Giacomo Kahn

Educare alla memoria

CONDIVIDI

A Gerusalemme per la ricorrenza della morte di Giovanni Palatucci. Parla il presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane Amos Luzzatto

Educare alla memoria

In occasione del 60° anniversario della morte del questore di Fiume Giovanni Palatucci (Dachau 10 febbraio 1945) si è tenuta a Gerusalemme, presso il Memoriale di Yad Vashem, una commemorazione solenne alla quale hanno partecipato sia autorità italiane come il ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu, il capo della Polizia Giovanni De Gennaro e l’ambasciatore d’Italia in Israele Sandro De Bernardin, sia autorità israeliane fra cui il ministro della Sicurezza Ghidon Ezra. Alla cerimonia, organizzata all’indomani di uno spettacolare concerto per il “Questore giusto” dove si sono esibite le bande musicali della polizia israeliana e italiana, ha preso parte anche l’Unione delle comunità ebraiche italiane, rappresentata dal presidente Amos Luzzatto. Lo abbiamo incontrato.

Che cosa è innanzitutto il Memoriale di Yad Vashem di Gerusalemme?
È il luogo per eccellenza della Memoria del popolo ebraico. Un enorme memoriale in cui è stata ricostruita tutta la storia della Shoah. Il nome Yad Vashem (Una stele e un nome) è tratto da un versetto del profeta Isaia (56,5), “Io porrò nella Mia casa e dentro alle Mie mura, una stele e un nome”, e proprio qui a Yad Vashem si dà unicità a ciascuna vittima dell’Olocausto. Un Memoriale nel quale, attraverso un lavoro incessante di ricerca e di archiviazione (che non ha ancora avuto termine), si dà un nome e un volto ai sei milioni di ebrei trucidati dai nazisti.

Ma a Yad Vashem non si ricordano solo le vittime della Shoah.
Esatto. A Yad Vashem c’è il cosiddetto Viale dei Giusti, nel quale sono piantati un albero ciascuno alla memoria di coloro, e sono migliaia, che si adoperarono a proprio rischio per salvare singoli o intere collettività di ebrei.
Fino a oggi sono stati proclamati circa 20 mila Giusti, di cui gli italiani sono 295. Le loro storie sono spesso sconosciute, o conosciute solo da coloro che furono salvati. Chiamiamo queste persone chasidey ummot ha–olam, i Giusti fra le nazioni.

Tra questi Giusti vi è stato anche un funzionario della polizia, Giovanni Palatucci.
Per alcuni anni Palatucci è stato un eroe quasi dimenticato, sebbene già nel 1953 lo Stato di Israele gli avesse dedicato una strada nella città di Ramat Gan e una foresta con 36 alberi (uno per ogni anno della sua vita), e poi nel 1955 l’Unione delle comunità ebraiche italiane gli attribuisse una medaglia d’oro alla memoria. Un riconoscimento ufficiale conclusosi, alcuni anni dopo, con la consegna da parte dell’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro della medaglia d’oro al valor civile.
L’opera di questo funzionario, ligio alla legge e che invece coscientemente e coraggiosamente trasgredì una legislazione discriminatoria e persecutoria, merita di essere conosciuta e portata ad esempio. Palatucci fu dapprima designato alla direzione dell’Ufficio stranieri della polizia italiana di Fiume nel 1937; divenne poi questore nella stessa sede e si impegnò per difendere numerosi profughi ebrei, in contrasto con le direttive tanto delle autorità fasciste italiane che, dopo il settembre 1943, di quelle tedesche. Fornì aiuto per amore umano e per un profondo sentimento religioso, ben consapevole del rischio che correva. Effettivamente fu catturato dalla Gestapo il 13 settembre 1944, poi trasportato a Dachau dove morì il 10 febbraio 1945, non ancora compiuti trentasei anni.
Un uomo nato come servitore dello Stato che, di fronte alla propria coscienza e alla propria fede religiosa, non esitò a violare una legislazione infame e persecutoria pur di salvare vite umane. Abbiamo voluto onorare la sua memoria, proprio a Gerusalemme, come esempio da indicare alle giovani generazioni. 

