Anacleto Flori

Delitti annunciati

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Le tragedie familiari sono spesso l’ultimo atto di una serie di violenze che possono essere individuate per tempo e interrotte. Come interpretarne i segnali

Delitti annunciati

Un reato oscuro, strisciante e odioso quello dei maltrattamenti in famiglia, vissuto in silenzio, all’ombra della paura e della vergogna o perfino dei sensi di colpa. Stati d’animo diffusi che spingono la vittima a minimizzarne la gravità, a negarne l’esistenza. Un reato difficile da riconoscere e da denunciare.
Se il numero delle donne che subiscono violenza all’interno delle mura domestiche rimane avvolto nell’incertezza, le cifre si fanno inesorabilmente più chiare e precise quando si parla di casi in cui l’escalation dei maltrattamenti sfocia nell’omicidio così come hanno fatto registrare le cronache delle ultime settimane. Quattro donne uccise nel giro di poche ore una dall’altra: particolarmente raccapriccianti i delitti di Roma, dove una casalinga è stata decapitata, e di Venezia, con una diciannovenne al nono mese di gravidanza sepolta ancora viva, dopo un tentativo di strangolamento dall’uomo con cui aveva avuto una relazione.
Per meglio comprendere l’entità di tali episodi basta sfogliare le pagine dell’ultimo rapporto sull’omicidio domestico pubblicato dall’Eures – Istituto ricerche economiche e sociali (www.eures.it) da cui emerge che in Italia, nel 2004, si sono contati 187 delitti in famiglia, uno ogni due giorni. Di questi oltre la metà sono riconducibili a omicidi di coppia: in sette casi su dieci la vittima è una donna mentre in otto su dieci l’assassino è un uomo.
Sono dati preoccupanti, anche se c’è da registrare una incoraggiante flessione rispetto ai 201 delitti del 2003. “Per il 2005 stiamo ancora elaborando i dati – afferma Fabio Piacenti, direttore dell’Eures – ma la tendenza sembrerebbe indicare una ulteriore diminuzione del 10% degli omicidi, un andamento che, nonostante gli ultimi casi eclatanti finiti sulle pagine dei giornali, dovrebbe essere confermato anche nel primo semestre del 2006”.
Al di là delle cifre il rapporto Eures fornisce anche interessanti chiavi di lettura degli omicidi in famiglia, come quella che sfata il luogo comune secondo il quale tali fatti di sangue sono una prerogativa del Meridione: in realtà il maggior numero di omicidi, 83 (pari al 44,4%), avvengono al Nord contro i 64 del Sud (34,2% ) e i 40 del Centro (21,4%). La regione più a rischio è la Lombardia, con 26 vittime, seguita da Lazio (19), Toscana (16) Veneto, Campania e Sicilia (15).
Per quanto riguarda l’età delle persone assassinate, la percentuale più alta si registra tra gli over 64 con 39 vittime (20,9%), mentre i dati sulle tipologie delle armi usate indicano che gli uomini usano soprattutto quelle da fuoco e da taglio, mentre il soffocamento e l’arma da taglio sono i mezzi maggiormente utilizzati dalle donne.
Un discorso a parte meritano i moventi: si uccide per motivi passionali nel 23% dei casi, stessa percentuale dei delitti maturati a seguito di liti mentre gli omicidi commessi in preda a un raptus si fermano al 17,4%. Un dato che indica come siano relativamente pochi gli episodi criminosi frutto di gesti improvvisi, imprevedibili. “Nella maggior parte dei casi – afferma la psicologa e criminologa Anna Costanza Baldry del Dipartimento di psicologia della seconda università di Napoli e responsabile del Centro vittime Sara-Cesvis1 – l’uxoricidio rappresenta solo l’ultimo atto di una serie di minacce e di violenze fisiche e psicologiche consumate in famiglia, tanto che a volte si può tranquillamente parlare di morti annunciate che potevano essere scongiurate se fossero stati messi in campo strumenti in grado di leggere per tempo queste spirali di violenza. L’Italia sconta ritardi significativi rispetto ad altri Paesi, come ad esempio, il mancato utilizzo di metodi di valutazione del rischio per individuare, nei casi di maltrattamenti, la presenza di fattori in grado di stabilire il livello di probabilità che tali violenze possano prima o poi ripetersi, cioè il cosiddetto rischio di recidiva”.
Uno dei metodi più accreditati tra i ricercatori è il Sara (Spousal assault risk assessment) messo a punto in Canada e incentrato sull’individuazione di dieci fattori di rischio relativi alle caratteristiche del reo, della vittima, della relazione interpersonale esistente e del contesto sociale (vedi box). Di certo questi metodi, pur essendo un utile strumento per investigatori e magistrati, non vogliono e non possono essere sostitutivi delle indagini. “Un altro vuoto da colmare – continua la criminologa – riguarda l’assenza di specifiche normative capaci di contrastare la diffusione dello stalking (sindrome del molestatore assillante) un tipo di reato configurato per la prima volta agli inizi degli anni ’90 in California, e successivamente introdotto in Canada, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Germania e Svezia, e basato sul concetto di instaurazione di un persistente stato di paura nella vittima. Anche se con l’apertura del primo sportello antistalking a Cagliari, gestito dall’Associazione progetto donna ceteris, si sta cercando di dare risposte concrete alle donne che subiscono questo tipo di angherie”.
Nonostante i ritardi, qualcosa dunque sta cambiando anche in Italia grazie all’art. 11 della Decisione quadro del Consiglio dell’Unione europea del 15 marzo 2001 che impone ai Paesi membri la presenza, nei passaggi processuali con le vittime di violenza, di personale in possesso di una specifica professionalità. “Grazie al Progetto Dafne finanziato dall’Ue e portato avanti dall’associazione Differenza donna – conferma Chiara Giacomantonio, direttore della Sezione minori della Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato – abbiamo potuto organizzare dei corsi di formazione professionale riservati al personale delle Sezioni minori delle Squadre mobili e delle Divisioni anticrimine. In tutto sono stati circa 250 gli operatori, provenienti da 75 questure, che hanno avuto la possibilità di prendere contatto con il metodo Sara. In pratica – prosegue il direttore – si è lavorato sull’uso di uno specifico formulario da sottoporre alle donne che denunciano episodi di violenza e sull’esame delle relative risposte. Sono certa che tutti i partecipanti ai corsi avranno imparato qualcosa di importante per il nostro lavoro: sapere ascoltare e comprendere la sofferenza delle donne”.  

