Anacleto Flori

Menti infuocate

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Il criminal profiling del piromane. Come e perché scatta nella psiche dell’individuo il piacere malato di bruciare il mondo

Tutto era pronto sulla scena del crimine la mattina del 13 marzo scorso: i fogli di giornali ben accartocciati, l’accendino e l’invitante boscaglia delle colline pavesi. Non mancava neppure l’aria mite delle prime giornate di sole dopo il grigiore del lungo inverno. Per fortuna a fermare la mano del solitario incendiario ci hanno pensato gli uomini del Corpo forestale dello Stato in servizio di pattugliamento. Statisticamente si è trattato del primo arresto in assoluto fatto registrare nel 2006 in Italia, in pratica è stato una specie di campanello d’allarme rispetto alla solita, drammatica serie di attentati contro il nostro patrimonio boschivo. E le conferme non sono mancate: a distanza di qualche mese, il 5 giugno, cinque ettari di pineta sono andati in fumo vicino all’abitato di Verezzo, nell’entroterra sanremese e solo due giorni dopo altri 25 ettari di macchia mediterranea sono andati distrutti di fronte alla marina di Porto Cesareo (Lecce).
I dati non lasciano dubbi circa le responsabilità: secondo le statistiche diffuse dal Niab (Nucleo investigativo antincendi boschivi) del Corpo forestale dello Stato il 98% dei roghi che divampano nel nostro Paese sono provocati dall’uomo mentre solo il 2% ha cause naturali e/o accidentali. In particolare nel corso del 2005 gli incendi boschivi sono stati 7.951, con 344 persone denunciate per incendio doloso, 16 delle quali tratte in arresto in flagranza di reato. Proprio il rapporto tra reati commessi e responsabili individuati ha fatto registrare nel quinquennio 2000-2005 un continuo trend positivo: su una media annua di settemila incendi, 2.142 sono state le persone denunciate e 86 quelle arrestate. In questi anni l’azione della Forestale si è potuta infatti avvalere del potenziamento degli strumenti operativi di polizia giudiziaria previsti dalla “Legge quadro” n. 353 del 21 novembre 2000 che ha introdotto nel sistema giudiziario italiano il reato specifico di incendio boschivo, trasformando quest’ultimo da fattore di rischio per l’incolumità delle persone a vero e proprio delitto contro l’ambiente.
Nonostante gli incoraggianti risultati una delle difficoltà maggiori che ancora incontrano gli investigatori sta nel comprendere l’attrazione fatale esercitata dalle fiamme, lo scarto psicologico che spinge determinate persone ad appiccare volontariamente e ripetutamente incendi boschivi o urbani.
“Capire tali ragioni – spiega il criminologo Marco Cannavicci, direttore del Servizio di psicologia delle forze armate e collaboratore del Niab – significa risalire al profondo significato che il fuoco ha avuto per l’uomo fin dagli albori delle più antiche culture. Un mix di desiderio, paura, ma anche odio, passione, rabbia, vendetta ed eccitazione sessuale, che ha lasciato tracce un po’ ovunque: nei riti religiosi, basti pensare ai fuochi della notte di San Giovanni e al valore votivo di ceri e candele; in quelli propiziatori in cui si danno alle fiamme pupazzi di stoppie per rendere fertile la terra e assicurarsi così un buon raccolto; e ancora nelle cerimonie pagane di iniziazione, in cui il superamento di prove legate al fuoco, segna il passaggio dall’infanzia all’età adulta”.
I primi a studiare in modo sistematico l’aspetto psicologico dei reati legati agli incendi dolosi sono stati gli uomini della Behavioral science unit, le unità speciali dell’Fbi, che hanno individuato quattro possibili profili di incendiari.

