Annalisa Bucchieri
Il volto della sicurezza oggi
Accento meridionale, licenza elementare in tasca, poco più che maggiorenne, indiscutibilmente maschio. Questo il ritratto a grandi linee che emerge dalla carta d’identità di chi sceglieva di diventare una “guardia” nel periodo del secondo dopoguerra. Un cliché rimasto invariato nell’immaginario collettivo almeno fino agli anni Ottanta. Poi la riforma dell’81, lo spartiacque che ha segnato un passaggio epocale per l’Istituzione e che ha messo in moto un processo di rinnovamento che oggi ci troviamo a leggere con la prospettiva privilegiata di chi ha sufficiente distanza, un quarto di secolo, per mettere a fuoco il disegno complessivo, come i dettagli.
Quanto sia cambiata la polizia lo si vede “oggettivamente” dalle cifre, le statistiche, le medie. Basta confrontarle con le ricerche demoscopiche dell’Istat per rendersi conto del lungo cammino di crescita compiuto dagli operatori della Polizia di Stato di pari passo agli altri “lavoratori” italiani e dello sforzo di adeguamento dell’Istituzione, il cui funzionamento è rallentato da norme, alle esigenze di una mobilissima realtà sociale che si evolve molto più velocemente. Ad accelerare l’andatura per prima è la Direzione centrale delle risorse umane del Dipartimento di pubblica sicurezza, che secondo le parole del suo direttore, il prefetto Paolo Calvo, “è la destinataria dei processi di cambiamento che coinvolgono gli uomini e le donne che fanno la polizia, e sono snodo tra società e istituzioni”.
Venticinque anni fa la smilitarizzazione, l’entrata delle donne, ma anche l’avvio della macchina concorsuale per la creazione dei ruoli tecnici: il “Corpo” diventa una “Forza”, concetto energico, più dinamico e flessibile. La conformazione e l’organizzazione mutano, trascinando nella trasformazione il profilo umano e sociale del singolo individuo, cioè poliziotto.
Nuove figure emergono a indicarci che la divisa è anche un camice bianco dell’esperto informatico che dà battaglia ai crimini su Internet, una comoda uniforme da camminatore del poliziotto di quartiere, ma si trasforma pure nei panni borghesi del “negoziatore” che contratta una resa, o indossa il basco celeste dell’international police officer in Kosovo. Per arrivare a questo la polizia ha puntato su metodi formativi e strategie gestionali all’avanguardia, ma non sarebbe riuscita nell’intento se non avesse potuto contare su risorse umane adeguate. “Nessun espediente organizzativo potrà essere efficace se non si pone al centro del sistema l’uomo – ribadisce il prefetto Calvo – È questa l’arma strategica per competere in uno scenario in continua evoluzione non è la tecnologia. Da qui il nostro sforzo di creare un clima favorevole per l’innovazione, valorizzando il patrimonio di competenze esistente, aumentandone le capacità”.
Chi sono gli uomini e le donne del terzo millennio che si è aperto, quelli che hanno aumentato il potenziale di sviluppo della Forza e contribuito a virare verso una nuova concezione di pubblica sicurezza? Ci aiutano anche i numeri a capirlo. “Nel complesso dei dati che abbiamo di fronte – spiega il sociologo delle professioni Francesco Consoli, docente all’università “La Sapienza” di Roma – il processo di modernizzazione della polizia viene evidenziato soprattutto da tre ...
Quanto sia cambiata la polizia lo si vede “oggettivamente” dalle cifre, le statistiche, le medie. Basta confrontarle con le ricerche demoscopiche dell’Istat per rendersi conto del lungo cammino di crescita compiuto dagli operatori della Polizia di Stato di pari passo agli altri “lavoratori” italiani e dello sforzo di adeguamento dell’Istituzione, il cui funzionamento è rallentato da norme, alle esigenze di una mobilissima realtà sociale che si evolve molto più velocemente. Ad accelerare l’andatura per prima è la Direzione centrale delle risorse umane del Dipartimento di pubblica sicurezza, che secondo le parole del suo direttore, il prefetto Paolo Calvo, “è la destinataria dei processi di cambiamento che coinvolgono gli uomini e le donne che fanno la polizia, e sono snodo tra società e istituzioni”.
Venticinque anni fa la smilitarizzazione, l’entrata delle donne, ma anche l’avvio della macchina concorsuale per la creazione dei ruoli tecnici: il “Corpo” diventa una “Forza”, concetto energico, più dinamico e flessibile. La conformazione e l’organizzazione mutano, trascinando nella trasformazione il profilo umano e sociale del singolo individuo, cioè poliziotto.
Nuove figure emergono a indicarci che la divisa è anche un camice bianco dell’esperto informatico che dà battaglia ai crimini su Internet, una comoda uniforme da camminatore del poliziotto di quartiere, ma si trasforma pure nei panni borghesi del “negoziatore” che contratta una resa, o indossa il basco celeste dell’international police officer in Kosovo. Per arrivare a questo la polizia ha puntato su metodi formativi e strategie gestionali all’avanguardia, ma non sarebbe riuscita nell’intento se non avesse potuto contare su risorse umane adeguate. “Nessun espediente organizzativo potrà essere efficace se non si pone al centro del sistema l’uomo – ribadisce il prefetto Calvo – È questa l’arma strategica per competere in uno scenario in continua evoluzione non è la tecnologia. Da qui il nostro sforzo di creare un clima favorevole per l’innovazione, valorizzando il patrimonio di competenze esistente, aumentandone le capacità”.
Chi sono gli uomini e le donne del terzo millennio che si è aperto, quelli che hanno aumentato il potenziale di sviluppo della Forza e contribuito a virare verso una nuova concezione di pubblica sicurezza? Ci aiutano anche i numeri a capirlo. “Nel complesso dei dati che abbiamo di fronte – spiega il sociologo delle professioni Francesco Consoli, docente all’università “La Sapienza” di Roma – il processo di modernizzazione della polizia viene evidenziato soprattutto da tre ...
01/05/2005