a cura di Maria Grazia Giommi

In nome della Legge

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[ Corte costituzionale ]

Processi alle alte cariche dello Stato
La corte costituzionale dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, commi 2, 3, 4, 5 e 6, e dell’art. 7 della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 112 della Costituzione.
in fatto (omissis)
in diritto

1. – La Corte di cassazione dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 112 della Costituzione, dell’art. 6, commi 2, 3, 4, 5 e 6, e dell’art. 7 della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato).
Il primo dei due articoli oggetto di impugnativa disciplina le intercettazioni, effettuate in qualsiasi forma nel corso di procedimenti riguardanti terzi, di conversazioni o comunicazioni “alle quali hanno preso parte membri del Parlamento”: intercettazioni usualmente qualificate come “indirette” o “casuali”, in quanto si presuppone che la captazione avvenga nella cornice di un’attività investigativa che non ha ab origine come destinatario il parlamentare. La norma prevede, in specie – nella parte denunciata – che il giudice per le indagini preliminari, qualora, su istanza di una parte processuale e sentite le altre parti, ritenga necessario utilizzare le intercettazioni in parola (ovvero i tabulati di comunicazioni acquisiti nel corso dei medesimi procedimenti: ipotesi peraltro non rilevante nel giudizio a quo), debba richiedere, nei dieci giorni successivi alla relativa decisione, l’autorizzazione della Camera alla quale il membro del Parlamento appartiene (o apparteneva al momento in cui le conversazioni o comunicazioni sono state intercettate). In caso di diniego dell’autorizzazione, la documentazione delle intercettazioni deve essere distrutta immediatamente, e comunque non oltre i dieci giorni dalla comunicazione del diniego; inoltre, tutti i verbali e le registrazioni di comunicazioni acquisiti in violazione del disposto dello stesso art. 6 devono essere dichiarati inutilizzabili dal giudice, in ogni stato e grado del processo. (omissis)
Non potendo trovare, dunque, una base di legittimazione nel citato art. 68, terzo comma, Costituzione, l’estensione della garanzia alle intercettazioni “indirette”, operata dalla norma denunciata, verrebbe a porsi irrimediabilmente in contrasto con una pluralità di parametri costituzionali.
Risulterebbe compromesso, anzitutto, l’art. 3 Costituzione, essendosi introdotte con legge ordinaria deroghe ad un principio fondante dello Stato di diritto – quello di parità di trattamento dei cittadini rispetto alla giurisdizione – che implicherebbero la sua subordinazione ad un interesse di minor rango, quale la riservatezza del parlamentare: operazione che solo una norma costituzionale avrebbe potuto viceversa compiere.
Il principio di uguaglianza sarebbe leso, peraltro, anche sotto un diverso profilo. Prevedendo

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01/01/2006