David Sassòli

Una lezione particolare

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I due poliziotti hanno trasmesso ai bambini di quella classe elementare qualcosa di importante: le difficoltà esistono e si possono superare a patto che ciascuno si assuma una parte, grande o piccola, di responsabilità

Una lezione  particolare

"Papà, oggi a scuola è venuta la polizia”. Un attimo di stupore, e poi la domanda di rito: “È successo qualcosa?”. E il bambino, V elementare, compreso nel suo ruolo di cronista di una giornata particolare: “Ma no, che hai capito? Sono venuti a scuola a parlarci del quartiere, del loro lavoro… e anche dei pericoli della droga”. Porca miseria, la droga. Solo la parola mette paura, specie se associata ai bambini. “E cosa vi hanno raccontato?”, ho chiesto incuriosito e un po’ piccato per essere stato scavalcato nel mio ruolo di esperto della vita. “Ci hanno detto che nel nostro quartiere ci sono tanti spacciatori… tu lo sai chi sono gli spacciatori, no?”. Continuando, quasi per rassicurarmi: “Hanno detto anche che tanti ragazzi la usano e poi si sentono male… perché la droga fa male, sai?!”.
Droga uguale pericolo. La questione è entrata così in casa mia. Ed è entrata nel modo giusto. Anche perché poco tempo dopo ho avuto modo di parlarne con le insegnanti e il quadretto si è fatto più nitido e preoccupante. Inaspettato, anche. Lo spaccio di stupefacenti è molto diffuso e l’età di assunzione delle sostanze si è abbassata notevolmente negli ultimi anni. Lo dicono anche le statistiche che inondano le nostre redazioni, anche se spesso facciamo fatica ad associare ai numeri le facce dei nostri ragazzi. I giovani – ci dicono le analisi più attente – sottovalutano i rischi e considerano le sostanze stupefacenti accettabili e sperimentabili. Per questo sappiamo quanto sia facile, specie nelle grandi città, venire a contatto con la droga.
Ma la cronaca non finisce qui, anche perché le domande incalzavano il bambino: “Ci hanno raccontato anche di una poliziotta in borghese che ha fatto arrestare uno spacciatore… pensa, ha fatto finta di prendere la droga e poi lo ha arrestato”.
Seconda lezione: il pericolo deve essere affrontato. Su questo sappiamo che le contraddizioni non mancano. Ma il senso della giustizia si sviluppa rispetto alle esperienze. È qui che il mondo degli adulti entra in scena. I due poliziotti hanno trasmesso ai bambini di quella classe elementare qualcosa di importante: le difficoltà esistono e si possono superare a patto che ciascuno si assuma una parte, grande o piccola, di responsabilità. E in certi casi, metta in conto di correre qualche rischio. Una lezione anche per i genitori o gli insegnanti che cercano di esorcizzare le questioni non parlandone per il timore di non trovare le parole giuste o di non saper rispondere alle inevitabili domande. Le parole, invece, sono a portata di mano e dobbiamo usarle in famiglia, nella scuola, in televisione, anche. Da quell’elettrodomestico arrivano molte informazioni sul mondo che ci circonda; messaggi che contribuiscono a costruire identità.
“L’idea di giustizia nasce dall’esperienza di una ingiustizia, subita da noi o da chi ci è caro”, scrive il cardinale Carlo Maria Martini. I racconti televisivi, ad esempio, ci fanno essere protagonisti – anche se passivi – e ci sollecitano a prendere posizione. Esattamente come hanno fatto i due poliziotti con i bambini di quella scuola. D’altronde, il mio senso della giustizia si è sviluppato – non solo, naturalmente – guardando, quando ero piccolo, Il conte di Montecristo, Maigret e La freccia nera. Anche adesso una buona fetta di pubblico che si ritrova a seguire le fiction che vedono protagoniste le forze dell’ordine è composto da giovani e giovanissimi. Certo, ci sono quelle scadenti e quelle di qualità. Ma i racconti sulla realtà impongono sempre allo spettatore di porsi il problema, e poi di schierarsi e scegliere. Questo per i bambini è un percorso di partecipazione, come quello di abituarli ad usare le parole e riempirle di significato. Gli adulti hanno spesso paura di linguaggi contemporanei. Uno spinello, invece, è uno spinello; uno spacciatore, uno spacciatore; una violenza, una violenza. Non di rado siamo reticenti per prudenza o per il timore di offendere e turbare. Ciò vale anche per le regole, e per come gli adulti le propongono.
“La legge è legge, che sia buona o cattiva”, dice il giudice Spencer Tracy nel film La costola di Adamo. “Se è cattiva bisogna cambiarla, non renderla ridicola”. Su questo il gioco diventa duro e cozza con il nostro individualismo, con la scarsa coscienza collettiva.
Tempo fa per lavoro andai ad intervistare il professor Giovanni Bollea, psichiatra infantile e intellettuale. Si lamentava delle famiglie italiane, e del loro modo astratto di proteggere i figli: “A tavola, all’ora di pranzo o di cena, bisogna parlare, discutere. Parlare anche di politica, dei fatti di cronaca, litigare, farsi vedere appassionati delle cose del mondo. Insomma prendere posizione. Con i bambini bisogna guardare il telegiornale e commentarlo”. Come dire: una sana educazione civica comincia a tavola. È lì che i ragazzi possono azzardare punti di vista, sviluppare opinioni a ruota libera, assumere cittadinanza, e capire che “anche se ci sentiamo assolti – come canta De Andrè – siamo tutti coinvolti”.
La pigrizia o la sufficienza sono malattie di società stanche e in declino. È affascinante l’immagine della sala da pranzo come luogo di libertà. Lo stesso vale per una scuola in cui entrano e si mostrano esperienze di vita.
Ho ripensato spesso a quella singolare lezione che vedeva in cattedra i due funzionari, e alla reazione dei bambini tornati a casa con lo zainetto della polizia. A differenza di tanti discorsi che si fanno sulla responsabilità della famiglia, della scuola e delle istituzioni, quello è stato un modo concreto di far crescere i nostri ragazzi. E di responsabilizzarli, anche. Allora una domanda che vuole essere anche una proposta: se il maestro Manzi ha insegnato a leggere e scrivere a molti italiani, perché non proporre spazi televisivi sulla legalità? Potrebbe essere un modo per raccontare il nostro tempo e aiutare i ragazzi a capirlo.
I bambini, si sa, crescono quando sanno muoversi in un quartiere, in una città… quando viaggeranno e sapranno scegliere saranno adulti.   
01/02/2006