Annalisa Bucchieri

Il signor noir

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Il momento magico del giallo in Italia, visto con gli occhi di Corrado Augias che con le sue storiche trasmissioni ha rilanciato il fascino della cronaca nera

Sul muro dietro la sedia un’immagine del suo nume tutelare, il magnifico e terrifico scrittore Edgar Allan Poe, sul tavolo basso un centinaio tra libri di storia, saggi su Roma e sul cristianesimo, gialli e polizieschi italiani freschi di stampa, forbici pronte a ritagliare giornali impilati sul secretaire: lui compare solo dopo, con studiata suspense, da dietro la paratia di legno che protegge la sua scrivania dalla distrazione del forte sole mediterraneo che entra dall’enorme finestra della stanza. Se gli indizi non sono sufficienti a farvi capire di chi si tratta, vuol dire che siete fra i pochi che non hanno seguito e imparato dai suoi programmi televisivi. Corrado Augias, maestro dell’indagine catodica, colui che ha raccontato la cronaca nera con la capacità di un romanziere, sviscerato gli omicidi irrisolti del passato, critico letterario e autore stesso di trame misteriose. A lui chiediamo di spiegarci il perché di questa stagione d’oro che sta vivendo il giallo in tutte le sue forme, al top delle classifiche di vendita dei romanzi, scelto da registi cinematografici di culto come Woody Allen o Roman Polanskiy, argomento centrale di oltre un milione di siti Internet, capace di conquistarsi uno spazio radiofonico bellissimo come Tutti i giorni del giallo condotto da Luca Crovi, e fulcro di tante trasmissioni tv in prima serata.
Quali sono le ragioni del successo di programmi televisivi come il suo Enigma, o Blu notte di Carlo Lucarelli nei quali si ricostruiscono accadimenti di cronaca nera?
Le ragioni si possono comprendere risalendo alle nostre strutture psichiche più profonde. L’essere umano ogni volta che si trova di fronte ad un mistero, ad un enigma, che sia un indovinello o un omicidio apparentemente perfetto sente la necessità di scioglierlo. Quello che prevale in questo tipo di trasmissioni, come nei film o nei libri gialli, è la spinta alla scoperta della verità, la curiosità di sapere chi è stato, ma anche il perché lo ha fatto, insomma vedere come va a finire. Altro elemento determinante è l’attrazione naturale che tutti noi proviamo nei confronti dei fatti di sangue. Abbiamo un doppia reazione psicologica, istintiva, preculturale: repulsione e attrazione. Un semplice esempio: quando c’è un incidente sull’autostrada chiunque passi non può fare a meno di rallentare per sbirciare. 
Sta dicendo che l’essere umano è morboso?
Sì certo, e dirò di più: il delitto sanguinoso  affascina ancor più quando la vittima è una donna. Non a caso nella maggior parte dei libri gialli è così – basti pensare alle recenti uscite di Donne informate sui fatti di Carlo Fruttero e Come dio comanda di Nicolò Ammanniti – perché si va a pescare nell’elemento torbido della nostra psicologia, dove l’eros, la spinta erotica della perpetuazione della specie si unisce al tanatos, alla morte. Vetta artistica dell’Occidente, il Tristano e Isotta di Wagner riassume tutta questa complessa costruzione antropologica dove la perpetuazione della vita si fonda sulla abolizione della vita stessa. La struttura giallistica è fondata su questa impalcatura psicologica fortissima, è stata un’invenzione geniale di Edgar Allan Poe averla utilizzata in letteratura, per lo stesso motivo è stato vincente trasportarla successivamente sul grande e piccolo schermo.
A utilizzare la televisione come mezzo di espressione narrativa della cronaca nera è stato proprio Lei già una quindicina di anni fa con Telefono giallo.
La televisione ha delle potenzialità talmente enormi che bisogna contenerle. Noi in redazione ci siamo posti dei limiti: niente immagini cruente, nessun caso aperto. Non per un principio di deontologia astratta, ma perché quando fai lo studio con i casi aperti, gli invitati di turno, lo psicologo, il parente, l’avvocato, il prete, sanno solo ciò che dicono i giornali, ne sanno quanto te, non hanno letto atti istruttori. Farli discutere è un esercizio futile. Si può raggiungere lo stesso effetto su casi ormai passati in giudicato irrisolti ma archiviati, che offrono gli stessi elementi d’interesse proprio per le tante zone oscure che presentano.
Sul suo sito lei ha scritto che dal modo in cui un popolo delinque si capisce molto della sua anima. Quale idea si è fatto di quella degli italiani?
Un popolo non crudele ma feroce. A differenza degli inglesi, duri, al limite della crudeltà, hanno inventato loro i campi di concentramento. Noi invece, conosciamo esplosioni di ferocia repentina, effimera, per poi ritornare in quiete. Siamo un popolo di fibra morale debole e uno dei popoli più corrotti che si conosca. Abbiamo difficoltà a vivere troppo a stretto contatto, siamo impazienti: questa latitudine, questo sole, questo mare, questi pomodori così rossi, ci rendono irrequieti. Infatti i politologi sostengono che siamo un popolo di difficile governo.
Questo si rileva anche nel tipo di omicidi che commettiamo?
Iniziamo col dire che gli italiani non uccidono frequentemente, per fortuna. Quello che succede in una settimana a New York da noi succede in un anno; le proporzioni sono molto dissimili. Sto escludendo le stragi di mafia che sono vere e proprie guerre. La nostra tipologia di omicidio è quella del delitto d’impeto, non premeditato. Certo, anche nel nostro Paese vi sono stati delitti perfetti, calcolati al dettaglio, freddamente eseguiti. Ma nella maggior parte dei casi il gesto assassino è lo sfogo irrazionale di un rancore diventato intollerabile.
Quali delitti hanno contrassegnato la storia del nostro Paese negli ultimi cinquant’anni?
Sicuramente gli omicidi politici, in primis quello di Aldo Moro, che ha gettato tante ombre sull’Italia ancora non del tutto fugate. Poi vi sono alcuni fatti di cronaca che hanno stravolto l’immagine della “famiglia” e che hanno colpito in particolar modo l’opinione pubblica: figlicidi, parricidi, matricidi, genitori che uccidono i figli, figli che uccidono i genitori.
Perché solo ora il giallo italiano viene apprezzato?
Perché adesso aderisce meglio alla realtà, non poco se consideriamo che il poliziesco appartiene alla larga famiglia del realismo letterario. Nei miei vent’anni non c’era una delinquenza degna di essere raccontata, andavano infatti i film di Totò e Fabrizi, la letteratura non aveva fatti concreti che la ispirassero. Poi il nostro è diventato un Paese a criminalità specializzata e dunque è nato un filone poliziesco. In effetti  cinema e televisione sono arrivati prima ad appropriarsi del giallo, ma questo perché sono sempre stati più remunerativi. Gli autori guadagnavamo meglio scrivendo sceneggiature piuttosto che romanzi. Comunque oggigiorno noi possiamo vantare bravi giallisti che perpetuano il filone d’impronta realistica, ispirandosi al clima sociale che respiriamo. A me piace anche l’altro filone poliziesco, quello che rasenta la commedia, in cui noi italiani siamo esperti. C’è sempre l’omicidio ma c’è anche il momento del sorriso. E in questo sapersi salvare dalla tragedia anche di fronte alla ineluttabilità della morte trovo vi sia molta “italianità”. 
01/11/2006