Giulia Bertagnolio

Come cambia la formazione

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Inglese, informatica, ma soprattutto il “fattore uomo”. Gli ingredienti dell’evoluzione

Come cambia la formazione

“È un lavoro di semina enorme. Un’opera in continua evoluzione che muta al variare degli assetti sociali. È esaltante”. A parlare è il direttore centrale degli Istituti d’istruzione, il prefetto Luciano Rosini. Si riferisce alla preparazione degli allievi della Polizia di Stato portata avanti ogni giorno, dal 1852, dalle scuole di polizia di tutt’Italia. Lui la definisce, e l’associazione è calzante data la sua vastità e i suoi movimenti continui, la galassia formazione. Senza perdersi in dettagli dichiara: “Sono cambiate tante cose dagli esordi a oggi. Ma il fulcro della trasformazione non é rappresentato né dall’introduzione delle nuove materie come l’inglese o l’informatica, né dalle tante altre innovazioni pratiche apportate in seguito alla modernizzazione. La svolta sta nel cambiamento d’approccio alla formazione. Si traduce in un passo fondamentale: l’aver messo al centro di tutto il fattore uomo”.

Sembra passata un’eternità da quando al primo embrione del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza, nucleo militare nato nel 1852 ancora prima dello stato unitario, veniva attribuito il compito di “mantenere l’ordine e la sicurezza pubblica. Vegliare sugli oziosi, vagabondi e mendicanti, donne di malaffare, giocatori e recidivi. Accorrere agli incendi e altri simili avvenimenti rimarchevoli provvedendo alle occorrenze nel miglior modo possibile” (così recitava la legge sulla formazione, la 1404 dell’11 luglio). Negli anni le esigenze della società sono cambiate, l’organico è cresciuto, le scuole di polizia si sono specializzate e diffuse dal nord al sud della Penisola. I docenti hanno affinato le tecniche d’insegnamento, la scienza e la tecnologia hanno reso sofisticati gli strumenti, la comunicazione s’è imposta come elemento essenziale per la modernizzazione. E grazie alla nascita dell’Unione europea e ai rapporti sempre più fitti con le scuole di polizia del mondo, la formazione ha iniziato ad acquisire un respiro internazionale orientando gli allievi a un approccio costruttivo alla nuova società multietnica. “Nei nostri corsi non creiamo dei Rambo ma professionisti sensibili ai bisogni della gente e capaci di operare a 360 gradi in una realtà sociale che muta di continuo – sottolinea Rosini – Non possiamo restare fermi agli schemi di un tempo. Se il delinquente si evolve dobbiamo farlo anche noi, e non solo dal punto di vista tecnico”. Il prefetto rivolge lo sguardo al passato: “Ogni fase storica ha avuto la sua emergenza. C’è stato il periodo del terrorismo, quello della massiccia offensiva mafiosa, ci sono stati gli anni ’70 con i grandi movimenti di piazza. Abbiamo sempre cercato di adeguarci alle esigenze del momento studiando le strategie di contrasto adatte e preparando il personale alle necessità ogni volta diverse. Oggi il livello di qualità della vita è tale per cui il problema prioritario cui far fronte è diventato  quello della sicurezza percepita. Qualcosa di meno tangibile ma di altrettanto serio”. Se ora dunque i cittadini hanno bisogno di essere rassicurati non solo sul piano pratico ma anche su quello comunicativo, il poliziotto non va più formato per occuparsi prevalentemente di ordine pubblico ma deve imparare in primo luogo a gestire relazioni umane. In altre parole, come precisa Rosini: “la tecnica resta alla base, ma s’impone come elemento essenziale il linguaggio. È questo il vero salto di qualità rispetto al passato”.

