Roberto Artusi

Ora prima

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 "L’apertura degli occhi, al risveglio,
è un luogo di transito, un interregno popolato
dai fantasmi dei sogni, che iniziano a disperdersi,
e dai pensieri del giorno, che invece iniziano a prendere corpo."

La sveglia iniziò a suonare. h 06:00:00
Il braccio scattò, con un movimento oramai automatico, al di fuori delle lenzuola in direzione della sveglia. Le dita, esperte, trovarono l’interruttore della suoneria e con un gesto preciso, che solo loro conoscevano, chiusero quel suono elettrico, restituendo al mattino i suoi suoni naturali. Gli occhi erano ancora chiusi, e non erano trascorsi pochi attimi, che i primi pensieri iniziarono a riempire la mente del Commissario Cacerreto.
Aprì gli occhi. h 6:00:07
Ancor prima di poter soffermare la propria attenzione su uno qualsiasi dei pensieri della sua ben avviata attività celebrale, e ancor prima che potesse esercitare la sua volontà in qualche direzione, il braccio sinistro, con un colpo secco, aprì le lenzuola, annullando la confortante separazione tra la stanza e il letto, tra la notte e il giorno, dando il via ad una serie di movimenti che non significavano altro che risveglio. I muscoli addominali e della schiena si contrassero, la gamba destra iniziò la sua corsa verso l’esterno del letto, portando con sé l’altra, e con un colpo di reni, certo non improvviso, alzò il busto ruotandolo...il Commissario Cacerreto si trovò seduto sul letto, con la faccia diretta verso la finestra, che lasciava intravedere il tempo di fuori. Le spalle ricurve sulla notte, che da un pò di tempo oramai non significava più riposo, i palmi delle mani poggiati sul letto, al fianco delle cosce, le braccia tese lungo il busto, i capelli arruffati, gli angoli delle labbra rivolti all’ingiù, mentre i piedi, tastando il terreno circostante, con il movimento vermicolare delle dita, cercavano le pantofole.
Qualche secondo lì, seduto immobile...inesorabile come un carnefice, giunse il pensiero di lei.
Si alzò. h 06:00:36
Nella penombra del mattino, che passava dalla tapparella, percorse lo spazio della camera fino al bagno. Camminando, le mani iniziarono il consueto percorso: i capelli; la maglia del pigiama che la notte si era ritorta attorno al braccio; gli elastici del boxer saliti fino allo stomaco; la sua virilità; di nuovo i capelli; il volto...sembrava che questo giro delle mani sul suo corpo svolgesse una funzione di riconoscimento, di riappropriamento...Strinse gli occhi a fessura, la mano destra trovò, sapiente, l’interruttore del bagno. Entrando fu investito dalla luce artificiale e, nonostante la precauzione intrapresa, dovette chiuderli del tutto, gli occhi. Per un attimo. L’angolo destro della bocca si alzò mentre il sopracciglio corrispondente gli andava incontro, la fronte si corrugò e si spostò all’indietro, nell’attimo del rifiuto della luce.
Si riconobbe nello specchio. h 06:01:13 
Fissando il fondo del water, che veniva agitato dal suo umore fisiologico, i suoi pensieri iniziarono a prendere una direzione: immaginò per l’ennesima, infinita, volta, la scena. La sua mente aveva riassunto in pochi fotogrammi un’intera storia, un’intera vita. Quando, per qualche incomprensibile motivo, in un momento, come in quella mattina, il suo pensiero si soffermava su quell’avvenimento, allora compariva sempre la stessa scena. Sotto un portico, di lato al portone, aperto, gli occhi di lei fissi su di lui, i capelli rossi raccolti, l’espressione corrugata, lontana, di una distanza incolmabile, il tempo uguale, il vento freddo, la poca luce, il forte battito del cuore, il nodo alla gola… poi la vampata di fuoco…la mente bloccata dall’affollarsi dei pensieri, esplosi anch’essi, il senso di impotenza, l’impossibilità di muoversi, la caduta di lei sulla soglia dell’ingresso...ma non in successione temporale, non un inizio, né una fine, perfino senza nessun rumore...e poi l’ultima immagine.
Di un’intera vita solo un’immagine.
Tirò l’acqua. h 06:02:05
