Raffaele Lupoli
Da byte a rifiuto
Computer e cellulari si trasformano presto in spazzatura elettronica. Qualcuno la smaltisce illegalmente
Stando alle bolle di accompagnamento si trattava di imballaggi di plastica, ma lo scorso settembre nel container pronto a salpare alla volta del Pakistan dal porto di Felixstowe, nel sud-est della Gran Bretagna, c’erano tonnellate di rifiuti informatici provenienti dal Galles. Il Regno Unito produce ogni anno rifiuti per oltre un milione di tonnellate di computer e cellulari, che secondo un recente rapporto governativo vengono spediti all’estero in quantità sempre maggiori. Da Oltremanica, soltanto nel corso del 2003, ben 23 mila tonnellate di attrezzature elettroniche sono state esportate illegalmente soprattutto in Cina, Africa occidentale, Pakistan e India. Una pratica che, purtroppo, non è solo “british”.
Traffici senza frontiere
Il traffico di rifiuti informatici è la nuova frontiera dell’ecomafia globale. Un business che mette d’accordo trafficanti senza scrupoli e imprenditori intenzionati a evitare i costi dello smaltimento legale. La Cina è ormai una meta storica. Nei villaggi della Repubblica popolare già nel 2001 arrivava gran parte dell’e-waste (come viene definita in inglese la “spazzatura elettronica”) degli Usa: proprio le associazioni ambientaliste statunitensi hanno denunciato la presenza nei villaggi della provincia del Guangdong, a nord-est di Hong Kong, di una rudimentale quanto pericolosa industria del riciclaggio. “I campioni di acqua e terra prelevati lungo il vicino fiume Lianjiang hanno rivelato una forte contaminazione da metalli pesanti”, commenta Martin Baker di Greenpeace Cina. Lo stesso anno anche dall’Italia oltre 2.500 tonnellate di residui plastici derivanti da strumenti elettronici sono state ammassate e spedite da alcuni porti italiani verso quello di Hong Kong.
Basta un dato per comprender