Annapaola Palagi

Piccoli bulli crescono

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Indagine di Telefono Azzurro lancia l’allarme sulla violenza nelle scuole. Ma le contromisure si moltiplicano

Piccoli bulli crescono

Tredici anni e un ottimo rendimento scolastico. Due ragazzini si sono tolti la vita, a un mese di distanza l’uno dall’altro, vittime di pressioni psicologiche da parte di compagni di classe. Marco veniva discriminato e deriso perché figlio di madre cinese, Damiano per la sua altezza: a 13 anni superava il metro e novanta. I compagni di scuola li colpivano con battute e scherzi pesanti fino a fargli patire un disagio troppo grande per loro. Travolti da quella sassaiola hanno preso la decisione di farla finita. Casi estremi, casi limite, anch’essi tuttavia riconducibili al fenomeno del bullismo che oggi interessa e affligge – secondo una recente indagine condotta da Telefono Azzurro – il 35,4 % degli adolescenti.
Non solo violenze fisiche e dispetti di gruppo, ma anche vessazioni psicologiche, minacce e tanta paura che, per fortuna assai raramente, portano gli studenti a gesti irreversibili.
Dei 3.453 ragazzi intervistati uno su tre è coinvolto, o lo è stato, in episodi di bullismo. Il termine deriva dalla parola inglese “bullying” (“mobbing” nelle lingue scandinave) che identifica, secondo gli studiosi del fenomeno, “un’oppressione, psicologica o fisica, ripetuta e continuata nel tempo, commessa da una persona (o da un gruppo) più potente nei confronti di qualcuno percepito come più debole”.
Questa forma di prevaricazione crea disagio e sofferenza non solo in chi la subisce ma anche in chi la esercita. Le “violenze” si consumano per lo più tra i banchi di scuola: nei corridoi, nei bagni ma anche in classe, magari al cambio tra un insegnante e l’altro, e possono segnare profondamente la vita e l’autostima dei giovani in fase di crescita. A questa età infatti, dicono gli esperti, basta poco per far nascere nei ragazzi insicurezze e complessi di vario tipo che poi si porteranno dietro per molti anni.
Le forme di bullismo variano a seconda dell’età e degli ambienti e possono essere più o meno esplicite. Per questo si parla di bullismo “diretto”, più frequente tra i maschi, e caratterizzato da comportamenti aggressivi, fisici o verbali, facilmente visibili, e di bullismo “indiretto” meno facile da individuare perché giocato sul piano psichico tipicamente femminile.
Dalle ricerche e dagli studi condotti sul fenomeno risulta che le vittime preferite di questi atteggiamenti prepotenti sono i ragazzi di età compresa tra 7 e i 16 anni, che spesso non sono capiti o ascoltati dai genitori e dagli insegnanti e vivono in silenzio una condizione di forte disagio. Il risultato: non vogliono più andare a scuola, non parlano quasi mai degli amici e non li invitano a casa; sono spaventati e insicuri. Segnali troppo spesso sottovalutati di una sofferenza che gli adulti devono invece imparare a cogliere. Spesso infatti per paura o per vergogna, i giovani tendono a nascondere certi malesseri. Non sono loro i primi a parlare ed è compito degli adulti cercare di farli confidare senza, però, assumere atteggiamenti punitivi o colpevolizzanti. E proprio per “educare” genitori e insegnanti a capire i ragazzi e a trovare un dialogo con loro che in molte scuole si tengono lezioni o corsi sull’argomento. La scuola è, infatti, il luogo deputato alla crescita e alla formazione dei bambini e, insieme alla famiglia, è l’ambiente privilegiato per interventi di carattere preventivo.
“Ai ragazzi è necessario insegnare il rispetto e l’importanza delle regole per fargli capire che non sono una limitazione della libertà personale ma ci aiutano a vivere meglio”. A parlare è Rosaria Vivona, dirigente dell’Ufficio minori della questura di Massa che, insieme all’ispettore capo Stefano Conti, nel corso dell’anno scolastico appena concluso si è calata nel ruolo di docente. Ha spiegato a ragazzi e insegnanti delle scuole medie la pericolosità di questo fenomeno.
Il bullismo è una cosa diversa dalla semplice lite dicevano i poliziotti agli alunni e ha tre protagonisti: il bullo, la vittima e il gruppo. “I ragazzi non devono aver paura di denunciare i loro problemi, si devono fidare degli adulti. È l’unico modo per aiutare se stessi e anche i loro persecutori che non di rado vivono in ambienti familiari difficili e hanno bisogno di un supporto”. Un ruolo fondamentale riveste anche il gruppo degli spettatori. L’85 per cento degli episodi di bullismo avviene in presenza dei compagni che nella maggior parte dei casi rimangono silenziosi e inattivi. Proprio su di loro, dicono gli esperti, si può e si deve fare leva per ridurre la portata del fenomeno. Gli “osservatori” infatti non sono consapevoli del significato e del valore del loro atteggiamento: il loro silenzio in qualche modo legittima i comportamenti prepotenti giustificando anche il ripetersi di questi atti. Ma la responsabilità non è solo e tutta dei ragazzi.
“Ogni volta che accompagno un minorenne in un’aula di tribunale mi sento in qualche modo responsabile. Gli adulti di domani hanno bisogno degli adulti di oggi per poter crescere bene”, dice Filippo Cerulo, dirigente dell’Ufficio anticrimine della questura di La Spezia. Proprio in questa prospettiva e per dare sostegno alle persone che devono aiutare i giovani a formarsi, la questura, insieme al Provveditorato agli studi e all’associazione L’isola che non c’è, ha portato avanti un programma di prevenzione. Il dirigente dell’Ufficio anticrimine ha avuto una serie di incontri con il personale docente e i presidi delle scuole medie della zona per invitarli a essere più attenti a quello che succede intorno a loro. Alcuni poliziotti dell’Ufficio minori si sono poi incontrati con i ragazzi per spiegare loro che quando si parla di bullismo s’intendono comportamenti che hanno tre caratteristiche principali: l’intenzionalità, il bullo agisce cioè con lo scopo preciso di dominare, di creare danni o disagio; la persistenza nel tempo; e in fine la “non alternanza dei ruoli”: chi prevale è sempre lo stesso così come chi subisce.
L’ispettore Salvatore Occhipinti dopo aver parlato con i bambini in classe, anche con il supporto della psicologa Marika Raggi dell’associazione L’isola che non c’è, li ha esortati a non avere paura. “Gli ho spiegato che è importante che imparino a dire di no, a ribellarsi. Perché i bulli approfittano proprio del loro atteggiamento passivo e spaventato. Abbiamo anche fatto conoscere loro l’esistenza e l’attività dell’Ufficio minori – continua Occhipinti – lasciando i nostri numeri di telefono sia ai bambini che agli insegnanti”.
Il progetto sembra aver dato buoni frutti visto che, dopo aver parlato con i bambini, l’ispettore è uscito dalla classe lasciando il tempo per scrivere, in modo anonimo, su dei foglietti le loro curiosità: sono state raccolte un centinaio di domande. Alcune si ricollegavano agli esempi che i bambini hanno da videogiochi, cartoni e film, altre invece dimostravano che il fenomeno è sentito dai ragazzi ma che la paura di ritorsioni peggiori prevale sull’istinto di parlare: “e se mi dicono che se parlo è peggio per me?”; “Ma si può fare qualcosa anche solo se ti tirano addosso degli oggetti?”. Quesiti a cui la psicologa e i poliziotti insieme hanno cercato di rispondere nella speranza che questo lavoro di contatto e di presenza nelle scuole serva a far acquistare ai ragazzi un po’ più di fiducia nei grandi e nelle forze dell’ordine, e agli adulti la consapevolezza che “molto di quello che succede ai nostri figli dipende anche da noi”, conclude Filippo Cerulo. Tra le curiosità degli studenti ce ne sono alcune che lasciano anche un po’ spiazzati: “ma allora anche Batman e il suo amico Robin sono bulli?”; “Ma se ho un papà bullo divento bullo anche io?”.

