Giulia Bertagnolio
Il tesoro smarrito
Ogni anno migliaia di oggetti vengono dimenticati, abbandonati negli aeroporti, in stazione, o in giro per la città. Chincaglieria, gioielli ma anche cose ingombranti. Spesso nessuno li reclama
È mai possibile arrivare in aeroporto su una sedia a rotelle e dimenticarla davanti al check-in? Probabilmente sì, a giudicare dalla carrozzella che giace nell’ufficio oggetti smarriti dello scalo di Fiumicino. Ed è anche possibile abbandonare dentiere, archi con le frecce, pantaloni, tamburi africani, parapendii, chiavi di casa, violoncelli, scarpe, comodini, floppy disk, fotocopiatrici, cucine a gas, mutande, occhiali da vista, tavole da surf e (garantisce Fabio Giardina, responsabile del deposito oggetti rinvenuti dello scalo romano) perfino il motore di una vecchia Fiat Cinquecento.
Sarà colpa della vita frenetica, del bombardamento incessante di stimoli visivi e sensoriali o del tentativo esasperato di far entrare quotidianamente centinaia d’informazioni nel cervello, ma mai come oggi i depositi di oggetti smarriti di tutt’Italia traboccano di articoli d’ogni genere. Diventando lo specchio delle nostre crescenti amnesie quotidiane.
Negli scaffali c’è di tutto: dagli attrezzi più ingombranti alla chincaglieria, da oggetti apparentemente indispensabili a sofisticate strumentazioni hi-tech che, a rigor di logica, qualunque proprietario dovrebbe custodire come reliquie. Beni lasciati per strada, scordati nelle stazioni o negli scali e molto spesso abbandonati al proprio destino da padroni coscienti della loro scomparsa eppure incuranti della perdita. “Pochissime persone si preoccupano di cercare ciò che hanno smarrito provando a rivolgersi a uffici come il nostro – sottolinea con una nota di stupore Fabio Giardina – Questo vale sia per sciarpe e borsette da trucco sia per telecamere supercompatte o costose macchinette fotografiche. Riceviamo circa 70 telefonate al giorno: poche se paragonate alla quantità di beni persi dalla gente. Siamo noi che in genere ci attiviamo per rintracciare i proprietari delle cose che troviamo. Solo nel 2003 i beni rinvenuti nell’aerostazione sono stati cinquemila, trecento le ricerche di proprietari che abbiamo fatto partire, 610 le restituzioni”.
La prassi da seguire è più o meno la stessa in tutt’Italia: quando qualcosa viene portato al deposito oggetti smarriti (in aeroporto sono sempre agli agenti della sicurezza e la polizia a gestire questa fase, generalmente facendo prima passare l’oggetto sotto ai raggi X) i responsabili dell’ufficio compilano un verbale. Se si tratta di una valigia si annota il contenuto, se è un oggetto si scrivono colore, misura, materiale per poter disporre di un database pratico e di facile consultazione. Poi si attende fiduciosi che i proprietari si facciano vivi.
La restituzione degli oggetti non è cosa semplice. “Spesso è impossibile trovare indizi che facciano risalire al proprietario di un ombrello, di un beauty case, di un paio di occhiali o di uno dei tanti improbabili arnesi che ogni giorno ci vengono portati dalle forze dell’ordine e dai comuni cittadini – sottolinea Aldo Bozzetti, responsabile dell’ufficio oggetti rinvenuti del comune di Milano – malgrado i nostri sforzi non riusciamo a restituire più del cinquanta per cento”. E siccome il problema è comune a tutte le strutture che si occupano di raccogliere le cose seminate in giro dagli smemorati d’Italia, per disfarsi dei pezzi accumulati si organizzano aste. “Dopo un anno di giacenza i beni, per legge, diventano proprietà del sindaco – continua Bozzetti – Le cose in cattive condizioni vengono bruciate, per quelle in buono stato si stabilisce invece una base minima e viene indetta la vendita”.