Gli incendiari disadattati
Il primo profilo è quello degli incendiari per vandalismo: generalmente giovani intorno ai sedici anni, socialmente emarginati di origine modesta che si riuniscono in piccoli gruppi, non avendo il coraggio di agire da soli. Tra i loro bersagli preferiti ci sono le scuole, i giardini e i parchi giochi situati nei pressi delle loro abitazioni. Agiscono preferibilmente di sera, durante la fine della settimana, allontanandosi di corsa dai luoghi incendiati.
Il secondo è quello di chi appicca il fuoco per vendetta, con l’intenzione di distruggere un bosco, un campo coltivato, una automobile o qualche altro bene materiale come forma di risarcimento personale per una presunta ingiustizia subita. Si tratta di un reato tipicamente femminile, commesso da donne appartenenti a una classe sociale medio-bassa che agiscono a notte fonda o di primo mattino per non farsi vedere e con l’accortezza di usare inneschi ad azione ritardante per avere modo di fuggire e crearsi così un alibi: spesso prima di passare all’azione cercano di farsi coraggio e di abbassare il livello di coscienza facendo ricorso all’alcol.
C’è poi il profilo degli incendiari per profitto, quasi sempre pregiudicati che appiccano incendi per guadagno personale o su incarico di altri mandanti; agiscono da veri professionisti con il favore delle tenebre o poco prima dell’alba, dopo aver studiato ogni minimo dettaglio. Usano piccole cariche esplosive ed ordigni a tempo, lasciando in giro pochissime tracce. L’ultimo profilo è quello di chi si serve del fuoco per alterare o distruggere delle prove e sviare così le indagini. Anche in questo caso si tratta per lo più di pregiudicati, che vivono lontano dal luogo del delitto, agiscono sempre in gruppo e si servono di liquidi infiammabili come innesco per gli incendi.
L’esame dei diversi scenari d’azione dimostra che più “pulita e organizzata” appare la scena del crimine più l’autore si muove con raziocinio e lucidità, spinto da motivazioni materiali piuttosto che psicologiche. Ed è proprio la perdita del controllo degli impulsi, con la conseguente ripetizione ossessiva degli episodi criminosi, a segnare il passaggio, “il salto di qualità” da incendiario a vero e proprio piromane.

Il piromane
“Chiunque appicchi un fuoco – spiega Marco Cannavicci – può essere definito come incendiario ma per etichettarlo come piromane serve un movente di tipo psicopatologico. Di solito si pensa che sia il piromane a far nascer l’incendio; al contrario è proprio la vista del fuoco a creare questa particolare tipologia di incendiario suscitando un piacere intenso che lo spinge a ricreare volontariamente tale visione. In molti casi il primo contatto tra il fuoco e il piromane è occasionale, ma è talmente eccitante che è necessario ripetere più volte l’esperienza in una sorta di corto circuito compulsivo che conduce il soggetto a una dipendenza difficile da interrompere: il piromane si rende conto dei reati che compie ma deve comunque metterli in atto (ci sono casi di piromani che hanno continuato ad appiccare incendi nonostante fossero già stati indagati, ndr)”. Anche in questo caso a tracciare l’identikit comportamentale e sociale del piromane ci ha pensato l’Fbi: in genere si tratta di un maschio single di 30-40 anni, con un basso livello intellettivo, una scarsa scolarità e una forte propensione all’abuso di alcol. È un solitario che vive preferibilmente in campagna e presenta tratti antisociali (non prova rimorso dei propri gesti), un passato di ribellioni adolescenziali, di violenze su animali di piccola taglia e di enuresi (incontinenza notturna), con un interesse patologico, fin dall’adolescenza, per il fuoco (piccoli incendi e furti di accendini e fiammiferi). Opera con modalità ossessive, rispettando una propria ritualità: preferisce muoversi d’estate (stagione in cui le sua gesta possono trovare più risalto nei media), perché con il clima caldo e secco bastano pochi secondi per incendiare una siepe o un campo di stoppie secche. Inizialmente agisce vicino casa, in posti che conosce bene poi la sua azione si allarga, aumenta la capacità distruttiva, ma senza mai oltrepassare le due miglia rispetto al luogo di residenza o di lavoro. La sua eccitazione raggiunge il culmine nel vedere le fiamme che si levano, nell’ascoltare il loro stesso crepitìo: per questo rimane sul luogo del rogo oppure si allontana per chiamare le squadre antincendio e partecipare addirittura all’operazioni di spegnimento. Il piromane dunque vive tra noi, esce dall’ombra per pochi istanti, per poi nascondersi tra la folla dei curiosi, mescolandosi alle squadre di volontari, in attesa di colpire ancora. Imparare a conoscere la psicologia dei piromani, il loro modus operandi, le ricorrenze alle quali sono legati, le loro aree di azione è forse l’unico modo per monitorare con successo il territorio e bloccare in tempo la loro mano incendiaria.