Persecuzioni high-tech
L’odioso fenomeno del bullismo adolescenziale sembra aver abbandonato le vecchie strade (furti di merendine, atti di intimidazione e pesanti scherzi fuori e dentro le aule di scuola) per mettersi al passo con i tempi. I nuovi bulli preferiscono vessare i propri coetanei sfruttando le potenzialità di uno dei mezzi di comunicazione più amati e diffusi tra le nuove generazioni: il cellulare.
In particolare da una recente indagine condotta in Inghilterra dall’associazione The children’s charity è emerso che un ragazzo su cinque subisce minacce attraverso l’invio di sms o viene in qualche modo ridicolizzato attraverso la diffusione di immagini e foto, spesso scattate all’insaputa dell’interessato. Anche se molti non lo ritengono un problema grave, in realtà la persecuzione via cellulare è ancora più subdola e invadente di quella vecchio stampo. La vittima è consapevole di non avere scampo: può essere raggiunta dall’odioso messaggio in qualsiasi momento e soprattutto in qualsiasi luogo, anche all’interno della propria abitazione, da sempre tradizionale oasi di rifugio per tutti gli adolescenti presi di mira dai prepotenti di turno. Sebbene i bulli tecnologici usino quasi sempre la precauzione di utilizzare apparecchi appartenenti ad altri o di schermare il proprio numero per non essere individuati, le vittime conoscono quasi sempre i propri persecutori, anche se la maggior parte di esse evita di parlarne in famiglia per timore che i genitori possano sequestrare il prezioso oggetto. In altri casi i ragazzi sopportano in silenzio le pesanti angherie semplicemente perché non sanno a chi potersi rivolgere. Proprio per questo motivo è stato da poco lanciato il sito www.stoptextbully.com allo scopo di incoraggiare anche i ragazzi più timidi e impauriti a denunciare le aggressioni tecnologiche di qualche molto poco amichevole compagno di scuola.

Angelo Lari

01/08/2005