Nell’epoca in cui gli interventi con lo sfollagente sono sempre più circoscritti a casi limite, il primo campo d’azione degli agenti diventa il quotidiano. Significa che, al di là dei vecchi e nuovi problemi di macrocriminalità, sono la piccola delinquenza e la paura diffusa delle persone i settori in cui ora va affinata al massimo la professionalità. Ecco perché la formazione del terzo millennio è pensata per riunire assieme tre elementi: aggiornamento tecnico, formazione psico-sociologica, crescita culturale. Un progetto educativo complesso diventato negli anni sempre più ricco, e ultimamente perfezionato sia grazie al rapporto continuativo stabilito dalle scuole di polizia con varie università d’Italia, sia tramite gli scambi culturali avviati con le forze dell’ordine di diversi Paesi esteri. “Il panorama della formazione è davvero vasto, così come il campo d’azione dei poliziotti – dice Rosini senza nascondere una punta d’orgoglio – Sono un’infinità le specialità, i corsi e le iniziative avviate finora. Lo stesso vale per i cambiamenti apportati negli anni all’impostazione di fondo delle scuole”.

Non è un processo indolore. I risultati delle tante modifiche avviate sulla scia dell’importanza crescente data alla formazione, sono il frutto di grandi sforzi. Un esempio, forse il più banale: gli uomini che partecipano ai corsi di specializzazione e agli aggiornamenti devono essere tolti dagli uffici e dall’operatività per tutto il tempo necessario alla conclusione del ciclo formativo, e questo rende più pesante il lavoro dei colleghi che restano sulle volanti e negli uffici di polizia. “Se chiedo cinquanta poliziotti per un corso sulla gestione dello stress e i loro superiori non li mandano, l’energia spesa per l’organizzazione diventa inutile – spiega Rosini – è un valore che va perduto. È paradossale: prima di ricoprire quest’incarico ero, anch’io sensibile soprattutto alle esigenze operative. Mi è capitato di non mandare il mio personale a frequentare i corsi perché al momento ne avevo bisogno. Oggi capisco quanto ho sbagliato”.

Frequentare un corso è fondamentale per imparare a trasmettere l’immagine di una professionalità, per affinare la sensibilità, per diventare capaci di rappresentare al meglio lo Stato agli occhi del cittadino sulla base delle esigenze che di volta in volta diventano prioritarie con l’evolversi della società. Lo dimostrano le iniziative più che mai attuali della scuola di Pescara: per preparare gli allievi a saper gestire una delle maggiori necessità della nostra epoca, quella della vicinanza al cittadino e della comunicazione trasparente, sono partiti corsi incentrati sul concetto della prossimità. Ma ne sono una prova anche le tante nuove idee, per ora solo sulla carta, che il Dipartimento vorrebbe realizzare proprio nel campo della formazione: “Per adeguarci alla mentalità moderna stiamo pensando di integrare tra loro le diverse specialità – spiega Rosini – In futuro ci piacerebbe tentare di andare oltre all’attuale situazione di divisione netta dei diversi settori. Immagino un professionista con una sua preparazione specifica ma capace di operare a tutto campo. D’altronde nella società di oggi sono diventate fondamentali parole come interdisciplinarietà e intermodalità. E anche noi stiamo tentando di orientarci in quest’ottica”.

Modernità, allargamento di vedute, contaminazione con le dinamiche sociali e sensibilizzazione all’ascolto. Sono queste le linee-guida della formazione del futuro. Un’educazione incentrata sugli uomini e non sugli obiettivi che, a giudicare dalle parole di Rosini, è già il tratto distintivo delle scuole di oggi e di chi ne cura l’impostazione: “Ogni volta che vado in visita in un istituto d’istruzione cammino tra gli allievi e interrogo i ragazzi. Ma non sui contenuti né sulle abilità tecniche apprese. Le prime cose che gli chiedo, quelle più importanti, sono: a che punto è il tuo percorso? Ti senti più completo? Hai da suggerire miglioramenti? Vedi lacune? In due parole, semplici eppure comprensive di tutto, come stai?”. 
01/01/2005