Emanuele Gamba*
Fiamme d’oro
Fabris, il poliziotto che ha stregato l’Italia volando sul ghiaccio olimpico di Torino
Olimpiadi invernali Torino 2006, Enrico Fabris è tutto uno scintillio, 25 anni a ottobre prossimo; ma fino all’inizio di febbraio l’Italia non sapeva chi fosse questo veneto lungo lungo e timido timido che quando si fonde con il ghiaccio diventa un treno ad alta velocità. Vince rimontando, sempre, perché ha un computer nel cervello, muscoli forti nelle gambe e un cuore che non sa risparmiarsi. “Sapevo quello che avevo dentro, non sapevo se sarei riuscito a tirarlo fuori”. Ora ha trovato anche questa risposta, passando in due settimane dall’anonimato alla leggenda dello sport italiano. Fabris è di Roana, sull’altopiano di Asiago. Studia scienze forestali all’università di Padova. Fa il poliziotto, e grazie alla polizia ha avuto la possibilità di diventare un campione. Sul ghiaccio, scivola come se l’attrito fosse una forza sconosciuta. Andrà lontano, in bilico su due lame spesse poco più di un millimetro.Quanto le è servito essere poliziotto, per vincere queste tre medaglie?
È stato fondamentale, senza dubbio. Fare parte delle Fiamme oro mi è stato di grande aiuto negli ultimi due anni, devo enorme riconoscenza al mio gruppo sportivo.
Vuol dire che, dopo l’arruolamento, la sua vita è cambiata?
Sì, perché ho finalmente avuto la tranquillità per allenarmi, la serenità per potermi dedicare allo sport senza dover per forza gravare sulla mia famiglia. Non avessi trovato aperte le porte della polizia, non so se i miei sarebbero stati ancora in grado di mantenermi, di continuare a fare i sacrifici che hanno sempre fatto in tutti questi anni. In generale, in Italia è fondamentale il contributo che le Forze dell’ordine e armate danno allo sport, soprattutto a quegli sport che la gente chiama minori.
Come il pattinaggio di velocità, ad esempio?
Esattamente. I gruppi sportivi di cui ho già detto danno una speranza anche a chi magari non riesce subito a emergere, e che quindi non trova il sostegno di uno sponsor, di un team o della federazione. In questo modo, invece, si può continuare a fare sport e, magari, a raggiungere risultati che altrimenti sarebbe impossibile conquistare. In tanti casi, purtroppo, questo è l’unico modo per continuare a praticare l’attività agonistica e ad assecondare una passione.
Fabris Enrico, poliziotto, dove presta servizio?
Sono in forza a Moena di Fassa, dove sono radunati gli atleti poliziotti di tutti gli sport invernali. Siamo un bel gruppo.
Cos’ha imparato, indossando la divisa?
Senza dubbio mi ha aiutato a essere forte da un punto di vista umano. E ripensando al corso che ho fatto due anni fa, ho imparato il senso dell’ordine, della disciplina, della pulizia, delle precisione: tutti elementi fondamentali da trasferire non solamente nello sport, ma nella vita di tutti i giorni. È stata una scuola importantissima.
È stato lei a cercare la polizia o viceversa?
Sono stato io, ho fatto tutto da solo. Ero e sono studente universitario, ma due anni fa ho rinunciato ai rinvii per il servizio di leva, ho fatto domanda, mi hanno fatto la visita, il test e sono stato preso. Nessuno mi ha regalato niente, ed è giusto così. Ma una volta arruolato, mi hanno accolto a braccia aperte. Sono contento della scelta che ho fatto.
Ha mai pensato di fare il poliziotto anche da grande?
Ancora no. Ma è una porta aperta. Per adesso, voglio fare l’atleta. Ho ancora un’Olimpiade davanti, forse due.
Fra l’altro, la squadra d’oro di Torino 2006 era, appunto, molto dorata, vero?
