di Giorgio Mulè*

Quando incontrai gli angeli blu

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Palermo. Era crollato un palazzo e io ero arrivato sul posto dopo mezz’ora ...andando via incrociai uno dei poliziotti che si erano dannati l’anima in quell’inferno di polvere. Non si era neppure cambiato. Era stanco. E si vedeva

Quando incontrai gli angeli blu

Successe di buon mattino. Saranno state le sei, forse le sei e mezza. Palermo si faceva coccolare da quella frescura che in tempo d’estate solo le prime ore del mattino ti possono regalare. Forse fu per questo che il trillo insistito del telefono non suscitò in me particolari reazioni.
Risposi e basta. Senza imprecare. L’umore si sarebbe guastato poco dopo.
Perché il sovrintendente Salvatore “Totò” S. provava uno strano piacere quando era cosciente di rovinare quei pochi momenti di tranquillità che la Palermo agitata di quegli anni riservava a un giovane cronista di “nera” in servizio permanente effettivo. Tra noi c’era un rapporto di complicità, di amicizia. Capita così, d’altronde, quando la vita è scandita dagli orari in cui gli equipaggi si danno il cambio e finisci per trascorrere più tempo con chi è di turno in Sala operativa piuttosto che con la fidanzata.
L’esordio fu da manuale, scontato direi: “Bello fare la nanna, eh, signorino”.
Il sovrintendente lavorava alla centrale operativa, turno 0-7 quella volta. In breve stava per smontare. E questo aggiungeva piacere al piacere. Fu di poche parole, come al solito: “Guarda che è crollato un palazzo. Sbrigati”. 
Dopo mezz’ora ero lì.
Polvere. Urla di donne si mischiavano a quelle delle ambulanze. Qualcuno scappava, altri piangevano. Polvere, polvere, polvere. Da questo inferno ogni tanto usciva una sagoma di uomo che sembrava la sua proiezione da vecchio, tanto i calcinacci e chissà cos’altro lo avevano camuffato e cambiato facendolo apparire molto più avanti con l’età. Sembrava di stare sul set di un film, effetti speciali inclusi: il palazzo sbriciolato, le sirene che lampeggiavano, una gran confusione. Non c’è che dire, gli ingredienti c’erano tutti. Il problema è che quella era la realtà.
Conobbi una polizia diversa, molto diversa quel mattino. Nel senso che gli agenti delle volanti non erano più quelli impettiti che scortavano i delinquenti in carcere dopo una conferenza stampa, né gli altri che la contingenza in alcuni casi obbligava a ricorrere a modi spicci.
Vidi molti angeli in divisa blu quella mattina. Lo dico senza il rischio di cadere nella celebrazione proprio perché io vidi.
Vidi uomini chini sulle macerie a scavare con le mani, a dannarsi perché un ostacolo gli impediva di andare in profondità dove qualcuno supplicava aiuto. Li vidi aiutarsi l’un con l’altro, incoraggiarsi a vicenda. Li vidi mischiati ai vigili del fuoco e ai carabinieri nell’improvvisare una catena umana per sgombrare i detriti nel tentativo di dare soccorso a chi era rimasto lì sotto. Vidi una agente donna vicino a una signora anziana darle conforto, accarezzarle i capelli e rassicurarla che suo marito sarebbe venuto fuori da quel groviglio di mattoni e ogni genere di masserizie.
Sì, era decisamente una polizia diversa. Premurosa, umana, altruista. Sono certo che il loro vero volto, la loro vera anima fosse quella. E che la Palermo bella e tragica di quegli anni li facesse apparire sotto una luce che non gli apparteneva. Intendiamoci, anche per fugare i dubbi. Non era, quella, una città dannata dove si viveva come in uno di quei kolossal ambientati nella Chicago degli anni Trenta. Era una città che viveva un momento difficile, complicato. Con tutte le ovvie conseguenze. Tutto qui.
L’emergenza nella zona del crollo durò per almeno due ore. In ospedale ci avrebbero detto che soltanto grazie alla rapidità dei soccorsi, a quello straordinario sforzo, molti erano riusciti a salvarsi.
Era oramai mezzogiorno. Dal luogo dove era crollato il palazzo ci eravamo spostati in ospedale, appunto. C’erano da raccogliere le testimonianze di chi era rimasto lì sotto, dei loro parenti. C’era una gran ressa. Molti erano commossi, tutti erano felici. Feci il mio lavoro senza particolari difficoltà. Quando le cose vanno bene, si sa, c’è sempre voglia di raccontare e di aprirsi anche per esorcizzare quanto di brutto è stato appena vissuto. Stavo andando via quando incrociai uno dei poliziotti che si erano dannati l’anima in quell’inferno di polvere. Non si era neppure cambiato. Era stanco. Di più, sfinito. Si vedeva, né lui faceva nulla per nasconderlo. Avrebbe dovuto smontare più di sei ore prima dopo aver trascorso una notte in strada con la “volante”. Eppure era lì. Voleva saperne di più sulle condizioni di una delle persone salvate. I medici gli dissero che non c’era da preoccuparsi. Non disse nulla. Appena fuori dall’ospedale scosse la divisa con le mani. Ovviamente tirò via un po’ di polvere. Ho sempre pensato che non fu un gesto casuale. Era fiero di sé. E ne aveva tutte le ragioni.  Questa storia potrebbe finire qui. E invece no. 
Anche i “ragazzi” della Mobile mostrarono il loro valore. Il che, a essere sinceri, era abbastanza usuale in quel periodo dove l’acume investigativo era abbastanza sollecitato giorno per giorno. In breve, prima ancora di avere la certezza dagli accertamenti dei vigili del fuoco scoprirono che il crollo non era da collegarsi a cause accidentali. Si era trattato del gesto insano di una donna che facendo esplodere il palazzo intendeva vendicare alcuni presunti torti, a suo dire, subiti da alcuni vicini. Una vicenda in cui la schizofrenia aveva un ruolo centrale.
Altre volte, dopo quella mattina, ho avuto modo di guardare la polizia provando le stesse, intense emozioni. Non si è trattato sempre di situazioni in cui i soggetti principali erano coraggio e umanità.
L’eroismo, proprio così, è stato il carattere distintivo della loro esperienza. Non si è trattato di storie a lieto fine da poter raccontare come questa. Penso, ovviamente, a chi non c’è più, ad alcuni amici che non ci sono più. A chi ha dato la sua vita, tutta la sua vita per la Polizia.
Credetemi, sono storie ugualmente bellissime. Storie di amicizia, di straordinaria amicizia e di uomini straordinari il cui ricordo mi accompagna ogni giorno della mia vita. Anche e soprattutto adesso che la notte Salvatore “Totò” S. non mi sveglia più. E, a pensarci bene, mi dispiace anche un po’.

*Direttore di Panorama

01/12/2005