di Neno Giovannelli

La trama dei sogni

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Misteriosi e indecifrabili da sempre sono oggetto di studi e ricerche. Il nostro esperto ci svela come elaborare i ricordi traumatici secondo un nuovo approccio interdisciplinare

La trama dei sogni

Un giovane nudo e alato capace di addormentare magicamente tutte le creature che popolano la terra. Così gli antichi greci immaginavano Ipno, incarnazione del sonno e padre del Dio dei sogni Morfeo. Un’immagine che stride, a oltre cinquant’anni di distanza dalla scoperta della fase Rem (Rapid eye movements), con la complessità scientifica che oggi caratterizza gli studi sui processi onirici. Le ricerche che esplorano i meandri dei sogni sono infatti sempre più approfondite, sofisticate. Gli studiosi, prima poco disponibili a un approccio interdisciplinare, mischiano ora psicoanalisi, neuroscienze, biologia. Obiettivo: spiegare dove vaga la mente mentre il corpo dorme. E perché spesso al risveglio non si riesca a ricordare ciò che è accaduto durante quel “viaggio” nel sonno. Per anni le dinamiche del riposo sono state terreno esclusivo della fisiologia mentre le visioni oniriche notturne hanno interessato unicamente psicologi e analisti. La scoperta della fase Rem del ’53 segna però una rivoluzione: i movimenti oculari rilevati durante alcuni particolari momenti del sonno umano hanno evidenziato l’esistenza di fasi simili alla veglia ma incredibilmente vivaci nella produzione di sogni, e il fenomeno ha subito attratto l’attenzione di specialisti di diverse branche. Nelle ricerche sul tema hanno incrociato le proprie competenze studiosi del cervello, professionisti dell’inconscio, esperti di biologia. Le loro analisi hanno permesso di far luce su elementi preziosi ma difficili da afferrare: le informazioni depositate nell’inconscio umano. “Il sonno ortodosso è quello che dura dai quaranta ai cento minuti e generalmente non è accompagnato da sogni – spiega Maria Pia Pagliuso, specialista del Centro di neurologia e psicologia medica della Polizia di Stato – Quello paradosso (o Rem) invece è legato a una forte presenza di rappresentazioni visive dinamiche, i suoi cicli durano in media dagli otto ai venti minuti e, quando sopraggiunge, la persona che dorme inizia a muovere gli occhi. È una fase particolarmente forte dal punto di vista emozionale: i sogni che facciamo nello stadio Rem ci mettono a contatto con le nostre sensazioni più profonde dandone un’interpretazione libera, fantasiosa”. Le caratteristiche di questa silenziosa forma di creatività cerebrale emergono chiaramente dagli studi dei padri delle ricerche sul sonno, Eugène Aserinsky e Nathaniel Kleitman. Il loro più celebre esperimento mostra che chi viene svegliato durante lo stadio paradosso in genere riferisce i propri sogni con grande partecipazione emotiva e attraverso racconti in cui spazio e tempo sono alterati. Se invece il risveglio avviene al di fuori della fase Rem si riportano storie più verosimili, meno creative, aderenti ai criteri logici della realtà. La causa, spiegano i neuroscienziati, è di tipo strutturale: i due momenti sollecitano zone diverse del cervello. A differenza degli altri stadi del sonno quello paradosso attiva infatti le zone dell’encefalo che si occupano di percepire le emozioni, inibisce i meccanismi che inducono la razionalità, fa lavorare le strutture che gestiscono il recupero della memoria. Ecco perché solo in questa fase si riescono a percepire sensazioni intense, ricordare dettagli, partecipare alle scene con passionalità.
Perché si apra lo scrigno dei ricordi e la mente costruisca la sua interpretazione devono verificarsi all’unisono diverse condizioni: la piena attività della corteccia cerebrale, l’impegno di quella associativa nel tradurre in simboli un’esperienza sensoriale passata, la capacità del cervello di riformulare nella mente una situazione simile alla veglia. E soprattutto uno stato di attenzione verso i ricordi, l’interiorità. Gli psicoanalisti ne sono certi: nella costruzione di un sogno la sfera affettiva personale è cruciale. Le esperienze legate alla sensorialità sono l’essenza stessa della produzione onirica perché è da questa ricca memoria implicita che parte la cosiddetta teatralizzazione, l’azione con cui la mente di chi dorme dà forma a contenuti attinti dall’inconscio. “Ognuno di noi richiama nel sonno le proprie personali esperienze percettive – continua Pagliuso – non a caso mentre dormono i ciechi non riproducono immagini visive, che non fanno parte del loro vissuto sensoriale, ma riportano alla mente odori o suoni. È una conferma del fatto che a guidare la trama dei sogni sono sempre solo impressioni, emozioni. Spesso talmente forti da essere cancellate del tutto al momento del risveglio: a volte al mattino censuriamo automaticamente le immagini e le sensazioni percepite nel sonno. Succede quando a livello razionale (a differenza di quello inconscio) non siamo ancora pronti a tollerare quell’impatto, a ricordare lucidamente ciò che abbiamo provato in un determinato evento”.
Non stupisce che le forze dell’ordine siano particolarmente soggette al meccanismo di rimozione: sono emozioni violente quelle che prova chi è impegnato in servizio nel luogo dove si è appena consumato un delitto, sono immagini forti quelle che s’imprimono nella mente di chi interviene a bloccare una carneficina. “Quando un poliziotto assistite a una scena cruenta, cosa che capita di frequente a chi fa questo mestiere, spesso si ritrova a sognare a distanza di tempo la sensazione provata in quella circostanza – conferma Pagliuso – Generalmente visualizza qualche particolare legato all’episodio e lo contestualizza in una situazione diversa, quasi mai riproduce fedelmente la scena vissuta. Al risveglio in ogni caso l’immagine scompare, così come tutti i sentimenti correlati”. Per aiutare gli agenti a recuperare i ricordi traumatici, lavoro che serve a elaborare razionalmente i fatti anziché subirne solo l’impatto emotivo, gli psicologi lavorano quasi sempre sulla catena associativa. Una tecnica con cui l’analista spinge gradualmente il paziente a collegare tra loro elementi e percezioni fino a quando l’immagine rimossa non riaffiora. “Il metodo consente di riportare a galla sensazioni e fatti permettendo agli agenti di analizzarli con lucidità, mai però attribuire alla ricostruzione completa affidabilità – precisa Pagliuso – Anche il quadro all’apparenza più verosimile e razionale può essere condito da una dose di fantasia, modificato nell’esposizione da elementi legati alla personalità. Impossibile insomma servirsi di un sogno come prova della dinamica di un fatto, azzardato considerarlo come un indizio attendibile di qualcosa di pratico che si è verificato”. Più cauto limitarsi (e non è poco) a leggerci desideri, paure, fantasie. Definirlo tempesta di sensi, storia emozionale, miscuglio di pensieri, sensazioni, creatività.
01/12/2005