Rossella Novella

Mani - storie di varia UMANItà

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Mani, mani grandi, piccole, callose, allergiche, delicate.... morbide.
Mani che lottano e resistono, mani che piangono, che ridono…
Mani contratte, mani avare, avide,
Mani che danno, che si sanno dare…
Mani bianche, nere, gialle, olivastre..
Mani eteree e amorevoli, mani vissute, secche e screpolate,
Mani non curate e non curanti…
Mani viscide, sfuggenti.  Mani.
Mani che parlano, si raccontano, mani che schivano,
Mani vive e mani morte, mani ricche di passato e povere di presente,
Mani indifese, agguerrite, mani giovani.
Mani inesperte  e mani antiche, che sembra abbiano vissuto molte vite.
Mani oneste, mani ladre, senza pietà né Dio, mani eroiche, dure, impavide.
Mani spaventate in innocente resa.
Mani in lotta, che provocano…
Mani impavide o terrorizzate.  Mani …

Rilevare le impronte fa incontrare molte mani e molte mani passano a giorni alterni, tra le mie mani. Per inchiostrarle esiste un’unica tecnica, con una miriade di varianti …  "umane".  Mi rendo conto che potrei mantenere le distanze, come si fa con i delinquenti, che a stento li afferri con due dita per il polso, mentre fai scorrere il rullo  sul palmo e i polpastrelli, quasi fosse possibile evidenziare con il lucido nero  i loro misfatti. Ma sotto troppi cieli e a troppi manigoldi vengono prese le impronte, per poter serenamente distinguere tra loro e quelli che di precedenti……non ne hanno, o non ancora.
Con gli stranieri in attesa di regolarizzazione, quelli della Bossi-Fini, invece … è un altro paio di mani ……
Con loro, per la maggior parte onesti lavoratori, succede che mentre tengo le loro mani nelle mie, mi scopro a percepire che tra le mie mani vibrano le loro resistenze, le difficoltà, l’allegria, le paure, le loro storie. Ed io mi trovo a distinguere tra la mano arresa e la mano di chi sente rancore misto a paura, che urla una domanda silente, impostando il gioco del "chi sei tu e chi sono io"… Peccato… -penso tra me e me- in fondo siamo solo due sponde dello stesso mare…
A volte mi sembra di sentire il timore che vibra in una mano troppo tesa per poter "concedere" le impronte a me, alla carta, allo Stato che li ospita, perché sento che i muscoli si tendono e si ritraggono, in un rattrappirsi timoroso, mentre il rullo scorre sui polpastrelli…... Eppure la mia mano vuole solo dare loro il benvenuto, perché comprendo la loro fretta dopo l’estenuante attesa allo sportello, conosco la lotta interiore e l’ansia per un permesso rubato a un datore di lavoro non sempre flessibile.

Albanesi, croati,  ucraini …… quelli dell’est hanno più difficoltà ad adattarsi e a fidarsi… Dipenderà dalla loro storia ? Che passato avranno lasciato alle loro spalle?
Chi viene dall’America latina invece sembra essere più sciolto, più solare, più morbido…anche e soprattutto nella morfologia delle loro mani.

Il senso dell’umorismo alleggerisce il peso di un obbligo. Per loro, per me …
Con una donna brasiliana ho parlato di questo mio sporcar le mani alla gente. Si, "io sporco le mani alla gente". E’ vero. E’ invasivo tutto sommato, ed i più riluttanti guardando con sospetto l’inchiostro sui loro palmi chiedono: "va via?" con la preoccupazione che possa rimanere il segno dell’onta non lavata….
"Si, va via" rispondo. E cerco di non lasciare in loro la mia di impronta, longa manus di un sistema, che scelgo di vivere nel rispetto di "altri" senza peccato.

Una ragazza albanese, mi guardava interessata e con tono mesto mi disse: "sai facevo anch’io il tuo mestiere"….
"Ma dai, sei una collega? Bellissimo, e che fai in Italia?",  "Cameriera ai piani, sai, si guadagna molto di più.". Come non capire il suo nostalgico rammarico per un paese, che come il suo, non onora le attitudini dell’individuo, o almeno, non le paga?

Continuo a passare con il rullo e ad inchiostrare i palmi, cerco di farlo con delicatezza, con garbo, adattando il gelido e roteante cilindro alle pieghe delle mani. Cerco di accompagnare le curve con attenzione e rispetto, per non invadere più di tanto "l’altro". Qualcuno più sensibile, dopo essere rimasto ad osservarmi -ed io sott’occhi mi accorgo che mi scruta-, recupera il coraggio e  mi domanda: "ti piace il tuo lavoro?" me lo chiede con un sorriso, che in estate, col caldo torrido e dopo svariate decine di stranieri è come un bicchiere di acqua fresca.  Impagabile.
Sì, mi piace questo lavoro, rispondo, e dall’altra parte con lo stesso sorriso "sembra quasi un massaggio di riflessologia palmare  …..Già, sembra.