1. Centro studi e ricerche per la tutela delle vittime del reato e la valutazione del rischio di recidiva della violenza (www.sara-cesvis.org).


Dove si nasconde la violenza

Ecco i dieci fattori di rischio del Sara (Spousal assault risk assessment) da valutare nei maltrattamenti in famiglia per prevenire l’escalation della violenza. Ogni fattore va valutato utilizzando le diverse fonti: la vittima, l’autore, i fascicoli già esistenti, le relazioni dei servizi sociali e le eventuali denunce-querele. 
 1. Gravi violenze fisiche/sessuali (lesioni che mettono in serio pericolo la vita della vittima o che richiedono cure mediche).
 2. Gravi minacce di violenza, ideazione o intenzione di agire violentemente.
 3. Escalation della violenza fisica/sessuale e delle minacce/ideazioni o intenzioni di agire con violenza.
 4. Violazione delle misure cautelari o interdittive (divieto di espatrio, obbligo di presentazione alla polizia, divieto od obbligo di dimora, arresti domiciliari, obbligo di allontanamento dalla casa familiare, eccetera).
 5. Atteggiamenti negativi nei confronti delle violenze interpersonali e intrafamiliari. Incoraggiare o giustificare il comportamento abusivo e violento minimizzando ogni responsabilità personale attraverso la colpevolizzazione della vittima o negando la gravità delle conseguenze delle proprie violenze.
 6. Precedenti penali. Nella valutazione vengono presi in considerazione condanne o imputazioni per altri reati non legati alla violenza domestica nei confronti della partner.
 7. Problemi relazionali. Separazione dal partner o elevata conflittualità all’interno della relazione attuale o in quelle pregresse.
 8. Status occupazionale o problemi finanziari. Status cronico di disoccupazione, lavoro instabile, gravi problemi finanziari.
 9. Abuso di stupefacenti o alcolici.
 10. Disturbi mentali. Manie, allucinazioni, demenza, depressioni e ansia; disturbo della personalità, segnali di minacce, ideazione e intenzione di suicidio.

01/06/2006