Alice Vallerini
Fuga dalla città
Molti paesi sono destinati a scomparire. Ma quelli in cui i servizi funzionano attirano sempre più chi è stufo dei ritmi delle metropoli
Poche case abbarbicate su un’altura. Immobili, spente come ammassi di pietre abbandonate. Non si sente un rumore a Pentedattilo. Il paese della Calabria dall’altisonante nome greco-bizantino ha avuto residenti fino al 1971 e poi non più. Allo stesso modo, negli anni, una ventina di piccoli centri della stessa regione sono diventati dei “non luoghi”. Rovine tra le quali passa solo il vento. Basta arrampicarsi sulla dorsale aspromontana per incontrare Amendolea, Roghudi, Bruzzano, Africo vecchia, Potamia, Precacore. Più in là, sul versante jonico e tirrenico ecco Nicastrello, Belforte, Soreto.Lo spopolamento massiccio dei piccoli centri fa interrogare sul perché un paese muore, sul passato e futuro dei suoi ruderi, sulle forme di vita che d’improvviso ogni tanto vi compaiono simili a meteore. Come quando ci sono i funerali e le feste patronali con gli emigranti che tornano dalla Svizzera o più semplicemente dalla città vicina. Perché la fuga da quei borghi che sembrano piccoli mondi antichi, caratteristica del nostro tempo, solleva questioni non solo economiche ma sociologiche e culturali. Le stesse per cui si svuotano paesi come Pescosolido, in Ciociarìa, che nel 1951 aveva 3.500 abitanti e 1.400 alla fine degli anni Ottanta. Le stesse per cui ad Atina (Frosinone), ai matrimoni, il sindaco non regala più alle spose il piccolo bouquet che donava ritualmente tempo fa: problemi di bilancio. E di scarsa gioventù.
Sono quasi seimila i piccoli comuni della penisola. Centri con meno di cinquemila abitanti, lontani dalle rott ...
01/03/2005