Il pubblico delle aste è variegato e curioso; un popolo fatto d’imprenditori dell’usato e di gente comune con la passione per il rischio e la speranza di accalappiarsi l’affare. “Le persone vengono a sapere dell’asta qualche giorno prima tramite i maggiori quotidiani, Internet o i telegiornali – dice Giardina – Qui le cose vengono cedute a lotti. Un blocco di valigie generalmente ne comprende sette e parte circa da un minimo di venti euro. Il contenuto non viene dichiarato al pubblico in sala; le persone sanno solo che si tratta di vestiti usati. Chi compra (generalmente commercianti o gestori di piccoli bazar) si porta via tutto a scatola chiusa e, in genere, lo rivende sui banchi dei mercati a pochi euro. I singoli cittadini acquistano invece prevalentemente oggetti tecnologici come lettori dvd, telecamere o fotocopiatrici il cui valore viene stimato da un perito”.
Ma chi (e soprattutto perché) lascia una fotocopiatrice o una cucina a gas in un aeroporto? “Prevalentemente stranieri – chiarisce Giardina – Convinti di poter trasportare qualunque cosa in aereo, comprano oggetti enormi e pesantissimi con la speranza d’importarli nel proprio Paese dove magari è difficile trovarli. Una volta arrivati al check-in capiscono che il prezzo aggiuntivo da pagare per trasportarli è spropositato rispetto al valore dell’oggetto stesso. E allora lo abbandonano”.
Se c’è chi lascia volontariamente oggetti “scomodi”, c’è anche chi scorda inavvertitamente cose maneggevoli e decisamente utili. “Sugli autobus troviamo decine di portafogli incustoditi, chiavi, documenti, giacche – spiega Fausto Frattegiani, responsabile dell’ufficio oggetti smarriti dell’Azienda della mobilità di Perugia – mi è capitato anche di trovare un passeggino per bambini. Gli autisti e i pulitori dei bus ogni mattina mi portano tutta la roba che hanno raccolto di notte. Io cerco di scoprire chi sono i proprietari”. Poi aggiunge una curiosità: “Ho notato che la gente è più smemorata quando cambia il tempo. Secondo me la meteorologia influisce sulla sbadataggine”.
Se quella ipotizzata da Frattegiani è una spiegazione plausibile ma intuitiva, c’è chi ha cercato di darne una più scientifica. Lo psicobiologo Alberto Oliverio, autore del libro L’arte di ricordare sostiene infatti che è la nostra società smaterializzata a non facilitare l’atto mentale del ricordo, che per essere fissato ha bisogno di tempo e di emozioni ad ampio respiro. “Bisognerebbe allentare il ritmo forsennato, ridurre le preoccupazioni inutili – spiega – In fondo raramente rimuoviamo qualcosa che ci interessa davvero. Allora la strategia, il mio consiglio, è quello di selezionare al massimo le informazioni. Paradossalmente dovremmo esercitarci nell’arte del dimenticare”.
Lo pensa anche Lina Bolzoni, docente di letteratura alla Normale di Pisa e autrice de La stanza della memoria: “Mnemosyne, la dea della memoria, non ha mai smesso di sedurre l’uomo. In tutte le epoche ci siamo inventati un sistema per ricordare, dalle mnemotecniche al teatro della memoria del Rinascimento. Confido che anche nel futuro si escogiterà qualche sistema”. Altre avvertenze per gli smemorati arrivano da Roberto Vacca, autore di saggi sul tema. “Ci possiamo permettere un’archiviazione planetaria, a patto di rispettare due condizioni essenziali: studiare sempre e soprattutto dormire bene.
Mentre gli italiani si organizzano per cercare di gestire il database della mente in modo più metodico e rilassato, a beneficiare delle loro disattenzioni sono i bisognosi, i parroci e gli enti di assistenza. Proprio pochi giorni fa centinaia di oggetti smarriti nelle strade della Capitale (o abbandonati in fretta dai venditori abusivi alla vista degli agenti) sono stati consegnati al parroco della chiesa di Santa Maria in Aquiro dal dirigente del commissariato Trevi-Campo marzio, Antonio del Greco. “È tutto materiale che rinveniamo giornalmente nelle strade del centro – spiega Del Greco – abbiamo pensato di regalarlo al parroco della nostra chiesa che sotto Natale ne farà un’asta di beneficenza”. I beni potrebbero far gola a molte persone; con pochi euro è facile accaparrarsi capi da sistemare sotto l’albero. Gli appassionati delle griffe, però, dovranno rassegnarsi: gli agenti hanno già distrutto i prodotti contraffatti.
01/12/2004