Gianpaolo Trevisi

L’Africa in un cassonetto

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Il sottoscritto Dr. Gianpaolo Trevisi, Vice Questore Aggiunto della Polizia di Stato, in servizio presso la Questura di Verona, in qualità di Dirigente dell’Ufficio Immigrazione, in relazione al servizio effettuato, ieri, sabato 23 ottobre 2004, nel centro cittadino, per combattere il fenomeno dell’abusivismo commerciale, riferisce alla S.V. quanto segue: come disposto dalla Sua ordinanza di servizio del 20 ottobre 2004, alle ore 19.00, unitamente a tre macchine dell’Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico, due pattuglie della Squadra Mobile, una dell’Ufficio Immigrazione e…………….. Ecco, lo sapevo, di nuovo lo stesso terribile difetto di sempre: ogni volta che inizio a scrivere qualunque cosa abbia a che fare con il mio lavoro, nel bene o nel male, mi ritrovo sempre ad usare le stesse terribili parole e così mi rivolgo sempre ad improbabili e forse inesistenti Signorie Loro, ad antichissime eccellenze ed ogni volta lo faccio, esclusivamente, per doverosa conoscenza e con osservanza. Andare diventa recarsi, usare diventa usufruire, incazzarsi diventa adirarsi o divenire nervoso e quel che più è peggio far conoscere diventa rendere edotto. Sempre meglio, ora, comunque rispetto ai miei primi entusiasmanti anni in Questura, quando informavo, per opportuna conoscenza, la mia ragazza che l’amavo con entusiasmo, senso del dovere e soprattutto spirito di sacrificio, quando dicevo ai miei amici che sarei potuto uscire con loro, compatibilmente con le mie esigenze e quando avvertivo qualcuno a cui davo un appuntamento, che gli avrei citofonato a scopo intimidatorio; ho passato anni interi a riferire ogni cosa, sin nei più piccoli particolari e sempre, ripeto, con osservanza. Questa volta voglio scrivere con parole e pensieri miei, perché non lo faccio per doverosa conoscenza, ma perché mi va e perché so che queste pagine non saranno infilate dentro qualche cassetto o in mezzo ad un fascicolo impolverato e soprattutto non dovranno mai essere decretate o corrette, perché nessuno più o meno alto in grado di me, potrà scrivere in qualche angolo del primo foglio, "parlarmene con urgenza", "atti" o qualche altra cosa del genere. Di fronte ad un foglio di carta siamo tutti improvvisamente uguali e tra errori, doppie mancate, virgole buttate a caso, come gocce di pioggia su di un prato, ci sentiamo improvvisamente liberi e straordinariamente noi stessi. Scrivo liberamente e mi accorgo, così, di poter usare meglio la mia mente, usando parole normali, punti esclamativi ed interrogativi e puntini di sospensione. Anche cambiando le parole e lasciando uscire dal recinto i pensieri, rimane, comunque, il fatto che sabato scorso, con una specie di esercito alle spalle, mi è toccato dirigere uno dei servizi che meno mi piacciono, anzi che più detesto: in termini puramente ministeriali, si tratta di combattere il fenomeno dell’abusivismo commerciale, nelle vie del centro cittadino, mentre in realtà si tratta di "dare la caccia" agli ormai famosi ed innumerevoli "vù cumprà", che come pois colorati si appoggiano ogni sera lungo il tappeto d’asfalto delle vie più eleganti ed affollate di Verona. Quando, come accade molto spesso, ci si accorge di non riuscire a bloccare neanche il più lento di tutti loro, in realtà, si tratta solo di recuperare le cose abbandonate, dentro varie lenzuola bianche, nel bel mezzo della via e di tornare, poi, in Questura, a scrivere del nostro successo ed a elencare, uno ad uno, i falsi ritrovati. E’ vero, non si può autorizzare o far finta di autorizzare ciò che è illegale, come del resto non si potrebbe tollerare una specie di mercatino del falso in un altro angolo della città e forse neanche i "vù cumprà" sarebbero contenti di essere confinati in un