Francesco Piazza*

Questioni di etichetta?

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Incontri di vertice, pranzi e visite ufficiali. Ogni evento istituzionale viene regolato da un codice inappuntabile di comportamenti. Attraverso il cerimoniale lo Stato parla di sé

Questioni di etichetta?

Giudicheremmo malformato un corpo di membra disarticolate e prive d’armonia, e non altrimenti diremmo di uno Stato che, desolato dal disordine, sia come privo d’una guida” e, infatti, “solo in virtù di un ordine lodevole il potere imperiale apparirà più maestoso, configurandosi più grande il suo prestigio, così da suscitare l’ammirazione dei popoli e dei sudditi il consenso”. Così scriveva l’Imperatore Costantino VII Porfirogenito (905-959 d.C.), introducendo il lettore del suo Liber de Cerimoniis Aulae Bizantinae alla materia che ci occupa. Quel lucido pensiero è ancora oggi di mirabile attualità e il suo sviluppo suscita vivo interesse. Certo non sfugge ad alcuno quale rilevanza abbia nell’attività di rappresentanza protocollare, che costituisce la parte ufficiale e più formale della vita di uno Stato, l’efficacia della comunicazione e l’importanza che essa avvenga con un linguaggio chiaro e uniforme, di univoca comprensione. Ebbene, l’uniformità del messaggio comunicativo ha una propria valenza sia sotto il profilo attivo, sia dal lato passivo. Infatti, l’uniformità dei segni, dei simboli e del linguaggio comunicativo rispetto a ciò che si vuole significare, oltre ad essere necessario strumento di certezza e di comprensione tra gli operatori, è indispensabile ed essenziale ad assicurare l’univocità del messaggio in chi osserva.
Le forme di manifestazione e di rappresentazione delle istituzioni dell’ordinamento della Repubblica è bene siano disciplinate da regole codificate. Ciò è conforme ad un duplice ordine di necessità. Innanzi tutto, risponde al fine di evitare che il comportamento istituzionale possa essere caricato di significati soggettivi riferiti alla persona e al contingente, quando invece ciò che deve emergere è il munus pubblico. In secondo luogo, e in via principale, per garantire una rappresentazione conforme e univoca dell’impianto ordinamentale dello Stato.
Le prescrizioni protocollari, proprio perché disciplinano l’attività di relazione formale e ufficiale, sono efficaci e sensibili strumenti di certezza nell’espressione dei rapporti tra le istituzioni, in relazione all’organizzazione dell’ordinamento. Per meglio comprendere la rilevanza di ciò, si consideri il diverso significato formale e sostanziale di una visita a seconda che essa, resa ad un’alta carica dello Stato, sia classificata come visita di Stato, visita ufficiale o incontro di lavoro. E, ancora, si pensi a tutte le volte in cui attraverso queste forme di manifestazione di sé il soggetto pubblico esprime la propria partecipazione a taluni eventi e l’adesione ad iniziative di altro soggetto, pubblico o privato.
Il cerimoniale è, dunque, il complesso insieme di linguaggio, condotta e simboli attraverso il quale le istituzioni affrontano le relazioni intersoggettive. Il protocollo costituisce la parte delle regole grammaticali di quel linguaggio fatto di condotte, significati e segni. È, cioè, la disciplina sistematica dei criteri e dei principi, nonché l struttura precettiva stessa della manifestazione esterna dei soggetti dell’ordinamento, in modo conforme alla Costituzione, allo spirito e ai principi generali da essa posti e all’intero ordinamento giuridico. Attraverso la forma protocollare si rende palese l’organizzazione complessa dello Stato-ordinamento. Il protocollo è dunque manifestazione della sostanza, è lo Stato-ordinamento che si mostra.
La sensibilità dei riflessi prodotti dall’attività protocollare conduce a ritenere per  indispensabile che la materia sia garantita da uniformità e univocità di disciplina. Ciò assicura, per diretta conseguenza, uniformità e univocità di criteri di interpretazione e valutazione di segni, di linguaggio e, quindi, di significazioni. Diversamente, non è dubbio che si incorrerebbe facilmente in incertezze sul portato significativo, e di esse non ci si accorgerebbe se non nel momento in cui avesse ad evidenziarsi in modo irreparabile il danno procurato. Il danno così inferto sarebbe diretto all’organizzazione stessa dello Stato nella sua manifestazione e rivelerebbe incertezze nell’ordinamento di quest’ultimo.
Ora si affronti anche un’ulteriore qualificazione della materia protocollare. Il protocollo di Stato subisce il diretto condizionamento della vitalità dell’ordinamento giuridico-costituzionale, dovendo ad esso e al suo divenire conformarsi, di modo da costituirne incessantemente uniforme rivelazione sinottica. A motivo di questa sua prima ed essenziale qualificazione, la disciplina protocollare mostra di essere in grado di incidere sull’ordinamento stesso, ponendo in essere condotte o fissando regole in adesione a fattori extragiuridici che, ripetuti nel tempo, sono idonei a costituire prassi o convenzioni e, considerata la materia, non è escluso si tratti di convenzioni o, addirittura, di consuetudini costituzionali. Ciò si rivela essere un elemento fortemente atipico nel sistema delle fonti di produzione. Non è difficile illustrare quanto si è sostenuto. Basti pensare, per esempio, che fatti, come l’ordine di precedenza tra i ministeri, sono in grado d’incidere su atti giuridici, come il decreto del presidente della Repubblica di nomina dei ministri.
A ragion veduta Costantino VII Porfirogenito per sfuggire l’apparenza di un corpo di membra disarticolate auspicava un ordine lodevole. La certezza della materia, delle sue disposizioni e dei significati che esprime, dunque, non può che discendere dalla codificazione. Essa è in grado di assicurare l’invocata univocità di manifestazione adatta a rivelare, in modo conforme, l’organizzazione e l’impianto ordinamentale della Repubblica. 

