gonfi, è tutto il giorno che sta incollato al sistema Mito per ascoltare le telefonate dei sospetti. Non molla perché domani i colleghi della sezione gireranno con una telecamera occultata per cogliere in flagrante lo scambio di merci a Secondigliano. Sa quanto è importante supportare i video con le intercettazioni. “Applichiamo il differimento dell’arresto – spiega l’ispettore – che si basa sulla possibilità di catturare il reo in un momento successivo alla flagranza di reato, basandoci sulla prova delle registrazioni, in modo da studiare meglio i comportamenti, gli ambienti, le tecniche usate, il contorno e l’appoggio di altre persone”.
Ormai l’era degli informatori sta tramontando, vanno attuate strategie investigative più sofisticate. Colpire solamente il singolo non serve: appena viene arrestato un piazzista o un palo il giorno dopo viene sostituito subito da un altro. La Camorra non ha problemi a trovare nuovi dipendenti, visto che li paga profumatamente dai 100 ai 150 euro al giorno. Bisogna colpire la struttura camorristica. Contro O’ Sistema ci vuole una risposta sistematica. Da parte di tutti, Stato e società civile. In primo luogo da Napoli stessa.



La risposta alla camorra
Come si può rispondere al cancro camorristico? Chi si deve assumere le responsabilità della risposta? Dove collocare le priorità? Quando e perché sono domande retoriche – subito, altrimenti Napoli muore – le altre le rivolgiamo a chi vede la città da un osservatorio privilegiato.
Mariano D’Antonio che insegna all’Università Roma Tre, Economia dello sviluppo, migrato solo professionalmente da Napoli, che rimane ancora la città in cui risiede, disegna la strategia piramidale del risorgimento partenopeo. “Contrasto alla criminalità, cultura ed educazione, sviluppo e occupazione. Prima di tutto bisogna reprimere i fenomeni più sanguinosi, poi procedere a diffondere la cultura delle regole. La popolazione va educata al senso civico e in molti casi costretta; passare con il rosso o salire sui marciapiedi come succede normalmente a Napoli è la manifestazione più piccola ed embrionale di quello che è la Camorra in grande. Senza un ampio rispetto delle regole non c’è futuro economico. Lo dimostra il fatto che i piccoli e medi imprenditori dagli anni ’90 in poi hanno trasferito le loro attività nell’avellinese e nel beneventano, che quelli rimasti hanno evitato di crescere per non diventare piatto goloso per i clan. Per non parlare dell’emorragia di giovani laureati che fuggono al Nord. È ora che i cittadini capiscano quanto questa situazione criminale spinge in alto i costi di protezione da loro stessi pagati, basti solo pensare che qui la polizza RC Auto è la più alta d’Italia”.
Secondo Nicola Oddati, assessore alla cultura e sviluppo del capoluogo campano, la situazione è allarmante non tanto per i dati oggettivi – gli omicidi di  stampo camorristico del 2006 sono inferiori rispetto a quelli degli anni precedenti – quanto per la percezione di insicurezza che è cresciuta a dismisura sia nei residenti che nei visitatori, bloccando qualsiasi forma di sviluppo, legata per sua natura alla fiducia nel futuro. “La popolazione napoletana è aumentata, con essa le sacche di marginalità sociale da cui attingono i loro dipendenti i clan camorristici. Inoltre la metropolitana ha reso più facile arrivare da zone come Miano e Piscinola a piazza Dante, cosicché anche i quartieri storicamente più tranquilli ora lo sono meno. Il Sistema si sta infiltrando su tutto il territorio. Sicuramente è necessario contrastarlo con un’azione sinergica tra polizia, carabinieri, finanza, magistratura, coinvolgendo la polizia municipale che è un po’ traballante: andrebbe rinforzata e soprattutto ringiovanita. L’amministrazione comunale dal canto suo deve investire nell’occupazione giovanile e nella riorganizzazione della vita sociale delle periferie. Un piccolo ma significativo passo è stata la costruzione di un auditorium a Scampia”.
A fare la propria parte è chiamato anche il mondo della comunicazione. Il direttore de Il Mattino, Mario Orfeo, sostiene che i fari accesi dei media sulla città sono un fattore positivo, anzi non devono mai spegnersi. “Sono in disaccordo con chi sostiene che i media abbiano creato un ingiustificato allarmismo, sicuramente la sensazione di incertezza e di pericolo si vive a Napoli da molto tempo ma ormai siamo ad un livello di degenerazione preoccupante. Il nostro compito come giornalisti è raccontare con forza, non abbassando mai la guardia, perché il silenzio è il primo complice. Nelle pagine de Il Mattino manteniamo un’attenzione continua non solo agli episodi più eclatanti ma anche ai fenomeni della microcriminalità perché è l’humus fertile su cui si sviluppa il comportamento camorristico, e poi perché è quello da cui è maggiormente colpito il cittadino comune. Negli ultimi anni, inoltre, siamo stati promotori  di diverse iniziative antimafiose, per esempio Il manifesto per salvare Napoli che ha interessato i tanti istituti scolastici e la più recente L’altra Napoli, con la quale assieme ad un gruppo di giovani imprenditori ci proponiamo di riqualificare le zone degradate con una serie di bonifiche e di interventi economici”. 
01/12/2006