parcheggio deserto, frequentato solo dalle loro ombre. Del resto, però, è vero anche che se fossi nato più o meno sfortunato ed ora mi ritrovassi, più scuro in viso, a vendere odiosissimi oggetti di Prada, Gucci e d’intorni, spudoratamente falsi ed una prima volta, poi una seconda e anche una terza e una quarta mi avessero portato via il mio mezzo sorriso e i miei miseri guadagni, probabilmente, nel giro di breve tempo, avrei provato a vivere rubando, vendendo droga vera o quasi vera o fare chissà che cosa e non solo nel centro cittadino. Chi vende roba contraffatta alimenta mercati illegali, gestiti forse da organizzazioni criminali vaste e spietate e in generale non si discute, ma in particolare, un "vù cumprà", grande come una montagna e fragile e instabile come una piccola duna di sabbia su di una spiaggia piena di vento, rimane solo, con pochi soldi in tasca e con il sole dentro, mentre svanisce lentamente, notte dopo notte, fuga dopo fuga. All’inizio del servizio, faccio un sopralluogo per le due vie principali, via Mazzini e via Cappello e lungo tutta piazza Erbe e lo faccio solo insieme ai colleghi in borghese, convinti ancora come siamo di non aver facce da sbirro e di non poter essere in nessun modo riconosciuti; lo si fa per studiare bene la situazione, memorizzare le loro posizioni, trovare un modo per chiudere le vie d’uscita e così riuscire a bloccare il maggior numero possibile di loro. Il primo blitz della serata, di solito, è anche l’ultimo, perché una volta che interveniamo, anche nelle ore successive non si vede un "vù cumprà" neanche in lontananza e tutti coloro che non riusciamo a prendere, mentre noi siamo già andati a dormire, continuano a correre terrorizzati o a rimanere nascosti in qualche angolo buio. Subito dopo il sopralluogo, in formazione d’attacco e questa volta con tutto il personale in divisa, s’interviene di corsa, sbucando improvvisamente da vari angoli, ma tutti nello stesso identico istante e se fosse un’operazione per la cattura di un grande latitante, si potrebbe anche dire che si tratta di una bellissima operazione di polizia. Subito dopo la nostra uscita, come falchi che non riescono bene a volare, i "vù cumprà", come gazzelle nere, rincorse da leoni, iniziano a correre come non mai; all’inizio provano a portarsi dietro tutta la loro merce, ma poi quando capiscono che il leone si sta avvicinando sempre più e che un paio di occhiali da sole finti Versace, una borsa Gucci o giù di lì e un cd, di spigolo, con i successi di Antonello Venditti, hanno buttato giù per terra due vecchiette e tre bambini, abbandonano tutto e allungano il più possibile le loro gambe, per sparire dietro un palazzo, dentro un cortile o in mezzo alla nebbia di una serata umida. Non ho mai pensato e credo lo stesso abbiano fatto tutti i miei colleghi a cosa mai potrebbe accadere nel remoto caso in cui uno riuscisse a prendere e bloccare uno di loro, visto che di solito il più basso tocca 1.85 di altezza e non tocca i 100 chili, soltanto perché dal giorno prima non tocca cibo. Forse avremmo un po’ paura e magari anche un po’ di pietà, poi, magari uno di loro, proprio come una gazzella ormai toccata e morsa, si girerebbe e ci darebbe una spinta e allora, forse, saremmo anche capaci di innervosirci e di arrestarli per resistenza a………. Ipotesi, perché la maggior parte delle volte ci limitiamo a raccogliere tutti i loro prodotti colorati, firmati, lasciati, falsificati e lanciati, sull’asfalto di una via affollata. Iniziamo a raccogliere Eros Ramazzotti, Robbie Williams, i Queen e Biagio Antonacci, tutti sdraiati per terra, come dopo una lunga corsa, ma quel che più mi da fastidio è che mi tocca raccogliere anche i successi di Gigi D’Alessio e fare finta di niente, pur essendo convinto che anche tra i falsi ci siano sempre delle priorità e che nei casi peggiori