di Annalisa Bucchieri

Giallo sangue

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Sulla scena del crimine la traccia ematica è uno dei reperti più importanti ricercati dagli esperti della Scientifica. Cosa può rivelare agli investigatori e come va interpretata

Giallo sangue

Basta una goccia di sangue a smuovere un caso impantanato da anni di brancolamenti investigativi. Lo ha dimostrato il recente ritrovamento di una macchia rossa non registrata dal primo sopralluogo sulla scena dell’omicidio di Simonetta Cesaroni, avvenuto a Roma nel 1990. Anche a distanza di tanto tempo le tracce ematiche possono dare informazioni fondamentali grazie alle odierne sofisticate tecniche di analisi di cui non si disponeva all’epoca del delitto. Mentre allora da un campione di sangue si poteva desumere solo il sesso, il gruppo e la compatibilità del possessore, con gli attuali kit applicativi in dotazione dal ’94 è possibile determinarne il Dna, marchio individuale infallibile, capace quindi di far ripartire le indagini in retromarcia.
L’analisi di laboratorio è il passepartout per risolvere i gialli del passato, quelli che gli anglosassoni chiamano i cold cases? Non è così semplice come sembrerebbe. In Italia la banca dati dei sopralluoghi è un’istituzione recente. Dei casi irrisolti di un passato molto remoto le forze dell’ordine non posseggono i campioni su cui poter effettuare il test del dna. D’altronde anche per le vicende criminose più recenti potrebbero non esserci più frammenti di prova da interrogare in base alle nuove conoscenze: spesso, infatti, la prima analisi è invasiva e distrugge la traccia.
L’applicazione per così dire retroattiva del profilo del Dna entra in gioco solo quando si ritorna a distanza di anni sul luogo del delitto e si rilevano segni ematici che alla prima ispezione sono sfuggiti. E qui un pizzico di fortuna aiuta: alcune tracce pur rimanendo di color rosso, quindi non avendo perso il ferro, possono essere state attaccate da batteri, muffe o deteriorate da agenti atmosferici quali l’um

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01/12/2005