* Consulente del Dipartimento del cerimoniale di Stato, Presidenza del Consiglio dei ministri


L’uomo delle cerimonie
È proprio il caso di dire che si tratta dell’uomo giusto al posto giusto. Anche nell’aspetto: alto, magro, elegante. È Massimo Sgrelli il capo del Dipartimento del cerimoniale di Stato della Presidenza del Consiglio dei ministri, l’ufficio cioè che ha la responsabilità del coordinamento di tutti gli aspetti nazionali del cerimoniale. Che, a voler semplificare, è quell’insieme di regole di forma che si applicano nelle relazioni tra persone e tra enti negli eventi pubblici. In pratica non c’è evento di rilievo nazionale, del quale si debbano curare gli aspetti formali (cerimonia solenne, incontro di vertice, conferenza, firma di protocollo, visita di capo di Stato, eccetera), che non abbia la supervisione di Sgrelli e quella del suo staff. Sono loro che applicano, interpretano, adattano ai tempi che cambiano le regole di forma, scritte e non scritte, alle quali devono sottostare tutti gli uomini pubblici, anche i più potenti della terra. Il cerimoniale dà regola, forma, ordine, estetica. Ed è un osservatorio privilegiato: di vizi e virtù, di cose che cambiano e di cose che restano. Di forma che è sostanza. In questa intervista il consigliere Massimo Sgrelli, da più di vent’anni al cerimoniale di Stato, ce ne spiega il senso. 
Cos’è il cerimoniale? 
Il cerimoniale è un codice di regole di forma delle istituzioni e dei loro rappresentanti. Quindi, con le dovute differenze, se ne impone il rispetto al pari delle norme contenute negli altri codici, ancorché non siano per il primo previste sanzioni di tipo diretto. Mentre il galateo compone le regole che disciplinano i rapporti fra persone nella vita privata, il cerimoniale regola quelli fra istituzioni nella vita pubblica. In un certo senso quindi si può dire che il cerimoniale è una delle espressioni della legalità, pur limitata agli aspetti di stile. Si può notare infatti che nei Paesi dove c’è maggiore attenzione alla legalità c’è anche maggiore attenzione alla forma e al cerimoniale.
Un codice è un linguaggio universale?
In un certo senso sì, anche se il cerimoniale si comprende appieno solo in contesti culturali omogenei, perché se incontriamo una persona con abitudini molto differenti dalle nostre, ad esempio un orientale, possiamo avere difficoltà di comprensione sul piano formale. In ogni Paese ci sono comunque regole di cerimoniale e molte hanno carattere omogeneo.
Pensando a certi formalismi applicati in alcune occasioni ufficiali si è portati a pensare che essi assolvano a una funzione esclusivamente estetica e di ordine. In realtà molte di quelle regole esprimono aspetti sostanziali. 
Sì, come nel caso dell’ordine delle precedenze delle cariche istituzionali (l’elenco completo, tratto dal volume, è scaricabile dal nostro sito) che presuppone una valutazione generale del rilievo di ogni singola carica nel quadro giuridico- ordinamentale dello Stato. Così se il capo della Polizia in una cerimonia viene collocato in una posizione di preminenza rispetto, ad esempio, ad altri vertici di forze di polizia è proprio in virtù delle funzioni di cooordinamento che la legge gli attribuisce. Il cerimoniale quindi è un’espressione formale di aspetti di sostanza dell’ordinamento, e ciò vale per tutte le cariche pubbliche dai massimi livelli fino ai più bassi. 
È un po’ uno specchio dell’ordinamento, perciò cambia nel tempo…
Sì è naturale, si deve adeguare ai mutamenti che avvengono nell’ordinamento. Ad esempio si pensi ai notevoli cambiamenti che ci sono stati al passaggio costituzionale italiano, dalla monarchia alla repubblica, di cui ricorre quest’anno il 60° anniversario. Così oggi abbiamo dovuto introdurre taluni aggiornamenti, perché la Costituzione ha subito alcune modifiche del titolo V, che danno una rilevanza maggiore alle autorità esponenziali di collettività locali (sindaci, presidenti di province, presidenti di regione). Proprio in questi giorni ha concluso i lavori una commissione per l’aggiornamento dell’ordine delle precedenze delle cariche pubbliche a seguito del nuovo assetto ordinamentale.