Verissimo. Oltre a me, appartengono alle Fiamme oro anche Stefano Donagrandi, che ha vinto con noi la medaglia nell’inseguimento a squadre, Eranno Ioriatti, che gareggia nelle gare veloci, e Giorgio Baroni, uno dei nostri due coach. Siamo un bel gruppo, non c’è che dire.
Consiglierebbe ad altri atleti di imitare la sua scelta?
Certo, è un suggerimento che darei. La polizia mi ha accolto quando ancora non ero nessuno e mi ha permesso di diventare quello che sono diventato, quindi ciò che è successo a me può capitare anche ad altri. Anzi l’esistenza di gruppi come quello delle Fiamme oro è assolutamente indispensabile per la sopravvivenza di certe specialità, come la mia.
Quanti complimenti ha ricevuto in questi giorni?
Beh, tantissimi. In un certo senso sono assediato. Anche se il messaggio più curioso me l’ha spedito un mio compagno di università: Enrico, ti ho visto in televisione e mi sei venuto in mente, puoi mandarmi gli appunti di economia?
Il più serio invece?
Senza dubbio le congratulazioni nel ministro Pisanu e quelle del capo della Polizia De Gennaro, che ho incontrato dopo la medaglia di bronzo dei 5.000. Ma mi ha fatto piacere risentire anche parecchi miei compagni di corso.
Cambierà la sua vita?
Ero venuto a Torino perché cambiasse. Sono cinque anni che penso a questi Giochi, e che lavoro per questo. In mezzo ci sono stati Mondiali, Europei e Coppe del Mondo, ma erano soltanto fasi di passaggio verso l’obiettivo finale. Volevo questo e l’ho ottenuto, lo volevo per me, per i sacrifici che ho fatto, ma anche per il mio piccolo sport, che in Italia non conosce e non considera nessuno. Però non farò fatica a restare il ragazzo semplice che sono sempre stato.
Preferisce il rumore di adesso o il silenzio di sempre?
L’Olimpiade mi ha un po’ sballottato, e non è che tutta questa popolarità mi sia dispiaciuta. Ma sento il desiderio di tornare nei miei boschi e di ritrovarmi con me stesso, per capire bene quello che è successo. Aspetto il disgelo per salire su qualche costone e godermi il panorama del mio altopiano. Ho bisogno di un po’ di solitudine.
In cosa crede, Enrico Fabris?
Nei valori che mi sono stati insegnati dalla mia famiglia. Devo un grande ringraziamento ai miei genitori, perché mi hanno educato senza forzature. Hanno fatto in modo che fossi io ad andare a cercare i valori che mi avevano trasmesso, non che li subissi come un’imposizione.
Ma lei ce l’ha un vizio?
Forse sono un pò troppo maniaco degli allenamenti, quando penso al pattinaggio trascuro tutti, anche gli amici, anche gli affetti. E forse sono un pò troppo meticoloso, esagero con il perfezionismo.
E un difetto?
Sono timido.
Non sembra.
Forse solo perché in questo periodo sono molto felice.
Ha cantato l’inno dall’inizio alla fine.
Avevo fatto le prove con i miei compagni.
In versione hard rock, visto che lei suona la chitarra elettrica insieme agli altri azzurri?
No, sarebbe stato blasfemo. Scherzi a parte: le serate alla Medals Plaza sono state emozionanti. Quando ci sono stato la prima volta, per la medaglia di bronzo, mi ero detto che sarebbe stato bello tornarci con i miei compagni, perché avrei voluto che anche loro capissero cosa si provava in quei momenti. E quando è successo è stato meraviglioso: vincere in gruppo è una sensazione speciale, perché sai che loro sanno e ci si scopre ad avere lo stesso tumulto nel cuore.
E la medaglia d’oro individuale?
Beh, quella è stata il massimo. Perché è solo tua, perché in quel momento ti senti in cima al mondo.
Si rende conto di essere entrato nella storia dello sport?
Sì, ed è una sensazione bellissima. D’altronde, i record sono fatti per essere battuti, qualcuno batterà anche il mio.