La Memoria come dovere di ricordare è un patrimonio solo ebraico?
No assolutamente, anzi il valore educativo e formativo di ricordare deve essere un principio condiviso da tutti.
Per la sua specificità, il tentativo pianificato di annientamento dell’intero popolo ebraico è unico poiché vi parteciparono non solo gli autori materiali del crimine, ma ingegneri, medici, biologi, tecnici, progettisti, operai che si prestarono per fornire ai carnefici i mezzi più raffinati per lo svolgimento del loro compito. Tuttavia la Shoah non è l’unico sterminio perpetrato e gli ebrei non sono stati gli unici ad aver subìto odio, aggressioni e tentativi di genocidi come popolo e come cultura.

Ricordare quindi perché non si ripetano più gli stessi errori.
Esatto. La Shoah è ancora di attualità sia per l’antisemitismo che tuttora è utilizzato per giustificare il genocidio, come dimostrano recenti episodi nati addirittura in ambienti universitari italiani, sia per la banalizzazione che ne viene fatta trattandola come uno dei tanti avvenimenti della guerra. Quasi uguale e contrario, per esempio, al bombardamento alleato di Dresda. Ma lo sterminio degli ebrei non ha seguìto la logica della guerra. Era una logica che, anche a costo di sacrificare l’economia bellica, privilegiava lo sterminio su qualunque altro obiettivo.
Nella maggioranza dei Paesi europei l’Olocausto è ricordato in manifestazioni pubbliche, memoriali di rilievo sono stati costruiti nelle capitali, il Papa ha dichiarato che le persecuzioni razziali sono state il più orribile crimine contro l’umanità, eppure sembra impossibile ma le discriminazioni di allora sono ancora presenti in alcuni settori della nostra società che in certe occasioni si manifestano con l’odio verso gli ebrei attraverso scritte ingiuriose, minacce anonime, cori razzisti.

Nella lotta alle discriminazioni e nella difesa dei valori democratici, quale ruolo svolge l’Unione delle comunità ebraiche italiane?
La violenza, l’incitamento all’odio fra popoli, culture, religioni diverse, l’omologazione per quanto riguarda il passato dei carnefici e delle loro vittime, tutto questo è tragicamente presente nella cronaca quotidiana. Potrei fare un elenco degli atti antiebraici, teorici o materiali e concreti, che avvengono ancora attorno a noi; ma diventerebbe un lavoro di cronaca più o meno nera. Voglio cogliere l’occasione per ricordare l’importante ed efficace opera di prevenzione che viene svolta  dagli organi di pubblica sicurezza. Un lavoro quotidiano svolto con discrezione, di cui noi siamo consapevoli e riconoscenti.
A noi spetta un compito fondamentalmente educativo: far conoscere la nostra storia, portare nella società civile i valori spirituali e morali dell’ebraismo. Per questo cerchiamo di raggiungere soprattutto i giovani. A titolo di esempio da cinque anni l’Unione delle comunità, in collaborazione con il ministero dell’Istruzione, organizza per tutte le scuole italiane dei diversi gradi ogni 27 gennaio un concorso sulla Memoria a cui partecipano ogni anno circa 15 mila ragazzi.
Oltre all’educazione abbiamo inoltre doveri di solidarietà. L’Unione delle comunità ebraiche italiane, grazie ai fondi derivanti dall’8 per mille destinati a interventi sociali e umanitari, ha realizzato alcuni progetti quali ad esempio l’aiuto ai bambini terremotati del Molise o, quest’anno, lo stanziamento di 200 mila euro che abbiamo messo a disposizione della Protezione civile italiana a favore delle popolazioni colpite dal maremoto in Asia.  


Matricola 117826
Il numero 117826, la matricola assegnata a Giovanni Palatucci a Dachau. È il soggetto scelto dall’Ente per il turismo di Salerno per le sei cartoline commemorative distribuite in occasione dell’anniversario della morte del funzionario di polizia avvenuta il 10 febbraio 1945. L’iniziativa è stata presentata dal Comitato “Giovanni Palatucci” di Campagna (Sa) con una cerimonia nel corso della quale, alla presenza del questore di Salerno Carlo Morselli e dei rappresentanti dell’Anps, è stato presentato un annullo postale dedicato al martire.
01/03/2005