Incendi in città
Anche quest’anno, con il sopraggiungere dei primi caldi gli incendi urbani sono tornati a turbare il sonno degli automobilisti delle città italiane. “L’ostacolo più grande che incontrano le indagini – osserva Dario Bosco, crimen analyst nonché collaboratore del Nucleo investigativo antincendi boschivi (Niab) della Forestale – è rappresentato dal fatto che in Italia l’allarme sociale sugli incendi urbani è relativamente recente e che non esistono dati sui cui poter lavorare. Nei Paesi dove il fenomeno è più radicato, come gli Usa, l’Inghilterra, la Finlandia o l’Australia, si è cominciato già da tempo a costruire dei veri e propri database sugli incendi in città”. Proprio per colmare questo ritardo, nello scorso aprile è stato presentato dal Niab un progetto di ricerca della durata di un anno per la costruzione di un database nazionale e di un avanzato sistema di analisi criminale in grado di disegnare l’offender profiling, vale a dire il quadro delle probabili caratteristiche sociali e psico-comportamentali di coloro che appiccano gli incendi, e il loro geographical profiling, l’individuazione cioè delle aree di residenza e di azione.

Vigili del fuoco o Forestale?
In Italia, sulla base dell’attuale legislazione, la competenza per gli incendi di bosco non è affidata al Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, bensì alla Regione e al Corpo forestale dello Stato. C’è però un dato di fatto, che è bene sottolineare e cioè che raramente i roghi boschivi interessano solo e soltanto gli aspetti per così dire ambientali. In mezzo c’è sempre un’abitazione, un casolare, una stalla con degli animali e in questi casi la competenza si allarga, fino a coinvolgere in prima linea anche gli uomini e i mezzi dei Vigili del fuoco. Inoltre le telefonate che arrivano al 115, numero di emergenza dei popolari pompieri, per segnalare la presenza in un bosco di un incendio sono tantissime perché i cittadini non sempre conoscono le specifiche competenze e così, quasi per istinto, scatta immediata l’equazione “incendio = Vigili del fuoco”. A volte lo stesso operatore della Sala operativa 115 è chiamato a stabilire se sussiste o meno la competenza ad intervenire: a quel punto bastano un paio di minuti per le uscite d’emergenza verso il luogo dell’incendio con una delle squadre a disposizione. Se invece la situazione richiede l’intervento della componente aerea, la decisione è del Centro operativo aereo unificato del Dipartimento della protezione civile anche se il coordinamento dell’azione è a cura del direttore di lancio della Forestale. L’impegno assicurato dai vigili del fuoco è testimoniato dai dati della Campagna antincendi boschivi dell’estate 2005 che ha fatto registrare un totale di 256 ore di volo effettuato dai mezzi aerei, con un dispositivo di soccorso che può contare su due elicotteri Agusta AB412 in versione strumentata anche per il volo notturno, capaci di trasportare fino a 15 persone.
Graziella Aiello   

Le fiamme dei serial killer
Secondo la casistica elaborata dall’Fbi alcuni tra i più pericolosi serial killer sono stati anche irriducibili piromani, come ad esempio David Berkowitz, detto Il figlio di Sam (autore di circa 1.400 incendi) che negli anni Settanta ha mietuto sei vite usando la stessa tecnica: seguiva le sue vittime in strada o all’interno delle auto e le freddava con una calibro 44 nascosta in una busta della spesa. O come Peter Kurten tristemente famoso come Il mostro di Dusseldorf (oltre 40 incendi alle spalle), autore di almeno dodici omicidi e numerosissime aggressioni (a colpi di martello, accoltellamenti o di tentati strozzamenti), commessi tra il febbraio 1929 e il maggio del 1930.
In alcuni casi c’è chi ha addirittura scelto il fuoco come arma, come strumento di morte: è il caso dell’assassino seriale incendiario che – a differenza del piromane, che appicca incendi per il gusto di farlo ma senza desiderio di uccidere – prende di mira luoghi in cui è sicuro di trovare delle persone, compiendo molto spesso dei veri e propri omicidi seriali di massa. La differenza principale con il serial killer classico è che questo soggetto non ha bisogno di un stabilire contatto fisico diretto con le vittime. Tra gli assassini seriali che rientrano in questa tipologia il più famigerato è l’americano Robert Dale Segee che, fra il 1938 e il 1950, uccise quattro bambini bruciandoli vivi e appiccò un gigantesco incendio al tendone di un circo provocando la morte di 169 persone. A causa della mancanza di prove concrete da presentare in tribunale, Segee non venne mai condannato per gli omicidi che pure confessò spontaneamente nel 1950, mentre stava scontando una condanna per incendio doloso nel Connecticut. Di lui si è persa ogni notizia nel maggio 1959.
Graziella Aiello

01/07/2006