Il cerimoniale è rivolto alla carica in quanto tale e non alla persona che in quel momento la ricopre, prescindendo quindi da quelli che sono i tradizionali parametri di giudizio quali il ceto sociale, la ricchezza. In questo senso è democratico.
Da questo punto di vista il cerimoniale è anche uno strumento di democrazia e consente di ordinare le cariche, e le autorità, valutandone la valenza secondo il loro rilievo pubblico quindi nella rispettiva oggettività istituzionale.
Tra le regole formali che ancora oggi si applicano ve ne sono alcune antichissime che sono rimaste immutate?
Sì, ad esempio la regola d’oro del cerimoniale la cosiddetta “regola della destra”, cioè quella per cui la persona più importante sta a destra. Questo vale in ogni ambito: in famiglia, tra l’uomo e la donna, nelle precedenze tra le cariche pubbliche, ma anche tra due simboli, ecc. È una regola antichissima la cui origine si perde nella notte dei tempi. Viceversa ci sono regole nuove dettate da un adeguamento alle esigenze della vita moderna, come quelle legate al rispetto del diritto alla salute o alla salubrità dell’ambiente: si pensi al divieto di fumo che ha un po’ cambiato lo scenario degli incontri conviviali che ormai non terminano più con la gradevole offerta di sigari o sigarette.
La vita moderna col passare degli anni ha fatto perdere un po’ di vista l’importanza del rispetto delle regole formali. Non trova che oggi vi sia almeno in certi ambiti una inversione di tendenza? 
È vero. C’è stato un periodo, si pensi agli anni successivi al ’68, in cui le regole di forma erano considerate un po’ l’espressione del conservatorismo reazionario e quindi venivano rifiutate e anche un po’ dileggiate. A partire dall’abbigliamento, su tutto vigeva un criterio di informalità dovuta ad una ventata di libertarismo. Oggi invece lo scenario è cambiato e le regole di forma tornano ad essere apprezzate come una espressione dodovuta della ufficialità e del decoro istituzionale, ferma restando la libertà dell’individuo nella sua vita privata.
D’altra parte va detto anche che i ritmi frenetici della vita moderna hanno imposto una velocizzazione delle procedure anche in questo campo. Tutto corre più veloce, quindi anche le regole di forma devono essere più snelle, più rapide e contenute. In più la globalizzazione porta con sé una inevitabile compressione ed omogeneizzazione di queste regole. 
Contrazione dell’aspetto formale fino a che punto, cioè qual è il livello al di sotto del quale non si dovrebbe mai scendere?
Bisogna sempre salvaguardare il rispetto dei simboli: mai si potrebbe comprimere il rispetto per la bandiera, il rispetto al capo dello Stato, il rispetto all’inno nazionale. Questi innanzitutto. Poi altri simboli quali le onorificenze della Repubblica, la dignità degli organi costituzionali e delle cariche rappresentative delle collettività.
Un capo di Stato era solito ripetere: l’importanza del cerimoniale si vede quando non è applicato. In un certo senso quello di cerimoniere è un lavoro oscuro, non è così?
Direi senz’altro di sì, perché se tutto va bene nessuno si accorge dell’organizzazione che c’è alle spalle e nessuno verrà a ringraziare chi ha provveduto ad essa. Sembra quasi che naturalmente l’evento dovesse andare così. Il cerimoniere svolge un lavoro dietro le quinte di preparazione, organizzazione e gestione e funge anche da parafulmine degli eventuali disagi e dei malumori.
Dei presidenti del Consiglio con i quali ha collaborato qual’era il più attento al protocollo?
Tutti i presidenti del Consiglio quando si insediano a Palazzo Chigi non possono sottrarsi alle regole di protocollo.