non è detto che il falso non sia meglio dell’originale, fosse solo per il fatto che costa molto meno. Più di ogni cosa, i "vù cumprà" vendono cd musicali e più di qualunque altro oggetto, lungo la strada, recuperando falsi, troviamo musica masterizzata e riprodotta e mi fa ridere prendere un cantante alla volta e infilarlo in un bustone nero, io che ero convinto che la musica fosse di tutti e che una volta scesa nella testa di un musicista dovesse per forza ritornare in mezzo al cielo, per essere presa da chiunque volesse sognare e cantare. Raccogliamo centinai di coriandoli di musica colorati, borse eleganti, portafogli vuoti, giochi per computer, collane e occhiali da sole, accendini, giochi e lenzuola bianche, tante lenzuola bianche, come bandiere in segno di resa. Durante questa raccolta si formano due ali di folla, ai nostri lati; da una parte tante famiglie eleganti, appena uscite in gruppo, dai migliori e più costosi negozi, con decine di buste con dentro il mondo appena comprato, che applaudono e che, sottovoce, gridano che è fastidioso camminare con tutti "questi" intorno, perché loro gli slalom li amano fare solo sulle pista da sci e perché non sanno bene, forse sarà l’odore della pelle, ma puzzano e fanno un cattivo odore; dall’altra parte, tutti quelli che magari si accingevano a comprare qualcosa di falso, provando a tirare perfino sul prezzo e che strillano "vergogna", perché invece di pensare ai delinquenti veri, andiamo in cerca di chi non ha nessuna colpa e che vuole solo guadagnare qualcosa per mangiare. Noi anche questa volta in mezzo ad un’idea, ad un concetto, una lotta, una piazza, in mezzo a chi ci odia e a chi ci ama, in mezzo a chi in un modo o nell’altro non ha un gran rispetto per il nostro lavoro e per tutti ciò che proviamo e sentiamo, sotto il nostro berretto e perfino dentro i nostri anfibi. Mentre tutti sono impegnati nella raccolta che sembra non finire mai, mi guardo intorno e dietro le vetrine luccicanti, vedo le facce soddisfatte di alcuni commercianti, così poco intelligenti da pensare che ora senza loro di mezzo, qualche cliente in più entrerà certamente, così profondamente ingenui da credere che i clienti delle gazzelle nere siano i loro stessi clienti. Mi stanco di guardare le vetrine e cerco di camminare oltre gli angoli più nascosti, per vedere se riesco a trovare qualche "vù cumprà" temerario, se non altro per capire se si tratta dei soliti senegalesi o se c’è qualcuno di nuovo, che forse sarebbe almeno opportuno accompagnare in Questura e fotosegnalare, per capire chi sono. Cammino in borghese, cercando di avere la faccia meno da sbirro possibile, cammino in punta di piedi, per non far vedere i miei piedi piatti, passo davanti alla casa di Giulietta, vedo mille biglietti d’amore scritti in tutte le lingue del mondo e giro a sinistra, per una via stretta e un po’ più buia e mentre guardo per terra, in cerca di qualche altro reperto del famoso abusivismo commerciale, mi fermo davanti a due piedi simili a due zattere, forse di un extraterrestre o di una specie di uomo delle nevi o della nebbia. La probabile misura 48 dei piedi, non mi rende completamente tranquillo, che è un modo più o meno ministeriale, per dire che me la sto facendo sotto, ma non scappo e lentamente alzo lo sguardo e mi arrampico lungo un paio di sandali mezzi rotti, un paio di pantaloni larghi e bianchi, due mani che tremano, una camicia a fiori, sino ad arrivare sino a forse due metri di altezza, al punto esatto in cui riesco solo a vedere due occhi impauriti e denti bianchi, come piccole stelle incastonate nel buio. Lui mi guarda con terrore e non so se perché mi ha visto prima mentre correvo, se perché sono particolarmente brutto e basso o se per paura della nebbia o di qualche vecchietta che si è appena rialzata da terra, dopo essere stata buttata