Andrea Giuliano*
Quattro passi dentro al crimine
Le indagini di polizia scientifica sfruttano ogni tipo di traccia anche quella delle impronte plantari. Una tecnica sperimentata con successo già alla fine dell’Ottocento
Sono molte le tracce lasciate sulla scena del crimine. Ma fra tutte la regina rimane l’impronta papillare, meglio conosciuta come impronta digitale. È la più “ricercata” nei sopralluoghi della polizia scientifica per la sua efficacia, utilità, certezza e garanzia. Immutabile per tutta la vita, inalterabile a meno di fatti patologici o traumatici che abbiano interessato il derma, e diversa da un soggetto all’altro. Sono sufficienti queste tre caratteristiche per decretarla in una sola parola: importantissima. Senza tralasciare di menzionare il consistente data-base di disegni di polpastrelli a inchiostro, meticolosamente rilevati e raccolti nel corso di un secolo dalla polizia scientifica italiana.
L’ordine – non solo quello alfabetico – era dettato dai canoni della classificazione ideata da Giovanni Gasti (1869-1939). Attualmente Afis (Automatic fingerprint identification system), sistema informatizzato per la gestione delle impronte digitali, consente di rintracciare precedenti fotosegnalazioni celermente e in ambito nazionale. Afis permette di operare sia l’identificazione del soggetto sottoposto a fotosegnalamento, sia quella delle tracce digitopapillari reperite sulla scena del crimine o su cose a essa attinenti.
Sui libri di anatomia – bellissimi i tomi custoditi nell’ottocentesco palazzo che ospita la biblioteca dell’Istituto di anatomia umana normale dell’Università di Torino – si scopre che la funzione delle impronte papillari è quella di aumentare la sensibilità tattile e di incrementare la superficie di attrito sull’area di contatto. Disegni, misteriosi arabeschi, che troviamo anche sui palmi. Sì, certo, le impronte palmari. Il loro impiego? Elevato, se si pensa alle tracce di natura palmare reperibili in sede di sopralluogo. E ancora, il Servizio Polizia Scientifica di Roma sta procedendo all’inserimento delle impronte palmari in un data-base computerizzato: Apis (Automatic palmprint identification system) è ormai una realtà.
Se è diffuso l’impiego delle impronte digitali e palmari per l’identificazione dei criminali, può risultare inatteso scoprire che gli invest