Caterina Carannante

Occhio al varco

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Scali internazionali, valichi stradali e porti. È qui che la polizia di frontiera svolge il proprio servizio. Terrorismo, immigrazione e nuove tecnologie

Occhio al varco

Un allarme bomba in aeroporto. Un carico di droga nascosto in scatole di scarpe a bordo di una nave merci appena attraccata. Un tir che tenta di attraversare il confine carico di immigrati clandestini nascosti in un doppio fondo del veicolo. Difficile aggirare i controlli dei 5.500 operatori della polizia di frontiera, che hanno il compito di garantire la sicurezza degli scali aerei e marittimi e delle frontiere terrestri.

Gemellati con le forze dell’ordine straniere e guidati dalla Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere, istituita nel 2002, gli agenti agiscono come canale di contrasto all’immigrazione irregolare. Il loro compito è quello di controllare quotidianamente qualunque “varco” e mezzo che consenta l’ingresso degli stranieri: aerei, navi, tir in viaggio sulle strade. Gli attentati dell’11 settembre del 2001 negli Stati Uniti e dell’11 marzo 2004 in Spagna hanno segnato però un giro di boa nei controlli di frontiera. L’obiettivo non è più soltanto quello di verificare la regolarità e la legittimità dell’accesso degli immigrati.

La minaccia pressante del terrorismo ha fatto crescere l’esigenza di sicurezza dei cittadini e la lotta al crimine internazionale è diventata la nuova sfida della polizia di frontiera.
Primo obiettivo sensibile sono gli aeroporti. Una telefonata anonima segnala la presenza di un ordigno in un deposito bagagli di un aeroporto del Sud. In un attimo i poliziotti di frontiera e, al loro fianco, gli agenti della sicurezza privata dello scalo, sono pronti per entrare in azione.

Ognuno conosce perfettamente il proprio compito, sa quanto poco tempo ha a disposizione per intervenire e quali conseguenze potrebbe causare un ritardo o una minima imperfezione del sistema di controllo. La sequenza e le modalità delle operazioni da mettere in atto, dettate dal Piano nazionale per la sicurezza aerea, aggiornato di continuo dal ministero dell’Interno, devono essere rispettate alla lettera. E così avviene. Una volta garantita la sicurezza dei passeggeri e del personale dell’aeroporto, l’esplosivo viene individuato e disinnescato. In realtà la bomba non sarebbe mai esplosa: la segnalazione è partita proprio dagli uffici del dirigente della polizia di frontiera che, ha deciso di organizzare un’esercitazione a sorpresa per la sua squadra. Ma gli agenti in servizio hanno agito convinti di far fronte a un’emergenza e quello che conta è che sono riusciti a neutralizzare il pericolo.

Il compito dei 27 uffici di polizia di frontiera aerea situati in tutta Italia è proprio quello di garantire in ogni momento la massima sicurezza negli scali aeroportuali, applicando rigidi standard fissati a livello comunitario e dimostrando di aver rispettato le regole durante le ispezioni periodiche da parte dei commissari europei. Finora mai una “bocciatura”: ma gli scali italiani hanno superato brillantemente le verifiche. “Sorvegliati speciali” sono senza dubbio gli aeroporti più affollati: Roma-Fiumicino, Milano-Linate, Napoli-Capodichino, ma c’è una vera e propria lista di attesa di scali che negli ultimi anni hanno registrato un incremento notevole del traffico e che chiedono perciò la presenza di un presidio costante. Nuovi uffici sono stati inaugurati lo scorso anno a Forlì, Pescara e Lamezia Terme; altri posti di polizia di frontiera sono in cantiere ad esempio a Bergamo, Verona e Varese.

La procedura dei controlli è una vera e propria catena: dal check-in all’ispezione dei bagagli, dalla verifica dei documenti e dei biglietti fino all’imbarco. L’esigenza è quella di assicurare la massima protezione dei voli e dei passeggeri, senza però rallentare il traffico e soprattutto nel rispetto dei diritti, primo fra tutti quello alla privacy.

Telecamere, porte “allarmate” e occhi sempre vigili servono a evitare qualunque tentativo di intrusione: i clandestini possono approfittare di un attimo di distrazione per nascondersi nei bagni e sfuggire ai controlli. Tutti i passeggeri devono essere controllati, anche a costo di qualche minuto in più in fila prima di salire a bordo dell’aereo o di una piccola rinuncia alla propria privacy. In fondo basta solo un po’ di collaborazione e qualche trovata elementare ma molto utile per semplificare e accelerare le procedure di controllo. Come un semplice cestello scorrevole, adottato di recente a Fiumicino nell’area internazionale, nel quale i passeggeri possono riporre gli oggetti che hanno nelle tasche prima di passare al vaglio dei metal detector.

Mentre da qualche anno il controllo di passeggeri e bagagli è affidato a personale privato, resta invece una competenza esclusiva della polizia di frontiera il controllo dei documenti.
Gli agenti passano al vaglio passaporti e titoli di viaggio, con particolare attenzione se i viaggiatori provengono da Paesi considerati a rischio per l’elevato numero di falsi. A tentare di superare i controlli con documenti contraffatti sono soprattutto albananesi, nigeriani e cinesi. Ma è lunga la lista degli scali che richiedono la massima attenzione: da Mosca a Praga, da Casablanca a Teheran, ma anche Singapore, Pechino, Hong Kong, Budapest, L’Avana, Santo Domingo, San Paolo, Rio de Janeiro.