Generalmente, con i delinquenti, prendere le impronte mette in moto meccanismi e dinamiche silenti, dove il piegare il polso ad una certa altezza, in un certo modo, con una certa incrinatura rispetto al piano di appoggio  è sfida e confronto. Il "mi spezzo ma non piego, anche se pensato negli uffici di polizia  torridi e con 40° all’ombra, con me in particolare, non ha molto seguito.
Tutto sembra avvenire da sé, secondo stereotipi antichi, in un testa a testa tra stato-sistema-polizia e l’individuo. Tutto sembra precostituito, quasi da copione, e le mani sentono il confronto con l’altro, che pur non reclamandosi  innocente  -nei casi di flagranza di reato-, come un animale in gabbia reagisce allo stato, nel rapporto con te che gli prendi le impronte.  Nel suo non collaborare sembra quasi di sentirlo mentre pensa : "allora tanto vale che fatichi per prendermi le impronte" ………ed io lì a fermare il suo polso con il gomito, giocando con le leve del corpo, di quelle che ti insegnano sul tatami al corso di addestramento, nell’ora di "difesa personale"…

Mi ero sempre chiesta quando le avrei mai praticate, una volta fuori dalla scuola, nella vita reale… Buffo scoprirlo ed adattare quelle tecniche sulle leve,  sul banco delle impronte, stretta in un camice che protegge dall’inchiostra e ingombra, quando non accalda.
Ma come fare capire che deve piegarsi per non spezzare le linee, per non rendere le impronte macchie di inchiostro indefinito e non perché è braccato innanzi al potere dello stato ?
Così le impronte sono inutili, vanno riassunte.
Ma nel gioco tra "guardie e ladri" a loro tocca sfuggire alla pressione, resistere, scivolare ed eludere, creando sbafi in decodificabili sul cartellino…. Ed a me tocca fermarli. Sulla strada come sul cartellino decadattiloscopico.

Con gli stranieri della Bossi-Fini, è diverso … Si gioca con inconsce paure interiori, in un incontro con la diversità che in me stimola la curiosità, invita alla collaborazione…e quindi "morbido, morbido", invito io, e per far constatare a loro stessi a che livello vorrei quella loro mano morbida la prendo delicatamente per il polso e la faccio penzolare. Si accorgono da soli che se la mano non penzola….morbidi non sono ed il più delle volte sorridono a quella loro rigidità dicendomi, quasi a scusarsi, "sai è la prima volta per me". 

"Adesso potrete avere il permesso regolarmente e non avere più il timore dell’espulsione", mi capita di dire. Chi lo comprende, arriva al banco delle impronte con mani oneste, morbide e tranquille…. Altri arrivano con la paura in tasca, tesi quando non provocatori.

Quante storie di mani, di individui, di razze, di paesi…
Torna alla mente la storia di un ucraino con un dito monco…..
Questo dito incompleto sembrava urlare la sua personale ed incontrovertibile convinzione che tutto il mondo, fuorché lui, fosse responsabile della sua amputazione ed io per prima, che lo costringevo a fare i conti con la realtà, a guardarla ed a farla guardare, a marchiarla, annotando l’evento nello spazio riservato alle mutilazioni. Tecnicamente rientra nella categoria delle "imperfezioni fisiche".
In apparenza a lui sembrava interessare poco. Magari non ha avuto il tempo o la voglia di metabolizzare l’esperienza, di accettarla come parte di se.
Mentre gli inchiostro l’anulare saltando dall’indice, con uno scatto isterico, mi sbatte in faccia il moncone medio e con dura aria di sfida, di scherno, quasi a volermi provocare, mi chiede con occhietti sornioni " e questo non lo inchiostri"?
Recupero la pazienza e la comprensione coltivata tra sorrisi e caramelle condivise quel giorno con il figlio color nocciola di uno straniero, che mi ha obbligato ad una piccola pausa, ad un tuffo nell’innocenza, mentre andava a lavarsi le mani. Così, invece di cogliere la provocazione scelgo la comunicazione, per cui prendo un foglietto di carta bianca e gli dico "ora ti dimostro perché non l’ho inchiostrato". Passo il rullo su quel che rimane del dito medio e gli faccio premere il moncone sul foglietto …..
Lo invito ad osservare che gli scarabocchi prodotti non sono impronte chiare come quelle delle altre dita, rassicurandolo in silenzio, con tranquillità. "Non mi impressiona la tua amputazione, io ti accetto così come sei", penso.
Ad operazione finita, sperando in un calo di tensione, gli chiedo: "come te lo sei perso questo dito?" e lui, recuperando quanto rimaneva di una confusa ed ormai obsoleta tracotanza, mi risponde: "ho scavato un morto al cimitero e me l’ha morso".
"Ok", lo liquido io, "è una storia tua, se non vuoi dirmelo, è giusto così".
A queste parole, finalmente si arrende a se stesso, al suo dito e all’imbarazzo di una separazione forzata, che più che dal suo dito mi sembra sia una separazione da se stesso, dalla sua terra, dal suo cuore … e non senza dolore, mi racconta di quando un tempo era militare e nel raccogliere delle armi un colpo inesploso era partito, tranciandogli il dito… Facile capirlo, per me adesso come prima; forse per lui è stato un po’ meno facile raccontarlo e raccontarselo.
Mi piace sperare che gli abbia fatto bene.

