Franco Cosentino
La normalità del rischio
Gli operatori di polizia sono sottoposti più di altri a forti tensioni. Imparare a gestire lo stress è la prima difesa. Ma si può anche chiedere aiuto in tempo
La scena si ripete più o meno nello stesso modo in migliaia di famiglie: sveglia alle 6,30, colazioni da preparare, bambini da svegliare e vestire poi tutti in macchina verso la scuola prima e il lavoro dopo. Non senza aver passato una buona mezz’ora o più nel traffico caotico. Magari sotto la pioggia. È l’inizio di una giornata tipo di migliaia di italiani.Una situazione stressante, ma alla quale in fondo sono tutti abituati e per la quale le nostre menti hanno elaborato dei meccanismi di difesa. Ma tutto questo non basta perché poi ognuno subisce, per il tipo di lavoro svolto, ulteriori forme di pressione. Tra tutte le professioni quello del poliziotto in quanto a stress merita certo un approfondimento particolare.
Ne abbiamo parlato con Riccardo Fenici, professore associato di cardiologia presso l’Università Cattolica di Roma ed european director della Society for police and criminal psychology, associazione internazionale che si occupa dell’applicazione della conoscenza scientifica ai problemi di giustizia criminale. “Esistono diversi tipi di stress – dice Fenici, esperto nella gestione di stress da eventi critici nell’operatore di polizia – Innanzi tutto quello generico e al quale tutti noi siamo sottoposti nel nostro vivere quotidiano: trovare un parcheggio, arrivare in orario in ufficio, relazionarsi nell’ambiente di lavoro, spostarsi nelle ore di punta su un mezzo pubblico, trovar il giusto equilibrio tra lavoro e famiglia. Queste tensioni sono entrate nella routine della nostra esistenza, le consideriamo in qualche modo normali perché le abbiamo accettate quasi come un male inevitabile”.
Esiste poi lo “stress specifico”, proprio di alcune professioni che, nel caso delle forze dell’ordine e di altre professioni d’emergenza (medici di pronto soccorso, Vigili del fuoco), costituisce una fonte di pressione emozionale costante e che si alimenta soprattutto con il contatto continuo con la sofferenza e con l’impossibilità di realizzare, come si vorrebbe in ogni caso, gli obiettivi istituzionali (arrestare un delinquente o salvare una vita). Tutto questo condiziona fortemente la persona e sia a breve che a medio termine ha effetti sul nostro corpo.
C’è infine lo stress tattico-operativo, legato al momento, all’intervento effettuato dall’operatore in condizioni percepite come a rischio. “I fattori che alimentano questo tipo di stress – continua l’esperto – sono molteplici: innanzi tutto la consapevolezza di essere esposto a situazioni potenzialmente pericolose per la propria incolumità che, in casi estremi che implichino l’uso delle armi può comportare nella migliore delle ipotesi l’essere indagati per uso illegittimo o eccessivo della forza; per non parlare delle problematiche relative alla balistica del munizionamento d’ordinanza”. Un altro fattore aggravante di stress può essere la percezione subconscia di limiti pe ...
01/01/2005