Ha mai avuto momenti di sconforto, in questi anni. Ha mai pensato di mollare tutto?
Di crisi ne ho passate anch’io, soprattutto quando le gare erano lontane e sembrava tutto impossibile, perché l’allenamento mi sfiancava. Quando sei stanco è facile diventare nervoso, avere uno scatto d’ira, litigare con i compagni, pensare di mandare tutto al diavolo. Ma siamo un gruppo molto unito, e questo mi ha aiutato.
Perché la gente dovrebbe venire a vedere il pattinaggio?
Perché è come una danza, perché c’è armonia, eleganza. È un bel gesto tecnico.
Mai sentito parlare di doping?
Non nel nostro sport. Prima di tutto, perché abbiamo talmente pochi soldi che non ce lo potremmo permettere. E poi perché puoi mettere la benzina più brillante nel tuo motore, ma se non sai stare sui pattini neanche ti muovi, sul ghiaccio.
Ha un sogno, adesso?
La laurea.
E tutti i soldi che ha guadagnato?
Mi farò una bella vacanza. Magari due.
Adesso che è famoso, si candiderà per un reality show?
Preferisco guadagnare facendo il mio dovere, quelle sono tentazioni pericolose.
Esprima un desiderio.
Vorrei che qualche ragazzino, dopo avermi visto in televisione, decidesse di venire a pattinare. Si divertirebbe.
*Redattore de “La Repubblica”
Strumenti top per volare sul ghiaccio
Un atleta d’eccezione non potrebbe mai dare il meglio di sé su un paio di pattini comprati ai grandi magazzini. Ecco perché scarpe e lame su cui sfrecciano i campioni sono oggetti senza prezzo, sofisticate calzature studiate al dettaglio per chi le dovrà indossare. Si chiama “imbarcatura” l’operazione di adattamento della lama al peso corporeo del singolo atleta che dovrà sfruttarla sul ghiaccio.
Un’equazione cui segue l’affilatura. Per costruire la scarpa s’infila il piede dello sportivo in una sorta di bacinella; qui una plastica liquida ne rileva la forma senza tralasciare nemmeno un dettaglio (vene, unghie, imperfezioni) per poi arrivare a realizzare un calco. Questo dev’essere perfetto, perché il pattinatore di velocità non indossa mai calzini.
L’utilizzo di materiali di altissimo livello non è essenziale solo per quanto riguarda i pattini su cui volano gli sportivi. Anche il ghiaccio su cui sfrecciano gli atleti, che alle olimpiadi di Torino è quello dell’Oval del Lingotto, gioca un ruolo fondamentale: la sua composizione chimica è tarata al dettaglio, calibrata a perfezione la presenza di sali minerali.
Il pattinaggio di velocità
Due pattini ai piedi, un anello di ghiaccio dalla circonferenza di 400 metri, la forza dell’uomo. Sono solo tre gli elementi su cui si basa il pattinaggio di velocità, disciplina olimpica dal 1924. Uno sport in cui l’atleta riesce a lanciarsi ad altissime velocità su una superficie piatta senza l’ausilio di alcun mezzo meccanico e nel quale i campioni olimpici possono perfino superare i 60 km orari. La posizione che mantiene lo sportivo è aerodinamica e rannicchiata; una postura che consente di raggiungere subito andature rapide e di scattare nelle curve. Per muoversi ancora più speditamente nelle gare su lunga distanza si possono appoggiare le braccia sulla schiena; espediente utile a risparmiare energia quando i metri da percorrere sono tanti. La lunghezza del percorso può essere di 500, 1.000, 1.500, 3.000, 5.000 o 10 mila metri. Si gareggia a coppie (i due pattinano in senso antiorario intorno alla pista, cambiando corsia nella zona di cambio una volta per giro in modo da coprire la stessa distanza) e vince chi ottiene il miglior tempo, cronometrato ovviamente al centesimo di secondo. È ammessa una sola falsa partenza per coppia: chi sbaglia la seconda volta è fuori.
01/03/2006