Mani. Anche se monche, sempre mani, con le loro voci e le loro storie, non tanto lontane dalle nostre….
Mani di allergia a troppi detersivi a troppa acqua calda o acqua fredda: mani non curate. Ogni tanto interagisco: "signora lei ha bisogno di una crema, provi in farmacia"…. e la timida e discreta risposta è : "insomma, va bene così, non fa nulla, con i soldi che spendo per una crema di farmacia al mio paese si fanno tante più cose e lì servono, ho due figli, sa?".

Penso ai nostri immigrati d’altri tempi e mi chiedo se anche loro hanno risparmiato sulla crema per le mani o su di un maglione più pesante in nome di chi attendeva a casa. E sento crescere in me il rispetto per una dignità che non ha bandiera.

Poi i cartellini si devono compilare ed impietosamente chiedono che mestiere fai, che grado di istruzione hai … Queste domande che scavano nella realtà,  sembrano toccare corde delicate, te ne accorgi quando ti rispondono sospirando "niente, il lavapiatti", senti che vorrebbero dire altro, che il loro mestiere in fondo non è questo, ma … chi se ne importa, purché si guadagni, va bene lo stesso…
Quando rigiro la domanda e chiedo "che facevi prima, al tuo paese?", allora gli occhi si accendono di orgoglio e sorridendo mi sento rispondere: "l’ingegnere", "il poliziotto", "l’artista". Ed è l’artista che al mio cenno di interesse, con orgoglio mi mostra le foto dei quadri che dipinge, commentando: "ma lì non si spendono soldi per i quadri,  e allora meglio fare il lavapiatti qui".

Quante storie … Quanti insegnamenti di vita ….

Mi ha divertito molto una coppia di brasiliani, che alla domanda di prassi: "ha cicatrici o tatuaggi?" mi ha risposto in stereofonia, per cui mentre la donna, una prosperosa e avvenente cinquantenne, mi rispondeva "sì, una cicatrice per una operazione al femore" ….."bella, bella" …. sentivo mormorare alle sue spalle. Lì per lì pensavo di essermi sbagliata, di aver sentito male, forse voci provenienti dalla strada, dalla finestra aperta, che fa entrare caldo e vita vacanziera. Ma mentre lei aggiungeva "ne ho un’altra alla spalla, per un’altra operazione",  ancora la voce mormorava:  "bella, bella"….  Mi sono spostata un poco e ho scoperto alle sue spalle un ometto corpulento, caliente come lei, che sghignazzava divertito, guardando la moglie dai capelli neri e lunghi…. L’ho guardato, sorpresa e compiaciuta  e lui indicando la moglie confermava con gli occhietti accesi, piuttosto che con le parole : "bella, bella"…
Tutti e tre siamo scoppiati contemporaneamente in una clamorosa risata e a questo punto ho domandato "da donna a donna", ma dove li fabbricano uomini così ?" Lei orgogliosamente portando  la mano inchiostrata sul petto : "al mio paese"…….
"Spettacolare … ma accidenti signora, si è sporcata il vestito!"
E lui imperterrito….…"bella, bella….".

Ancora oggi, dopo aver incrociato tante nazionalità, tante mani, tanti volti, mi capita di riflettere la sera, quando smonto e torno a casa. Rifletto sulle mani, su quante cose trasmettono e dicono queste strane, preziose estremità…
Preziose non solo per le linee papillari che scovano precedenti ed alias, ma ora, ai miei occhi, alla mia sensibilità non sempre manifesta e manifestabile, ancora più preziose per le storie che incidono nelle loro rughe, per i solchi dei ricordi o semplicemente per  tristezze e nostalgie, che portano con loro. Preziosità che sto imparando a cogliere ed ascoltare per poi poterle raccontare, come fossero delle storie, di resistenze e di paure, di lavoro e di amore …  storie di varia umanità…….

01/05/2005