giù dalla gazzella in fuga. Attende un istante e poi, all’improvviso salta dentro un cassonetto convinto di nascondersi come se io e nessun altro potessimo accorgerci di questa specie di giraffa che si vuole chiudere dentro una scatola. La fuga nel cassonetto è apparentemente un po’ stupida, un po’ come quando da bambini tutti i papà e le mamme si nascondevano dietro le mani per poi gridare, una volta aperte: "bubusettete!!". Il cassonetto prescelto, però. è uno dei pochi fortunati della città che, dopo essere stato consegnato ai bambini di una scuola elementare, è ritornato in strada senza più il grigio di prima, pieno di colori e con sopra un sole, un cielo, un deserto e degli animali che bevono, si lavano e giocano vicino ad un piccolo lago. Penso che sia strano e buffo come un probabile senegalese abbia deciso di nascondersi proprio dentro un cassonetto con l’Africa dipinta sopra, ma ormai non posso aspettare e senza temere ne lui e ne il buio, già convinto di dovermi far spazio tra buste piene di spazzatura, apro il coperchio di cielo ed entro. Dietro di me si chiude il cielo e restano solo tanto buio e silenzio. Poi, all’improvviso sento incredibili soffi di vento sul mio viso, battiti d’ali di gabbiani vicino alle mie orecchie e schizzi di mare su tutto il corpo. Subito dopo il suono di un tamburo lontano, poi di un altro e di un altro ancora, sino a sentire il suono di cento tamburi sempre più vicini, che si uniscono al rosso e al giallo del deserto. Stringo gli occhi, inizio a vedere la luce forte di un sole pulito e gigante, un cielo azzurro come mai avevo visto prima e un immenso deserto, tutt’intorno ad un lago. Inizio a sudare e mi sembra d’impazzire, nel bel mezzo di un cassonetto, mi sento terribilmente solo e credo di essermi perso. Mi spavento e inizio a correre come non ho mai fatto, passo ai piedi di una montagna che sembra un dio, salto su cespugli, mi sporco di terra rossa e dietro una collina piccola vedo il lago di prima. Intorno alle sue acque, centinaia di animali di tutti i tipi: zebre, leoni, giraffe. Vedo elefanti che giocano. Danzano sulle acque leggeri come il vento. I più grandi ricorrono i più piccoli che saltano e che, avendo orecchie enormi, sembra stiano per spiccare il volo. Corro ancora e mi fermo solo davanti a quattro gazzelle e davanti ad una capanna di un piccolo villaggio colorato. Mi avvicino. Ho paura che le gazzelle inizino a scappare e invece rimangono ferme; passo loro accanto e spostando dei rami che come una tenda sono davanti alla porta, entro in quel mondo chiuso dentro una sfera, di sudore, fango, foglie e fatica. All’inizio è buio e mi sembra di vedere soltanto piccole stelle incastonate nel nero. Sono ancora i denti dell’uomo del cassonetto, ora sorridente accanto ad una ragazza, bella come la luna e ai loro piccoli figli, gomitoli di amore, paure e speranze, tra le loro braccia. La donna ha un braccialetto di lacrime intorno al polso destro. I bambini due mosche fastidiose vicino ai loro occhi. L’uomo ha una ciotola di riso, grande come una noce. Vorrei diventare aria, nuvola e perfino nebbia, busta di spazzatura coricata sul fondo di un cassonetto o chicco di riso per perdermi in una ciotola, qualunque cosa, pur di non farmi rivedere da lui, pur di sparire in un istante e andare via, qualunque cosa pur di non fermarlo e di non doverlo accompagnare in ufficio per fotosegnalarlo, perché già so chi è. All’improvviso, di nuovo buio. Mi ritrovo come scaraventato fuori dal cassonetto, sporco, sudato e confuso; ricoperto di spazzatura, faccio un salto per uscire. Atterro sulla traccia di un cd falso di Manu Chao, sulla canzone "Clandestino" e con una lacrima negli occhi, dopo aver visto l’Africa in un cassonetto, faccio entrare un po’ di nebbia dentro me e mi accompagno in Questura per capire chi sono.
01/05/2005