Toni Capuozzo*

Le paure di Eva

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A definire le emergenze non sono i numeri dei reati, ma la loro percezione. Su questo si basa il sondaggio di Telefono Rosa riguardo la violenza sulle donne

Saranno i dati statistici di fine anno a dirci se è vero: ma a giudicare dai titoli dei giornali i casi di violenza contro le donne sembrano ripetersi uno dopo l’altro, delineano un’emergenza. Eppure, archivi alla mano, è un fenomeno tanto triste e inquietante, quanto in diminuzione. E allora, dove sta la verità? Probabilmente nella percezione soggettiva del fenomeno: un fatto odioso, che colpisce l’attenzione del cittadino, che fa sentire tutti – donne, ma anche madri, padri… – potenziali vittime, e che resta sospeso come una minaccia virtuale sulla libertà di movimento, di vita, di scelta, delle donne. E dunque, in una spirale inevitabile, i giornali e le televisioni, cogliendo la sensibilità al fenomeno, ne parlano più spesso e più diffusamente. Naturalmente è un aspetto che non può essere trascurato dagli operatori della sicurezza, perché a definire le emergenze e la sensibilità dei cittadini, non sono i numeri dei reati, ma la loro percezione. E allora diventa interessante andare a vedere i risultati di un sondaggio commissionato da una delle organizzazioni storiche dell’associazionismo femminile, Telefono Rosa. La ricerca si è svolta tra due campioni: 1.956 persone intervistate telefonicamente e 400 donne contattate via Internet. Il primo elemento interessante è legato alla domanda: dove nasce la violenza? Solo la fascia d’età superiore ai 54 anni, tra gli interpellati, ritiene rilevante, tra le cause della violenza, la diffusione della pornografia. L’82% delle donne intervistate via internet ritiene invece che siano determinanti, nel passato del violentatore, “abitudini e comportamenti violenti all’interno della famiglia di origine”. Ciò che evidentemente non giustifica, ma spiega, aiuta capire come il violento spesso abbia alle spalle un percorso che porta ad abusi e soprusi psicologici o fisici, e soprattutto fa della violenza sulla donna non un episodio criminale, ma un fenomeno sociale. E infatti l’88% delle donne internaute e l’81% degli intervistati via telefono ritiene la violenza sessuale una piaga sociale.
E le leggi e le istituzioni, tutelano a sufficienza le donne? Per la maggior parte degli intervistati di entrambi i campioni la tutela non è sufficiente – né potrebbe esserlo, notiamo noi, in un’indagine che ruota attorno al problema della violenza sulla donna, e accende l’attenzione proprio su questo – ma c’è una quota robusta, un 23%, in particolare tra i giovani e le persone con scolarità media alta, che si dice invece soddisfatto della tutela legislativa e  istituzionale.
E quanto alle pene? L’innalzamento delle pene per i violenti è la scelta più condivisa (77% delle internaute e 54% del campione telefonico) ma si rivela sorprendentemente alto il consenso attorno a una misura scartata con forza dal legislatore, la castrazione chimica del recidivo, che raccoglie il sì del 58% delle internaute e del 26% del campione telefonico.
Le inchieste giornalistiche e l’esperienza degli operatori della sicurezza hanno evidenziato da tempo la difficoltà, per la vittima, di denunciare quanto accaduto. È istruttivo vedere quali spiegazioni del fenomeno abbiano incontrato più consenso: il 47% sostiene che “le vittime non sono sicure di poter venire adeguatamente tutelate e ottenere giustizia”. Alte (20% e 17%) le percentuali che spiegano la riluttanza con un senso di vergogna e di paura, e significativo quel 10% che la attribuisce al timore di rivivere, denunciandolo, il dolore subito.
E, infine, la percezione della minaccia: il 50% delle internaute dichiara di non aver mai avuto paura di subire violenza. Ma nell’altra metà, quella che dichiara di aver provato paura, c’è un 21% che ammette di aver cambiato abitudini e comportamenti, per scongiurare la minaccia. Le circostanze della violenza? Anche se le cronache smentiscono i luoghi comuni, gli intervistati individuano quasi unanimemente tre fattori di rischio: essere sola, essere in una zona buia, e in un’area urbana degradata. Curioso che il questionario non abbia posto una domanda, forse per un eccesso di correttezza politica, che anima spesso le discussioni sul tema: c’è anche una dimensione “etnica” dello stupro? Ovviamente le cronache giornalistiche sono attratte con più facilità dalla violenza dello straniero, dalla rivelazione di un conflitto culturale nel rapporto con la libertà della donna. Ma, anche qui, additare gli insuccessi dell’integrazione non nasconde un altro fenomeno, meno plateale, ma tutto occidentale: la crescita della violenza domestica, al riparo delle mura familiari. Se nelle famiglie dell’immigrazione la violenza domestica – che esiste – è limitata dalla subordinazione degli elementi femminili, nella nostra cultura libera e di emancipazione femminile, anche la violenza appare priva di freni: tra il 2000 e il 2005 in Italia ci sono stati 495 omicidi all’ interno della coppia (ovviamente nell’88,6% dei casi è stato l’uomo a uccidere la donna), con due elementi scatenanti su tutti: la gelosia nel 37,6% dei casi e generici dissapori e litigi nel 25,9%. Serviranno, questi dati, a mettere meglio a fuoco i fenomeni, e la loro percezione a volte illusoria, se si pensa che lo stupro di strada, ad opera di estranei, è solo il 12% rispetto ai casi di violenze sessuali avvenute tra le mura domestiche, da parte di ex mariti o fidanzati, o anche solo di mariti e fidanzati che pensano di ribadire così il proprio potere e i propri diritti sul corpo altrui?  
* Inviato speciale del Tg5
01/11/2006