Marianna Procino
La matematica, che giallo!
La capacità logica e deduttiva ha aiutato per secoli i narratori del crimine. E ora il legame letterario tra teoremi e delitti arriva all’università
"Messieurs e mesdames, l’assassino è…”. È questa la frase che spesso si trova negli ultimi capitoli dei libri scritti dall’indiscussa regina del giallo, Agatha Christie, che diligentemente fa seguire, nelle pagine finali, una dettagliatissima spiegazione del mistero. Proprio come un teorema matematico dove si enuncia l’assunto (ad esempio “l’assassino è il maggiordomo”) e si passa poi a darne dimostrazione particolareggiata e prova inconfutabile. Questa è solo una delle possibili somiglianze che si possono scoprire tra le pagine dei classici polizieschi e il mondo dei numeri. Tale rapporto, infatti, si rileva sorprendentemente esteso e radicato: si passa da Hercule Poirot della già citata Agatha Christie ad Auguste Dupin di Edgar Allan Poe, da Philo Vance il detective newyorchese raffinato e snob creato da S. S. Van Dine (pseudonimo dello scrittore Willard Huntington Wright) a Sherlock Holmes nato dalla penna di sir Arthur Conan Doyle, fino a Ellery Queen, l’investigatore di una serie infinita di racconti scritti a quattro mani da Frederic Dannay e Manfred B. Lee.A cogliere la presenza di calcoli, formule di probabilità e schemi logici nei polizieschi, in un dettagliato intervento sul trimestrale Lettera Matematica, edito dal centro di ricerche Pristem dell’università Bocconi di Milano, è stato Carlo Toffalori docente di matematica all’università di Camerino e appassionato, sin da ragazzo, di gialli classici. La sua “analisi” parte dai racconti di colui che è considerato il padre del racconto poliziesco: Edgar Allan Poe. Lo scrittore americano dedicò molte sue pagine a resoconti di crimini, misteri e relative indagini, individuando nella capacità deduttiva e analitica la principale dote della mente umana e indicando la matematica come importante aiuto nella risoluzione di un problema. Ed è così dunque che lo “studio dei numeri” fa da subito capolino nella storia del giallo. “Spesso nelle pagine di Poe si trovano riflessioni sulla importanza della matematica – spiega Toffalori – già a partire dalla descrizione che lo scrittore fa della figura dell’investigatore Auguste Dupin, precursore di un lungo elenco di detective che basano le loro indagini sul ragionamento logico”. Oppure nella numerosa presenza in quelle pagine di messaggi segreti e relativi trucchi di codifica e decodifica. Il rapporto tra crittografia e polizieschi si ritrova, in modo molto elementare, nei racconti di Sherlock Holmes, e più ampiamente sviluppato nel famoso giallo di Agatha Christie La serie infernale, dove il colpevole nasconde l’unico delitto e l’unica vittima che gli interessano veramente all’interno di una successione di assassini senza senso apparente, utilizzando una tecnica di codifica, ampiamente utilizzata ancora oggi, che consiste appunto nell’occultare il testo originale di un messaggio all’interno di altre lettere di nessun significato e scopo se non quello di confondere le acque.