Se oggi a fare la differenza è l’inchiostro dei timbri, la filigrana della carta, l’autenticità della fotografia, si fa sempre più strada l’ipotesi di privilegiare l’utilizzo di dati biometrici, capaci di identificare in modo inequivocabile ogni cittadino. Impronte digitali e immagini del volto sono già utilizzati in diversi paesi, memorizzati nei microchip delle carte d’identità e dei passaporti elettronici. Ancora in fase di studio invece la scansione dell’iride.

Controlli serrati anche nei 25 uffici di polizia marittima nei principali porti italiani e nei 99 valichi di confine. L’Italia è infatti una delle destinazioni principali di approdo di immigrati illegali, che utilizzano il Paese soprattutto come ponte verso altre destinazioni come la Francia, la Spagna, l’Inghilterra. Molti clandestini arrivano dai Paesi del bacino del Mediterraneo, dall’Africa, dai Balcani e nella maggior parte dei casi tentano di aggirare i controlli attraverso i confini terrestri, magari nascosti all’interno di veicoli commerciali, soprattutto da quando l’abbattimento delle frontiere ha reso possibile una circolazione più libera. I dati parlano chiaro: lo scorso anno sono stati respinti 24.528 irregolari, sequestrati 4.201 documenti, vale a dire dieci al giorno, e arrestate 1.338 persone. Risultati resi possibili anche dalla cooperazione con gli altri Stati. Non a caso l’obiettivo è quello di realizzare in tempi brevi una polizia di frontiera europea, in azione attraverso una struttura di coordinamento delle attività degli Stati membri.  


Un ruolo nuovo
La polizia di frontiera ricopre oggi un ruolo nuovo e opera con una consapevolezza diversa delle funzioni proprie, nell’ambito delle attribuzioni che le derivano dall’essere uno degli attori principali del processo di integrazione dell’Unione europea nel campo della sicurezza. È uno strumento comunitario, non più solo nazionale, che garantisce lo “spazio di libertà, sicurezza e giustizia”, quale obiettivo fondamentale per il raggiungimento di una Europa unita, fissato nel Trattato che adotta una Costituzione Europea, firmato a Roma il 29 ottobre 2004.
I confine interni, che oggi non sono più vere e proprie frontiere, rendono la polizia di frontiera un organo integrato del controllo del territorio. Infatti  i controlli di retrovalico si estendono, ormai, ad ambiti territoriali tali da inserire l’attività della polizia di frontiera nel più ampio concetto di controllo del territorio, che grazie agli accordi transfrontalieri si estende oltre i confini del nostro Paese.
Prefetto Alessandro Pansa
Direttore centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere



Ultime tecnologie
Sicurezza all’avanguardia grazie agli alleati tecnologici della polizia di frontiera. L’ultimo e più avanzato supporto per la lotta contro i traffici illegali è il Mobix, un enorme scanner a raggi x sulle tracce di immigrati clandestini, ma anche di carichi di armi, droga ed esplosivi. Un gigantesco braccio meccanico installato sull’autocarro è capace di radiografare tir e container fino a scovare un filo di acciaio di tre millimetri nascosto da una parete di ferro spessa 27 centimetri. Le immagini acquisite dalla lastra vengono infatti visualizzate dagli operatori su schermi a cristalli liquidi ad altissima definizione, che consentono una visione quasi tridimensionale dell’interno del veicolo. Prodotti dalla Volvo per 3,5 milioni di euro ciascuno, i Cargo Mobix 3800M 3.8 Mev sono veri e propri check point mobili, grazie ai quali è possibile controllare 40 tir ogni ora, archiviando circa tremila operazioni. Per adesso i nuovi mezzi sono soltanto due e presto saranno operativi sulle strade del Meridione: Campania, Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna.
Tempi duri per il contrabbando grazie anche all’utilizzo dei rilevatori di doppi fondi, di anidride carbonica e di battiti cardiaci. I sensori di questi strumenti infatti rendono inutile qualunque nascondiglio, persino se di acciaio, perché riescono a rilevare la presenza umana attraverso le pulsazioni del cuore o le emissioni di aria durante la respirazione.
Senza mai rinunciare al fiuto dei fedelissimi cani, i poliziotti di frontiera ricorrono anche a “nasi” più tecnologici, vale a dire gli sniffer, per annusare droga ed esplosivi, e i metal detector per le armi. Mentre il Docutest consente di passare al vaglio i documenti, a caccia di passaporti e visti d’ingresso contraffatti, memorizzati in un’enorme banca dati dei falsi più frequenti, lo Spaid consente di fare il confronto con i circa sette milioni di impronte digitali archiviate nel sistema Afis. Basta una valigetta per identificare chiunque sia già stato fermato per un accertamento o un crimine. Uno scanner e una videocamera collegati a un pc acquisiscono in tempo reale la foto e le impronte digitali del soggetto. I dati vengono quindi criptati e inviati, attraverso un modem, all’Afis, un database in continuo aggiornamento dove sono memorizzati circa un milione di cartellini fotosegnaletici. Il sistema confronta così i dati alla ricerca di eventuali corrispondenze.
Marina Graziani

01/04/2005