Attilio Bolzoni*

La bella isolana

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Caltanissetta, da capitale di mafia nel secolo scorso a esempio di società che pur nelle difficoltà economiche ha scelto la strada della legalità

Vista da lontano sembra ancora arroccata, aggrappata alla schiena delle sue colline per non scivolare giù in quegli strapiombi e in quei valloni che la circondano. È in alto, in mezzo alla Sicilia. Una volta ci volevano quasi tre ore per scendere verso i giardini profumati della piana di Catania e almeno quattro per andare dall’altra parte, a Palermo. C’era una bellissima e tortuosa strada che passava sotto l’Etna e le Madonie e poi, all’improvviso, entrava in quel paradiso che era la Conca d’Oro. Era distante Caltanissetta, staccata, un’isola nell’isola. Quella sua diversità l’ha mantenuta nel tempo. Nonostante sia la città più vicina al resto della Sicilia, proprio al centro fra i mari che la bagnano. È una diversità di umori, di paesaggio, di cultura, di usanze. È come se Caltanissetta facesse parte ancora oggi di un’altra Sicilia.
Bisogna esplorarla, basta girare per le sue strade per rintracciarne le differenze. Per esempio ha un ordine urbanistico, se si escludono alcuni quartieri dormitorio pensati alla fine degli anni Settanta e realizzati poco prima dei Novanta, che la rendono dissimile da altri capoluoghi dell’isola. Non ha l’incanto di Agrigento ma neanche quelle orribili case abusive e quei grattacieli in bilico sulla rupe, non ha lo splendore dei palazzi e delle ville settecentesche di Palermo ma neppure la miseria di certi bassi.
Il suo centro storico ha un mercato con gli odori dei suk arabi, chiese magnifiche, ha scalinate sontuose nascoste qua e là nei vecchi rioni. È discreta Caltanissetta, mostra e non mostra le sue bellez ...


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01/11/2006