Paese di frontiera

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C’erano una volta gli “spalloni”. Portavano in Italia orologi svizzeri, scarpe e sigarette inglesi, qualche bottiglia di cognac dalla Francia. Anche denaro da riciclare. Li inseguivano – in certi disegni dei giornali popolari – in mezzo alla neve e alla luce delle lanterne, i poliziotti della Frontiera. Avevano giberne e cappottoni lunghi fino ai piedi, fucile automatico e pistola, ma non sparavano quasi mai.
Che il panorama alle frontiere sia cambiato totalmente, è noto ormai a tutti. I confini reali dell’Europa si sono allontanati, quelli che restano (Svizzera e Slovenia) sono sempre molto “caldi”.

Dopo Schengen sono cambiati i passaporti, le procedure per i visti turistici e di lavoro. L’allarme terrorismo non consente distrazioni, persino nel più piccolo aeroporto; il valore di certi oggetti (dalle confezioni di droga ai cd-rom zeppi di dati che valgono milioni di euro) induce a trasformarsi in “corrieri” anche insospettabili madri di famiglia. Mentre sono sempre troppi gli uomini e le donne disperati che, inseguendo il miraggio di una vita migliore, cercano di passare il confine chiusi in container o stivati come bestie negli scafi.

La polizia di frontiera italiana, come leggerete in questo numero, si è attrezzata per affrontare i cambiamenti; la scuola di specializzazione è frequentata anche da poliziotti stranieri. A mezzi sofisticati e a trucchi raffinati si risponde con aggiornamento continuo e tecnologie d’avanguardia.

Dall’impegno di chi controlla i confini italiani, il nostro pensiero va al lavoro “invisibile” di quanti sono chiamati a svolgere delicati compiti oltre frontiera. Un nome per tutti, quello di Nicola Calipari. Eroe dei nostri giorni, collega rimpianto, ricordato da chi per anni ha lavorato con lui fianco a fianco.
01/04/2005