Il richiamo al metodo matematico dunque è molto presente nei gialli classici, ma tirando le somme sembrerebbe che i “numeri” stiano spesso proprio dalla parte dei criminali. Nel più famoso racconto di Poe, La lettera rubata, il colpevole è un matematico; Sherlock Holmes, benché faccia del metodo deduttivo la base delle sue indagini, ha come avversario mortale, il perfido professor Moriarty: un matematico. è uno scienziato anche l’assassino de L’enigma dell’alfiere, di S. S. Van Dine, che collega i suoi delitti al gioco degli scacchi. “Forse perché in genere i matematici non suscitano simpatia” scherza Toffalori spesso il buon esito dell’indagine sembra dovuto più al caso che non all’abilità di ragionamento dell’investigatore”. Ma, per fortuna, nella storia della suspense d’autore ci sono anche situazioni in cui la matematica è amica più del detective che del suo antagonista. È il caso di Ellery Queen, l’investigatore matematico per eccellenza – sostiene il professore – che addirittura nel romanzo Mistero di Capo Spagna espone una fascinosa teoria sull’arte dell’investigazione, chiaramente collegata al metodo analitico”. Queen basa il suo metodo d’indagine considerando i personaggi del poliziesco non come esseri umani ma come simboli ed è proprio lui a specificare che si è sempre rifiutato di cogliere l’aspetto umano del problema, trattandolo solo come una questione matematica. Anche nel caso di Ellery Queen la caratteristica principale è la logica, il perfetto concatenamento di indizi e particolari verso una soluzione che, proprio come un problema algebrico, possa considerarsi inattaccabile sotto ogni aspetto. Questo tipo di ragionamento però allontana le storie raccontate dalla realtà. Una critica frequentemente mossa ai gialli classici è infatti di essere giochi mentali lontani dalla dimensione reale dove avvengono i fatti della vita quotidiana: i litigi, gli assassini, le indagini, i pedinamenti, eccetera. Inoltre esistono scuole moderne di composizione del poliziesco assai lontane dallo schema alla Ellery Queen, che rimproverano a quest’ultimo proprio l’impostazione troppo matematica e l’artificiosità degli intrecci e delle atmosfere astratte.
“Sono autori come Raymond Chandler (papà del famosissimo detective Philip Marlowe, ndr) e Dashiell Hammett – spiega ancora Toffalori – che propugnano l’importanza di una scrittura più corrispondente alla realtà, tesa a rappresentare i crimini come veramente avvengono nella vita. È evidente che all’interno di questa concezione del giallo, la matematica ha un ruolo irrilevante”. Come non è per niente scientifico il metodo d’indagine che utilizza un altro famosissimo investigatore: Maigret. Il commissario di Simenon infatti preferisce lasciarsi catturare dall’atmosfera dell’ambiente in cui è stato commesso il delitto, cercando di capire e captare motivazioni e caratteri dei personaggi indiziati entrando nel loro animo, e lasciando la logica dei ragionamenti a chi se ne occupa per mestiere. “Del resto anche i matematici – conclude Toffalori – sono in un certo senso investigatori volti a verità o problemi talora più astrusi di quelli dei poliziotti, ma spesso altrettanto intriganti e fascinosi”.
Il fascino dei numeri
Pubblicazioni; convegni; corsi di formazione e aggiornamento; organizzazione di competizioni internazionali. È questa l’attività del Pristem, Progetto ricerche storiche e metodologiche, del centro Eleusi dell’università Bocconi di Milano, nato per promuovere la cultura matematica. Aderiscono al centro professori provenienti da circa 12 università italiane e anche da alcuni licei. Quando il centro aprì, negli anni ’80, il panorama della divulgazione scientifica era molto difficile. Oggi le cose sembrano andare meglio e i numeri cominciano a interessare il mondo della comunicazione. Il film A beautiful mind sulla vita del matematico John Nash ne è un esempio. Informazioni che così arrivano più facilmente ai giovani, a cui il Pristem dedica gran parte dei suoi spazi. Per accrescere la passione per una materia da sempre considerata ostica, il Pristem organizza ogni anno una sorta di certamen, i Giochi d’autunno, dedicati agli studenti delle scuole medie superiori, e i Campionati internazionali di giochi matematici basati su esercizi di logica. La prima fase ha visto per questa edizione più di 20 mila partecipanti, tra questi circa duemila si sono sfidati alla selezione nazionale il 14 maggio a Milano, e solo i primi tre arriveranno ad agosto alla finale internazionale di Parigi. Per maggiori informazioni: http://matematica.uni-bocconi.it.
Emilia Chiodini
01/06/2005