Si volse allo specchio, mentre gli occhi non si lasciavano più ferire dalla luce delle lampade del bagno, e, iniziando a ruotare lentamente la testa da destra a sinistra, si mise a scrutare il proprio viso, portando una mano sul mento, alla ricerca dei nuovi segni che ogni mattino rivelava, apprezzando la sensazione dello sfregamento delle dita contro la barba della notte. Aprì il rubinetto con la mano sinistra mentre con l’altra inumidiva il pennello per la barba. Fissandosi dritto negli occhi, si insaponava. Pur rimanendo fissi su di sé, mentre eseguiva perfettamente decine di movimenti usuali, ora gli occhi non vedevano più nulla. La sua attenzione si era definitivamente smarrita, si stava introspettando e le tensioni muscolari, dalla schiena su verso le spalle, lo presero in una morsa. Una lunga serie pensieri e di recriminazioni erano partiti, immediatamente associati alla visione della scena: perché era andata così? Perché era stata colpita lei e non lui? Perché era iniziata la loro storia? Come aveva permesso che ciò potesse accadere? Come era possibile che non fosse riuscito ad intervenire in quella situazione? Cosa era quel pugno allo stomaco che il solo pensiero di lei gli provocava, già da quando era in vita? E giù, giù, giù…fino a chiedersi quale fosse in definitiva il senso della vita...la propria e quella degli altri.
<<Ma possibile che continuo a farmi queste domande del cazzo ogni mattina alle sei quando mi faccio la barba?>>, sbottò ad alta voce.
Si girò e, con l’intenzione di spazzare via quel mormorio interno, quel tappeto di pensieri, accese lo stereo sulla solita stazione.
Giornale radio. h 06:04:47
Iniziò a passare la lama del rasoio sul viso. Dall’orecchio sinistro in giù, piano, molto piano…Ricordò la prima volta che la vide. Era il suo primo giorno di lavoro nella nuova sede e lei stava appena fuori da una porta di un ufficio, spaesata. Sul volto l’espressione di chi è arrabbiata con il mondo, nel cuore l’attesa di qualcuno che venisse a prenderla per portarla via di lì. Lui avvicinandosi fece un sorriso, la sorpassò mentre veniva investito dal suo sguardo: una richiesta di aiuto. Lui, appena lasciatasela alle spalle, valigetta in mano, si bloccava per un istante, per ritornare immediatamente sui suoi passi. Un altro sorriso. <<Perché sei triste?>>…Zac, mentre il rasoio svolgeva il suo lavoro, all’altezza della piega che si trova giusto tra la mascella e l’attaccatura del collo, una leggera tensione della mano associata al ricordo della prima volta che si erano parlati. Zac, un taglio, per imprimere anche sulla pelle di quella mattina il ricordo di un evento già indelebilmente impresso nella memoria di ogni giorno. Staccando repentinamente il rasoio dal collo, fece in tempo a vedere la piccola interruzione della cute, ancora bianca, diventare sempre più rosea fino al comparire di una piccola goccia di sangue. Pensò quanto fosse complicato ricostruire, nei minimi dettagli, momenti anche molto importanti della propria vita e come le emozioni, anche quelle più intense, alla fine fossero più un ostacolo nel ricordare gli avvenimenti, che un aiuto. Si soffermò a considerare in cosa potesse consistere questa difficoltà nel ricordare fedelmente ciò che accade nella propria vita. Dopo un momento di meditazione, si disse che dimenticare qualcosa a volte può aiutare a sopportare di più il peso che ogni giorno lascia sulle spalle.
Medicò il taglio. h 06:27:34
 <<Pronto>>.
<<Pronto. Buongiorno, Commissario Cacerreto?>>
<<Si, chi è?>>
<<Sono l’Ispettore Reale, sala operativa della Questura>>
<<Buongiorno. Mi dica Ispettore>>
<<Mi scusi se la disturbo a questa ora, ma non riesco a rintracciare il Dr. Fornasini, e risulta essere lei in reperibilità. La volante ha avvisato cinque minuti fa, c’è stato un omicidio. Una macchina sta passando sotto casa sua, per accompagnarla sul posto. Tra poco dovrebbe essere lì.>>
<<Ha fatto bene Ispettore, sapevo del Dr. Fornasini. Inizi a fare i primi accertamenti. A dopo.>>
Chiuse il cellulare di servizio. 06:35:05
 I suoi gesti iniziarono ad avere una velocità e precisione maggiore.  Uscì dal bagno, e si diresse verso l’armadio. Lo aprì e ne trasse fuori la divisa. A memoria, indossò i calzini, i pantaloni, la camicia, strinse la cinta, sistemò la fondina, le scarpe. Questa volta i singoli gesti non erano per nulla accompagnati da chiacchiere o pensieri. Correvano lisci sull’onda delle cose da fare e sulla necessità di farle in fretta.
Si volse per andare di nuovo verso il bagno, colpito di nuovo agli occhi dalla luce, questa volta più decisa, che filtrava dalla tapparella, si avviò alla finestra per aprirla. Iniziò a tirare la corda. Ad ogni strattonata, la stanza veniva investita dalla luce, come ad ondate. Così ogni oggetto prendeva forma e conquistava la sua individualità dall’indifferente colore che la notte aveva lasciato su di essi. Si rivelavano le forme della stanza e veniva spazzato via dalle cose quell’ultimo residuo di torpore che la penombra lascia sempre al termine della notte.
Indossò la giacca e uscì. h 06:47:33

01/05/2005