All’inizio del mandato, specialmente per chi proviene da ambienti più informali, l’essere ingessati in regole stringenti di forma può sembrare un po’ faticoso e ci può essere una certa ritrosia iniziale. Successivamente, specie dopo le prime visite all’estero, si rendono conto che queste regole vengono applicate in tutto il mondo, anzi vengono rispettate sovente con maggior rigore che da noi e quindi la loro applicazione quotidiana risulta poi più naturale.
Maria Grazia Giommi


Il sistema delle fonti
Il protocollo di Stato è interessato da un complesso e atipico intreccio di atti e fatti normativi, nonché di fattori extragiuridici, che costituisce il sistema delle fonti dirette e indirette della materia.
Le precedenze a Corte
La materia protocollare e l’ordine delle precedenze a Corte e nelle funzioni pubbliche sono state regolate, a partire dall’unificazione dello Stato italiano, dal Regio decreto 19 aprile 1868, n. 4349. Quella norma fu integrata da ulteriori disposizioni con le quali si introdussero le cariche e le dignità di nuova istituzione. La disciplina fu, poi, interamente innovata dal Rd 16 dicembre 1927, n. 2210, di di seguito modificato e aggiornato da ulteriori disposizioni, da ultimo con il Rd 25 gennaio 1937, n. 70.
La disciplina della Repubblica
Il mutamento della forma da monarchia a repubblica determinò l’impossibilità del perdurare in vigenza delle norme protocollari preesistenti. Esse, giacché conformi all’organizzazione dell’ordinamento pre-vigente, non potevano essere mutuate dal nuovo ordinamento repubblicano. Il 26 dicembre 1950, il presidente del Consiglio dei ministri, De Gasperi, firmò la circolare n. 92019/12840.16, intesa a disciplinare le precedenze tra le cariche pubbliche. Dal 1954 la Presidenza del Consiglio dei ministri ha curato l’aggiornamento delle precedenze introducendo le autorità di nuova istituzione o divenute oggetto di nuova disciplina. Ciò si è verificato, ad esempio, con riferimento ai giudici costituzionali, ai parlamentari europei, alle Autorità indipendenti e ai garanti, con le autonomie territoriali e locali. Settori particolari della materia sono regolati da specifiche disposizioni: tra esse la legge 5 febbraio 1998, n. 22, recante norme per l’uso della bandiera nazionale e di quella europea; la legge 7 febbraio 1987, n. 36, in tema di esequie di Stato; nonché le norme relative al sistema onorifico e gli ordini cavallereschi della Repubblica. È in corso di adozione il decreto del presidente del Consiglio dei ministri che regolerà in modo sistematico e organico la materia protocollare e le precedenze, conformandole all’ordinamento vigente.
Francesco Piazza
01/05/2006