di Giovanni Adamo* e Valeria Della Valle**

La fabbrica delle parole

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Nati da personaggi o tendenze del momento, i neologismi invadono giornali e lingua parlata. Ma molti hanno vita breve

La fabbrica delle parole

Subito dopo gli attentati di Londra, la cantante Rettore lanciava dal palco di un suo concerto  un appello accorato: “Dobbiamo fare fronte comune, prenderci per mano. Dobbiamo smettere di vivere in questo stato di anestesia, perché questi ci stanno... tritolando”. Tritolando è il gerundio di un verbo nuovo, derivato dal nome comune tritòlo, con il significato di “maciullare, annientare con ordigni esplosivi” e viene a coincidere con la forma di uso poco comune del verbo tritolare, che vuol dire “ridurre in trìtoli, in bricioli, sminuzzare”. Questo è solo uno dei tanti esempi di formazione di nuove parole che trovano soprattutto nei giornali il principale strumento di diffusione; spesso dovute all’estro e all’inventiva di giornalisti e commentatori, altre volte nate da fenomeni o tendenze che spingono il lessico della lingua a un continuo rinnovamento. La nascita e la vita dei neologismi (parole di creazione recente), non seguono una legge particolare: si tratta spesso di forme legate a fatti o personaggi tendenti a scomparire dalla memoria collettiva e a non lasciare una traccia durevole nel patrimonio lessicale di una lingua. Altre volte le nuove parole rispondono all’esigenza di denominar

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01/11/2005