Giulia Bertagnolio
Le regole della finzione
Impossibile non dire bugie. Ad affermarlo sono le statistiche. Recenti studi dimostrano in che modo è possibile smascherare qualsiasi inganno anche quello dei criminali più abili
C’è chi le sfrutta per compiacere gli amici, chi le usa per celare crimini, chi ogni giorno dispensa piccole menzogne solo per non avere grane. E sebbene la maggior parte dei bugiardi “buoni” neghi d’infrangere l’ottavo comandamento per tornaconto personale sciorinando il nobile intento di non ferire gli altri, i vantaggi della balla sono noti: celare al capoufficio che non gli dona la nuova acconciatura giova al quieto vivere molto più della cruda verità.
Antropologi e sociologi ne sono certi: l’abitudine a manipolare la realtà è caratteristica della nostra specie, mentire è parte essenziale della vita di relazione, mistificare e fingere rientrano tra le più spiccate competenze sociali umane. Tesi supportate a pieno dagli studi più recenti della biologia evolutiva: secondo gli esperti le precondizioni della tanto diffusa tendenza a truccare si ritrovano nelle strutture di gruppo che hanno accompagnato fin dalle origini la trasformazione della specie. Non è un caso, dicono, se gli scimpanzé (primati fortemente sociali) sfruttano ad arte la dissimulazione per contendersi ruoli gerarchici, cibo, partner sessuali.
“L’inganno è una componente talmente importante della nostra vita che comprendere a pieno i suoi meccanismi si rivela cruciale per lo studio dell’uomo” sottolinea Paul Ekman, pioniere delle ricerche sulla frottola e direttore dello Human International Laboratory di San Francisco. Nei suoi vent’anni d’indagine nel settore Ekman è arrivato a stabilire che dietro a ogni bugia, anche la più piccola, si cela una prestazione cognitiva di alta complessità. Sebbene infatti camuffare il vero con una balla plausibile sia un atto spesso compiuto con disinvoltura (le statistiche dimostrano che in media il 40% di ciò che quotidianamente asseriamo non rispecchia a pieno la realtà), chi mente fa uso ogni volta, senza accorgersene, di una raffinata prestazione dell’ingegno. A dimostrare lo sforzo dei neuroni è l’attivazione involontaria di due aree