Umberto Galimberti

denaro

CONDIVIDI
Il denaro fu introdotto per facilitare gli scambi. Con la sua introduzione non era più necessario portare al mercato cinque capretti per avere un vitello, era sufficiente portare l’equivalente in denaro, la “ratio” corrispondente, come dicevano i latini quando regolavano gli scambi con il “raddae rationem”. Chissà se la parola “ragione” viene da questo “calcolare” e “far di conto”? A sentire Heidegger, pare proprio di sì. Sarà per questo che oggi sappiamo solo calcolare l’utile, ma non abbiamo più alcuna competenza intorno al bello, al giusto, al buono, al vero, al santo.
Ma torniamo al denaro che i greci chiamavano “nomisma”, da “nomos” che vuol dire “legge”. Il denaro vale non per sé – scrive Aristotele – ma perché una legge sancisce che vale, quindi non è un valore “reale” ma solamente “legale”. E pertanto col denaro non ci si può arricchire, non si può fare altro denaro, perché il denaro non è un bene, ma solo il “simbolo” di un bene.
Niente finanza dunque nel mondo antico, e neppure nel med ...


Consultazione dell'intero articolo riservata agli abbonati

01/02/2006