Umberto Galimberti

“democrazia”

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“democrazia”

ci sono parole potenti che, quando vengono sacralizzate, non lasciano più scorgere la loro vera natura, che non è quella di abitare il cielo, ma questa nostra terra esausta dove gli uomini non cessano di confliggere. Una di queste parole è “democrazia”, che gli occidentali hanno assunto come cifra della loro cultura e l’hanno a tal punto enfatizzata da renderla quasi irriconoscibile.
La democrazia non è un mito, ma come scriveva Carlo Donolo una decina d’anni fa in un suo libro Il sogno del buon governo. Apologia del regime democratico: “La democrazia è come un vecchio autobus che tutti possono prendere per andare da qualche parte, magari senza pagare il biglietto. È poco esigente, lascia fare, si lascia maltrattare. È un regime che sopporta pazientemente violazioni, degrado, cattiverie, scortesie, volgarità. Infatti non pretende di mutare la natura umana, si adatta a convivere persino con princìpi e impulsi antidemocratici. In questo senso è tollerante e in ogni sua forma ospitale”.

Siccome non vuole santi, profeti, eroi, capi, ma preferisce misurarsi sulla mediocrità, la democrazia è stata deprezzata se non derisa da pensatori quali Nietzsche, Sorel, Lenin, e, anche se meglio compresa, è stata guardata con scetticismo da Tocqueville e Weber, in quanto regime del basso contro l’alto che fa dell’imperfezione la sua condizione normale.
Coniugatasi nel corso del tempo con la società di massa, la democrazia è diventata un’abitudine. Ma proprio questa assuefazione fa sì che certe libertà siano date per scontate e ciascuno possa programmare la sua vita senza doversi far carico della libertà degli altri.
Questo non farsi carico avvilisce la democrazia e promuove in suo nome ogni sorta di volgarità, riduce l’esigenza di selezionare con cura il personale che la rappresenta, tollera che nei media non gli argomenti ma i personaggi distribuiscano la ragione e il torto, rinuncia a interdire prevaricatori, arraffatori, insolenti e furbi. Tollera pratiche sociali intrise da prevaricazioni e vessazioni, eccessi di ricchezza privata che fanno a pugni con le miserie pubbliche, subisce incapacità gestionali, cattiva manutenzione, poco decoro negli ambienti pubblici, scarsa cura e mancanza di estetica nelle istituzioni, corruzione oltre ogni tollerabile misura.

Questo fa sì che la democrazia, se non è ancora a rischio, certo subisce quella sottile trasformazione per cui, da luogo dove si confrontano anche in modo conflittuale gli interessi contrapposti degli individui che vi partecipano, diventa cornice decorativa dove agiscono puri e semplici rapporti di potere e di interesse di parte, quasi che tutti preferiscano essere truffati con destrezza che prendere posizione e reagire a partire dalla propria dignità di cittadini chiamati a convivere.
Ora che siamo giunti al limite delle risorse politiche che hanno costruito la democrazia in Occidente è necessario un sogno collettivo che faccia evolvere le strutture sociali verso forme più avanzate, non in vista di un ideale che non è mai reale, ma liberando le virtualità presenti nella società concreta, che non è fatta da sonnambuli, ma da gente che desidera qualità di servizi, responsabilità politiche, correttezza nei rapporti, vivibilità nelle città.

Ogni sogno è diverso, ma molti sogni si assomigliano. Quando c’è consenso tra i sogni e tra i sognatori la democrazia evolve. È un sogno veder cadere la tracotanza e l’abuso di libertà? È un sogno riuscire a costruire un’idea non ideologica di democrazia, trovare i modi per arricchire la propria socializzazione come cittadini, disporre di un ventaglio abbastanza ampio di speranze, poter riconoscere, quando gli anni sono passati, che i sogni fatti da giovani non erano illusioni sconfitte?
Solo se i sogni di tutti hanno qualche probabilità di avverarsi, allora la democrazia costituisce ancora quel terreno non perfetto, ma dove la perfettibilità non è impossibile. Ma se la democrazia non fa più sognare, non ci libereremo dal sogno, solo avremo sostituito il sogno di tutti con il sogno di uno o di pochi, che sarà poi un incubo per tutti. E ognuno di noi lo sa. C’è sempre qualche notte che porta un incubo. Per questo dobbiamo vigilare. E qui non penso alla dittatura, ma alla trascuratezza e all’incuria con cui viviamo la nostra democrazia.
01/06/2005