Toni Capuozzo

Mio padre, un poliziotto

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Mio padre,  un poliziotto

Per me, inevitabilmente, il poliziotto avrà sempre una sola faccia, o meglio ancora una sola sagoma, corpulenta, rassicurante, familiare. È un’immagine che a tratti è nitida come una fotografia, e a volte sfocata, come un ricordo lontano. Non mi viene da nessun poliziotto cinematografico, da nessun commissario da fiction televisiva, e da nessuna letteratura investigativa. È il ricordo di mio padre, poliziotto. È il ricordo di un uomo scomparso da tempo, con cui intrattengo il dialogo solitario dei figli cresciuti e invecchiati, padri a loro volta, che si trovano, troppo tardi, a riconoscere di aver avuto torto, tanti anni fa, di non aver capito, allora, quello che poi il tempo ha impietosamente insegnato: avevi ragione tu, ma è andata così, e forse non poteva essere altrimenti. Non so quando capii davvero che mio padre era un poliziotto, e del resto non l’ho mai visto in divisa, in vita mia. Non che se ne vergognasse, o non potesse portarla, o non volesse, ma era un poliziotto in borghese, che per lui era un modo di esserlo sempre, anche fuori dal lavoro, come se la divisa fosse tatuata sotto gli abiti che gli stringevano un po’ i fianchi, e le camicie che gli serravano il collo. Una volta, in soffitta, trovai un baule con le sue cose d’ordinanza: divisa, cappello, una sacca, qualche distintivo di riserva. ...


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01/03/2006