Giulia Bertagnolio

Con i piedi per terra

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A parlare uno dei giocatori più famosi del dopo Mondiale. L’infanzia, il successo, il rapporto con la sua terra, la Calabria

"Ringhioo! grande. Posso fare una foto con te?”, “sì, aspetta che accosto”, “grazie, sì sì aspetto”, “eccomi, facciamo la foto, e non guardarmi con quella faccia lì, che mica ti mangio”. Neanche faccio in tempo ad iniziare l’intervista al telefono con Gennaro Gattuso che già mi mette in attesa per esaudire i desideri di un fan che lo riconosce per strada. Scherza con i tifosi, il calciatore più amato del mondiale 2006, fa autoironia sul soprannome che si è guadagnato per la sua aggressività in campo. Calabrese di origine, schietto, ruvido nei modi ma candido nell’animo (“penso di aver conquistato la simpatia della gente col mio fare da terrone”, premette) va subito al dunque: “diamoci del tu”. E fa lui la prima domanda: “dimmi di che vuoi parlare?”.
Sei approdato al calcio seguendo le orme di tuo padre, giocatore della quarta categoria. Quanto ti ha influenzato il suo esempio?
Sai com’è, quando in casa senti parlare di pallone da mattina a sera a un certo punto ti viene la curiosità. In famiglia non si parlava d’altro, iniziare a giocare è stato quasi fisiologico. Il sostegno di mio padre è stato basilare: quando te ne vai di casa a 13 anni per seguire un percorso di questo tipo se non hai l’appoggio dei genitori torni dopo un mese piagnucolando perchè non ce la fai. Anche mia madre mi ha sostenuto; ma la mamma è sempre la mamma, fosse stato per lei sarei dovuto restare attaccato alla sua gonna per molto ancora.
Hai debuttato in serie A a soli 17 anni. Cosa significa per u ...


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01/11/2006